/<1992>/ Ebbene, dottor Cardoso, disse Pereira, domani a mezzogiorno le telefono, lei deve farmi un favore, deve fingere di essere un pezzo grosso della censura, deve dire che il mio articolo ha ricevuto il visto, e solo questo. Non capisco, replicò il dottor Cardoso. Senta, dottor Cardoso, disse Pereira, le telefono da un caffè e non le posso dare spiegazioni, ho in casa un problema che lei non si immagina neppure, ma lo apprenderà dall'edizione del "Lisboa" del pomeriggio, ci sarà scritto tutto nero su bianco, Ma lei deve farmi un grosso favore, deve sostenere che il mio articolo ha il suo beneplacito, ha capito?, deve dire che la polizia portoghese non ha paura di scandali, che è una polizia pulita e che non ha paura di scandali. Ho capito, disse il dottor Cardoso, domani a mezzogiorno aspetto la sua telefonata. Pereira rientrò in casa. Andò in camera da letto e tolse l'asciugamano dal volto di Monteiro Rossi. Lo coprì con un lenzuolo. Poi andò nello studio e si sedette davanti alla macchina per scrivere. Scrisse come titolo: il saggista o il giornalista. Poi andò a capo e cominciò a scrivere: «Si chiamava Francesco Monteiro Rossi, era di origine italiana. Collaborava con il nostro giornale con articoli e necrologi. Ha scritto testi sui grandi scrittori della nostra epoca, come Majakovskji, Marinetti, D'Annunzio, Garcìa Lorca. I suoi articoli non sono stati ancora pubblicati, ma forse lo saranno un giorno. Era un ragazzo allegro, che amava la vita e che invece era stato chiamato a scrivere sulla morte, compito al quale non si era sottratto. E stanotte la morte è andata a cercarlo. Ieri sera, mentre cenava dal direttore della pagina culturale del "Lisboa", il dottor Pereira che scrivo questo articolo, tre uomini armati hanno fatto irruzione nell'appartamento. Si sono qualificati come polizia politica, ma non hanno esibito nessun documento che avvalorasse la loro parola. Si tende a escludere che si trattasse di vera polizia, perché erano vestiti in borghese e perché si spera che la polizia del nostro paese non usi questi metodi. Erano dei facinorosi, che agivano con la complicità di non si sa chi, e sarebbe bene che le autorità indagassero su questo turpe avvenimento. Li guidava un uomo magro e basso, con i baffi e un pizzetto, che gli altri due chiamavano comandante. Gli altri due sono stati più volte chiamati per nome dal loro comandante. Se i nomi non erano falsi essi si chiamano Fonseca e Lima, sono due uomini alti e robusti, di incarnato scuro, con l'aria poco intelligente. Mentre l'uomo magro e basso teneva sotto il tiro della pistola chi scrive questo articolo, il Fonseca e il Lima hanno trascinato Monteiro Rossi in camera da letto per interrogarlo, secondo quanto essi stessi hanno dichiarato. Chi scrive questo articolo ha udito colpi e gridi soffocati. Poi i due uomini hanno detto che il lavoro era fatto. I tre hanno rapidamente abbandonato l'appartamento chi vi scrive minacciandolo di morte, se avesse divulgato il fatto. Chi scrive si è recato in camera da letto e non ha potuto fare altro che constatare il decesso del giovane Monteiro Rossi. Era stato pestato a sangue, e dei colpi, inferti con il manganello o con il calcio della pistola, gli avevano fracassato il cranio. Il suo cadavere si trova attualmente al secondo piano di Rua da Saudade numero 22, in casa di chi scrive questo articolo. Monteiro Rossi era orfano e non aveva parenti. Era innamorato di una ragazza bella e dolce di cui non conosciamo il nome. Sappiamo solo che aveva i capelli color rame e che amava la cultura. A questa ragazza, se ci legge, noi porgiamo le nostre condoglianze più sincere e i nostri più affettuosi saluti. Invitiamo le autorità competenti a vigilare attentamente su questi episodi di violenza che alla loro ombra, e forse con la complicità di qualcuno, vengono perpetrati oggi in Portogallo». Pereira andò a capo e sotto, a destra, mise il suo nome: Pereira. Firmò soltanto Pereira, perché era così che tutti lo conoscevano, con il cognome, come aveva firmato tutti i suoi articoli di cronaca. Alzò gli occhi alla finestra e vide che albeggiava sulle braccia delle palme della caserma di fronte. Sentì uno squillo. Passò nelle sale vicine, dove c'erano i getti di vapore per le inalazioni. Davanti a ogni getto stavano sedute delle persone, con i gomiti appoggiati sul marmo, che respiravano i flussi di aria calda. Pereira trovò un posto libero e si accomodò. Respirò a fondo per qualche minuto e si immerse nei suoi pensieri. Gli venne in mente Monteiro Rossi e, chissà perché, anche il ritratto di sua moglie. Erano quasi due giorni che non parlava con il ritratto di sua moglie, e Pereira si pentì di non esserselo portato dietro, sostiene. Allora si alzò, andò negli spogliatoi, si rivestì, fece il nodo della cravatta nera, uscì dallo stabilimento termale e rientrò in albergo. Nella sala ristorante vide il suo amico Silva che faceva un'abbondante colazione con brioche e caffellatte. Il direttore fortunatamente non c'era. Pereira si avvicinò a Silva, lo salutò, gli disse che aveva fatto le terme e gli disse: verso mezzogiorno c'è un treno per Lisbona, ti sarei grato se tu mi accompagnassi alla stazione, se non puoi prendo il taxi dell'albergo. Come, te ne vai già?, chiese Silva, e io che speravo di passare un paio di giorni in tua compagnia. Scusami, mentì Pereira, ma devo essere a Lisbona stasera, domani devo scrivere un articolo importante, e poi sai, non mi va di avere abbandonato la redazione alla portiera dello stabile, è meglio che me ne vada. Come vuoi, rispose Silva, ti accompagno. Durante il tragitto non parlarono affatto. Sostiene Pereira che Silva sembrava avercela con lui, ma lui non fece niente per addolcire la situazione. Pazienza, pensò, pazienza. Arrivarono alla stazione verso le undici e un quarto e il treno era già sul binario. Pereira salì e fece ciao con la mano dal finestrino. Silva lo salutò con un ampio cenno del braccio e se ne andò, Pereira si accomodò in uno scompartimento dove c'era una signora che leggeva un libro. Era una signora bella, bionda, elegante, con una gamba di legno. Pereira si accomodò dalla parte del corridoio, visto che lei stava al finestrino, per non disturbarla, e notò che stava leggendo un libro di Thomas Mann in tedesco. Questo lo incuriosì, ma per il momento non disse niente, disse soltanto: buongiorno signora. Il treno si mosse alle undici e trenta, e pochi minuti dopo passò l'inserviente per fare le prenotazioni per il vagone ristorante. Pereira prenotò, sostiene, perché Si sentiva lo stomaco in disordine e aveva bisogno di mangiare qualcosa. Il tragitto non era lungo, è vero, ma sarebbe arrivato tardi a Lisbona e non aveva voglia di cercarsi un ristorante, con quel caldo. Anche la signora con la gamba di legno prenotò per il vagone ristorante. Pereira notò che parlava un buon portoghese, con un lieve accento straniero. Questo aumentò la sua curiosità, sostiene, e gli dette il coraggio di fare il suo invito. Signora, disse, mi scusi, non vorrei sembrarle invadente, ma visto che siamo compagni di viaggio e che entrambi abbiamo prenotato il ristorante vorrei proporle di mangiare allo stesso tavolo, potremmo fare un po' di conversazione e forse ci sentiremo meno soli, è malinconico mangiare da soli, specialmente in treno, permetta che mi presenti, sono il dottor Pereira, direttore della pagina culturale del "Lisboa", un giornale del pomeriggio della capitale. La signora con la gamba di legno fece un largo sorriso e gli tese la mano. Piacere, disse, mi chiamo Ingeborg Delgado, sono tedesca, ma di origine portoghese, sono tornata in Portogallo a ritrovare le mie radici. L'inserviente passò agitando la campanella per chiamare per il pranzo. Pereira si alzò e cedette il passo alla signora Delgado. Non ebbe il coraggio di offrirle il braccio, sostiene, perché pensò che quel gesto poteva ferire una signora che aveva un gamba di legno. Ma la signora Delgado si muoveva con grande agilità nonostante il suo arto artificiale e lo precedette nel corridoio. La vettura ristorante era vicina al loro scompartimento, così che non dovettero camminare troppo. Si accomodarono a un tavolino dalla parte sinistra del convoglio. Pereira si infilò il tovagliolo nel colletto della camicia e sentì che doveva chiedere scusa per il suo comportamento. Pensavamo a un figlio che poi non arrivò, pazienza, comunque mi sono portato i Contes du Lundi e credo che una novella andrebbe benissimo per il "Lisboa", beh, ora scusa, devo andare, pare che ci sia un dottore che mi aspetta, sentiamo quali sono i metodi della talassoterapia, ci vediamo più tardi. Quando arrivò nella hall vide un signore in camice bianco che guardava il mare dalle finestre. Pereira gli si avvicinò. Era un uomo tra i trentacinque e i quarant'anni, con un pizzetto biondo e gli occhi celesti. Buonasera, disse il medico con un sorriso timido, sono il dottor Cardoso, lei e il dottor Pereira, immagino, la stavo aspettando, sarebbe l'ora della passeggiata dei pazienti sulla spiaggia, ma se lei lo preferisce possiamo restare a parlare qui o uscire in giardino. Pereira rispose che in effetti non gli andava molto una passeggiata sulla spiaggia, disse che quel giorno in spiaggia c'era già stato e raccontò il bagno fatto a Santo Amaro. Oh, è magnifico, esclamò il dottor Cardoso, credevo di avere a che fare con un paziente più difficile, ma vedo che la natura la attira ancora. Forse sono attirato piuttosto dai ricordi, disse Pereira. In che senso? Chiese il dottor Cardoso. Poi forse glielo spiegherò, disse Pereira, ma non ora magari domani. Uscirono in giardino. Facciamo una passeggiata?, propose il dottor Cardoso, farà bene a lei e farà bene a me. Dietro le palme del giardino, che crescevano fra rocce e sabbia, c'era un bel parco. Pereira vi seguì il dottor Cardoso, che era in vena di chiacchierare. In questi giorni lei è affidato a me, disse il medico, ho bisogno di parlare con lei e di conoscere le sue abitudini, con me non deve avere segreti. Mi chieda tutto, disse Pereira con disponibilità. Il dottor Cardoso colse un filo d'erba e se lo mise in bocca. Cominciamo dalle sue abitudini alimentari, chiese, quali sono? La mattina prendo il caffè, rispose Pereira, e poi faccio un pranzo e una cena, come tutti, è molto semplice. E cosa mangia di solito, chiese il dottor Cardoso, voglio dire, che tipo di alimentazione mantiene? Frittate, avrebbe voluto rispondere Pereira, mangio praticamente solo frittate, perché la mia portiera mi prepara pane e frittata e perché al Café Orquídea servono solo omelettes alle erbe aromatiche. Ma provò vergogna e rispose diversamente. Alimentazione variata, disse, pesce, carne, verdura, sono abbastanza parco nel cibo e mi nutro in maniera razionale. E la sua pinguedine quando ha cominciato a manifestarsi?, chiese il dottor Cardoso. Alcuni anni fa, rispose Pereira, dopo la morte di mia moglie. E in quanto a dolci, chiese il dottor Cardoso, mangia molti dolci? Mai, rispose Pereira, non mi piacciono, bevo solo limonate. Limonate come?, chiese il dottor Cardoso. Spremute naturali di limone, disse Pereira, mi piacciono, mi rinfrescano e ho l'impressione che mi facciano bene all'intestino, perché ho spesso gli intestini in disordine. Quante al giorno?, chiese il dottor Cardoso. Pereira ci pensò un attimo. Dipende dai giorni, rispose, ora in estate, per esempio, una decina. Dieci limonate al giorno!, esclamò il dottor Cardoso, dottor Pereira, mi sembra una pazzia, e mi dica, ci mette zucchero? Le riempio di zucchero, disse Pereira, metà bicchiere di limonata e metà di zucchero. Il dottor Cardoso sputò il filo d'erba che teneva in bocca, fece un, gesto perentorio con la mano e sentenziò: da oggi è finita con le limonate, le sostituiamo con acqua minerale, meglio se non gassata, ma se preferisce acqua gassata va bene ugualmente. C'era una panchina sotto i cedri del parco, e Pereira si sedette obbligando il dottor Cardoso a sedersi a sua volta. E mi scusi, dottor Pereira, disse il dottor Cardoso, ora vorrei farle una domanda intima: quanto a attività sessuale? Pereira guardò la cima degli alberi e disse: si spieghi meglio. Donne, spiegò il dottor Cardoso, frequenta delle donne, pratica una normale attività sessuale? Senta dottore disse Pereira, io sono vedovo, non sono più giovane e faccio un lavoro impegnativo, non ho tempo e non ho voglia di trovarmi delle donne. E neanche donnine?, chiese il dottor Cardoso, che so, un'avventura, una signora di facili costumi, di quando in quando. Nemmeno, disse Pereira. davanti alla scrivania. Il direttore prese un lapis e cominciò a farlo girare sul piano del tavolo. Dottor Pereira, disse, mi piacerebbe darle del tu, se lei permette. A suo piacimento, rispose Pereira. Senti Pereira, disse il direttore, noi ci conosciamo da poco, da quando è stato fondato questo giornale, ma io so che sei un buon giornalista, hai lavorato per quasi trent'anni come cronista, la vita la conosci e sono certo che mi puoi capire. Farò il possibile, disse Pereira. Ebbene, disse il direttore, quest'ultima cosa non me l'aspettavo. Che cosa?, chiese Pereira. Il panegirico della Francia, disse il direttore, ha suscitato molti malumori negli ambienti che contano. Quale panegirico della Francia?, chiese Pereira con aria meravigliata. Pereira!, esclamò il direttore, tu hai pubblicato un racconto di Alphonse Daudet che parla della guerra con i tedeschi e che finisce con questa frase: viva la Francia. E' un racconto dell'Ottocento, rispose Pereira. Un racconto dell'Ottocento sì, continuò il direttore, ma parla sempre di una guerra contro la Germania e tu non puoi non sapere, Pereira, che la Germania è nostra alleata. Il nostro governo non ha fatto alleanze, obiettò Pereira, almeno ufficialmente. Via Pereira, disse il direttore, cerca di ragionare, se non ci sono alleanze ci sono almeno simpatie, forti simpatie, noi la pensiamo come la Germania, in politica interna e in politica estera, e stiamo aiutando i nazionalisti spagnoli come sta facendo la Germania. Ma alla censura non hanno fatto obiezioni, si difese Pereira, hanno fatto passare il racconto tranquillamente. Alla censura sono dei cafoni, disse il direttore, degli analfabeti, il direttore della censura è un uomo intelligente, è mio amico, ma non può leggersi personalmente le bozze di tutti i giornali portoghesi, gli altri sono funzionari, poveri poliziotti pagati perché non passino le parole sovversive come socialismo e comunismo, non potevano capire un racconto di Daudet che finisce con viva la Francia, siamo noi che dobbiamo essere vigili, che dobbiamo essere cauti, siamo noi giornalisti che abbiamo esperienza storica e culturale, noi dobbiamo sorvegliare noi stessi. Sono io che sono sorvegliato, sostiene di aver detto Pereira, in realtà c'è qualcuno che mi sorveglia! Spiegati meglio, Pereira, disse il direttore, cosa vuoi dire con questo? Voglio dire che ho un centralino in redazione, disse Pereira non ricevo più telefonate dirette, passano tutte attraverso la portiera dello stabile. Si fa così in tutte le redazioni replicò il direttore se tu sei assente c'è qualcuno che riceve la telefonata e che risponde per te. Sì, disse Pereira, ma la portiera è un'informatrice della polizia, ne sono certo. Via Pereira, disse il direttore, la polizia ci protegge, vigila sui nostri sonni, dovresti esserle grato. Io non sono grato a nessuno, signor direttore, rispose Pereira, sono grato solo alla mia professionalità e al ricordo di mia moglie. Ai buoni ricordi bisogna sempre essere grati, accondiscese il direttore, ma tu, Pereira, quando pubblichi la pagina culturale me la devi far vedere prima, è questo che esigo. Ma io le avevo detto che si trattava di un racconto patriottico, insistette Pereira, e lei mi ha confidato - assicurandomi - che in questo momento c'è bisogno di patriottismo. Il direttore accese una sigaretta e si grattò la testa. Di patriottismo portoghese, disse, non so se mi segui, Pereira, di patriottismo portoghese, tu non fai altro che pubblicare racconti francesi, e i francesi non ci sono simpatici, non so se mi segui, comunque senti, i nostri lettori hanno bisogno di una buona pagina culturale portoghese, in Portogallo hai decine di scrittori da scegliere, anche dell'Ottocento, per la prossima volta scegli un racconto di Boca da Queiroz, che di Portogallo se ne intendeva, o di Camilo Castelo Branco, che ha cantato la passione e che ha avuto una bella vita movimentata fatta di amori e di prigione, il "Lisboa" non è un giornale esterofilo, e fu hai bisogno di ritrovare le tue radici, di ritornare alla tua terra, come direbbe il critico Borrapotas. Non so chi sia, rispose Pereira. E' un critico nazionalista, spiegò il direttore, scrive su un giornale che ci fa concorrenza, sostiene che gli scrittori portoghesi devono ritornare alla loro terra Sapevo che dopo il Settantaquattro, quando il Portogallo ritrovò la democrazia, era ritornato nel suo paese, ma non lo avevo più incontrato. Non scriveva più, era in pensione, non so come vivesse, era stato purtroppo dimenticato. In quel periodo il Portogallo viveva la vita convulsa e agitata di un paese che ritrovava la democrazia dopo cinquant'anni di dittatura. Era un paese giovane, diretto da gente giovane. Nessuno si ricordava più di un vecchio giornalista che alla fine degli anni quaranta si era opposto con determinazione alla dittatura salazarista. Andai a visitare la salma alle due del pomeriggio. La cappella dell'ospedale era deserta. La bara era scoperta. Quel signore era cattolico, e gli avevano posato sul petto un Cristo di legno. Mi trattenni presso di lui una decina di minuti. Era un vecchio robusto, anzi grasso. Quando lo avevo conosciuto a Parigi era un uomo sui cinquant'anni, agile e svelto. La vecchiaia, forse una vita difficile, avevano fatto di lui un vecchio grasso e flaccido. Ai piedi della bara, su un piccolo leggio, c'era un registro aperto dove erano riportate le firme dei visitatori. C'erano scritti alcuni nomi, ma io non conoscevo nessuno. Forse erano suoi vecchi colleghi, gente che aveva vissuto con lui le stesse battaglie, giornalisti in pensione. In settembre, come dicevo, Pereira a sua volta mi visitò. Lì per lì non seppi cosa dirgli, eppure capii confusamente che quella vaga sembianza che si presentava sotto l'aspetto di un personaggio letterario era un simbolo e una metafora: in qualche modo era la trasposizione fantasmatica del vecchio giornalista a cui avevo portato l'estremo saluto. Mi sentii imbarazzato ma l'accolsi con affetto. Quella sera di settembre compresi vagamente che un'anima che vagava nello spazio dell'etere aveva bisogno di me per raccontarsi, per descrivere una scelta, un tormento, una vita. In quel privilegiato spazio che precede il momento di prendere sonno e che per me è lo spazio più idoneo per ricevere le visite dei miei personaggi, gli dissi che tornasse ancora, che si confidasse con me, che mi raccontasse la sua storia. Lui tornò e io gli trovai subito un nome: Pereira. In portoghese Pereira significa albero del pero, e come tutti i nomi degli alberi da frutto, è un cognome di origine ebraica, così come in Italia i cognomi di origine ebraica sono nomi di città. Con questo volli rendere omaggio a un popolo che ha lasciato una grande traccia nella civiltà portoghese e che ha subito le grandi ingiustizie della Storia. Ma c'era un altro motivo, questo di origine letteraria, che mi spingeva verso questo nome. un piccolo intermezzo di Eliot intitolato What about Pereira? in cui due amiche evocano, nel loro dialogo, un misterioso portoghese chiamato Pereira, del quale non si saprà mai niente. Del mio Pereira invece io cominciavo a sapere molte cose. Nelle sue visite notturne mi andava raccontando che era vedovo, cardiopatico e infelice. Che amava la letteratura francese, specialmente gli scrittori cattolici fra le due guerre, come Mauriac e Bernanos, che era ossessionato dall'idea della morte, che il suo migliore confidente era un francescano chiamato Padre Antonio, dal quale si confessava timoroso di essere un eretico perché non credeva nella resurrezione della carne. E poi, le confessioni di Pereira, unite all'immaginazione di chi scrive, fecero il resto. A Pereira trovai un mese cruciale della sua vita, un mese torrido, l'agosto del 1938 Ripensai all Europa sull'orlo del disastro della seconda guerra mondiale, alla guerra civile spagnola, alle tragedie del nostro passato prossimo. E nell'estate del novantatré, quando Pereira, divenuto un mio vecchio amico, mi aveva raccontato la sua storia, io potei scriverla. La scrissi a Vecchiano, in due mesi anch'essi torridi, di intenso e furibondo lavoro. Per una fortunata coincidenza finii di scrivere l'ultima pagina il 25 agosto del 1993. E volli registrare quella data sulla pagina perché e per me un giorno importante: il compleanno di mia figlia. Mi parve un segnale, un auspicio. Lo suppongo, anzi lo so, sostiene di aver detto Pereira, è proprio questo che non mi piace, e ora arrivederci. Quando aprì la porta della sua stanza Pereira si sentiva spossato e era in un bagno di sudore. Accese il ventilatore e si sedette alla sua scrivania. Depositò il pane e frittata su un foglio della macchina per scrivere e prese la lettera di tasca. Sulla busta c'era scritto: Dottor Pereira, "Lisboa", Rua Rodrigo da Fonseca 66, Lisbona. Era una calligrafia elegante a inchiostro azzurro. Pereira posò la lettera accanto alla frittata e accese un sigaro. Il cardiologo gli aveva proibito di fumare, ma ora aveva voglia di tirare due boccate, magari poi l'avrebbe spento. Pensò che avrebbe aperto la lettera più tardi, perché per il momento doveva organizzare la pagina culturale per l'indomani. Pensò di rivedere l'articolo per la rubrica "Ricorrenze" che aveva scritto su Pessoa, ma poi decise che andava bene così. Allora si mise a leggere il racconto di Maupassant che aveva tradotto lui stesso, per vedere se c'erano correzioni da fare. Non ne trovò. Il racconto era perfetto e Pereira si congratulò con se stesso. Questo lo fece sentire un po' meglio, sostiene. Poi tirò fuori dalla tasca della giacca un ritratto di Maupassant che aveva trovato in una rivista della biblioteca municipale. Era un ritratto a matita, fatto da un pittore francese sconosciuto. Maupassant aveva un'aria disperata, con la barba incolta e gli occhi persi nel vuoto, e Pereira pensò che era perfetto per accompagnare il racconto. Del resto era un racconto di amore e di morte, ci voleva un ritratto che pendesse verso il tragico. C'era bisogno di una finestrina in mezzo all'articolo, con le basiche notizie biografiche di Maupassant. Pereira aprì il Larousse che teneva sulla scrivania e si mise a copiare. Scrisse: «Guy de Maupassant, 1850-1893. Con il fratello Hervé ereditò dal padre una malattia di origine venerea, che lo condusse prima alla pazzia e poi, giovane, alla morte. Partecipò a vent'anni alla guerra franco-prussiana, lavorò presso il ministero della marina. Scrittore di talento, di visione satirica, descrisse nelle sue novelle le debolezze e la vigliaccheria di una certa società francese. Scrisse anche romanzi di grande successo come Bel-Ami e il romanzo fantastico Le Horla. Colto da crisi di follia fu ricoverato nella clinica del dottor Blanche, dove morì povero e derelitto». Poi prese il pane e frittata e gli dette tre o quattro morsi. Il resto lo buttò nel cestino perché non aveva fame, faceva troppo caldo, sostiene. A quel punto aprì la lettera. Era un articolo scritto a macchina, su carta velina, e il titolo diceva: E' scomparso Filippo Tommaso Marinetti. Pereira sentì un tuffo al cuore perché senza guardare nell'altra pagina capì che chi scriveva era Monteiro Rossi e perché capì subito che quell'articolo non serviva a niente, era un articolo inutile, lui avrebbe voluto un necrologio di Bernanos o di Mauriac, che probabilmente credevano nella resurrezione della carne, ma quello era un necrologio di Filippo Tommaso Marinetti, che credeva nella guerra, e Pereira si mise a leggerlo. Era proprio un articolo da cestinare, ma Pereira non lo cestinò, chissà perché lo conservò, ed è per questo che può produrlo come documento. Cominciava così: «Con Marinetti scompare un violento, perché la violenza era la sua musa. Aveva cominciato nel 1909 con la pubblicazione di un Manifesto Futurista su un giornale di Parigi, manifesto in cui esaltava i miti della guerra e della violenza. Nemico della democrazia, bellicoso e bellicista, esaltò poi la guerra in uno strambo poemetto intitolato Zang Tumb Tumb, una descrizione fonica della guerra d Africa del colonialismo italiano. E la sua fede colonialista lo portò a esaltare l'impresa libica italiana. Scrisse fra l'altro un manifesto ributtante: Guerra sola igiene del mondo. Le fotografie ci mostrano un uomo con pose arroganti, i baffi arricciati e la casacca da accademico piena di medaglie. Il fascismo italiano gliene ha conferite molte, perché Marinetti ne è stato un accanito sostenitore. Con lui scompare un losco personaggio, un guerrafondaio...». Non so se mi faccio capire, al mio giornale la gente frivola non piace, o almeno non piace a me. Perfetto, disse Monteiro Rossi, ho raccolto il messaggio. Bene, aggiunse Pereira, ora andiamo alla pensione, ho trovato una pensioncina alla Graca dove non fanno tante storie, io pagherò l'anticipo se lo chiedono, però aspetto almeno altri due necrologi, caro Monteiro Rossi, questi sono la sua paga quindicinale. Senta, dottor Pereira, disse Monteiro Rossi, la ricorrenza su D'Annunzio l'ho fatta perché sabato scorso ho comprato il "Lisboa" e ho visto che c'è una rubrica che si chiama "Ricorrenze", la rubrica non è firmata ma penso che la faccia lei, però se volesse un aiuto io glielo darei volentieri, mi piacerebbe fare una rubrica di questo genere, c'è un sacco di scrittori di cui potrei parlare, e poi, visto che è una rubrica anonima, non corre il rischio di metterla nei guai. Perché, lei ha dei guai?, sostiene di aver detto Pereira. Beh, qualcuno sì, come vede, rispose Monteiro Rossi, ma se volesse un nome diverso avrei pensato a uno pseudonimo, che ne direbbe di Roxy? Mi sembra un nome ben scelto, disse Pereira. Ritirò la limonata dal tavolo e la mise nella ghiacciaia, poi si infilò la giacca e disse: ebbene, andiamo. Uscirono. Sulla piazzetta davanti al palazzo c'era un militare che dormiva steso su una panchina. Pereira ammise che non ce la faceva a fare la salita a piedi, così aspettarono un taxi. Il sole era implacabile, sostiene Pereira, e la brezza era cessata. Passò un taxi lento e Pereira lo fermò con un cenno del braccio. Durante il tragitto non parlarono. Scesero di fronte a una croce di granito che sorvegliava una minuscola cappella. Pereira entrò nella pensione ma consigliò Monteiro Rossi di aspettare fuori, si portò dietro il signor Bruno Rossi e lo presentò all'impiegato. Era un vecchietto con gli occhiali spessi che dormicchiava dietro il banco. Ho qui un amico argentino, disse Pereira, è il signor Bruno Lugones, questo è il suo passaporto, però vorrebbe mantenere l'anonimato, è qui per ragioni sentimentali. Il vecchietto si tolse gli occhiali e sfogliò il registro. Stamani ha telefonato una persona per fare una prenotazione, disse, è lei? Sono io, confermò Pereira. Abbiamo una matrimoniale senza bagno, disse il vecchietto, ma non so se per il signore va bene. Va benissimo, disse Pereira. Pagamento anticipato, disse il vecchietto, sa com'è. Pereira prese il portafoglio e tirò fuori due banconote. Le lascio tre giorni anticipati, disse, e ora buongiorno. Salutò il signor Bruno Rossi ma preferì non stringergli la mano, gli sembrava un gesto di eccessiva intimità. Buon soggiorno, gli disse. Uscì fuori e si fermò davanti a Monteiro Rossi che aspettava seduto sul bordo della fontana. Passi domattina in redazione, gli disse, oggi leggerò il suo articolo, abbiamo cose di cui parlare. Ma io, veramente..., disse Monteiro Rossi. Veramente che cosa?, chiese Pereira. Sa, disse Monteiro Rossi, pensavo che a questo punto era meglio vederci in un posto tranquillo, magari a casa sua. D'accordo, disse Pereira, ma non a casa mia, a casa mia basta, ci vediamo domani alle tredici al Café Orquìdea, che ne dice? D'accordo, rispose Monteiro Rossi, alle tredici al Café Orquìdea. Pereira gli strinse la mano e gli disse arrivederci. Pensò che sarebbe andato a piedi fino a casa sua, tanto era tutta discesa. La giornata era magnifica, e per fortuna si era messa a spirare una bella brezza atlantica. Ma non si sentiva in grado di apprezzare la giornata. Si sentiva inquieto e avrebbe avuto voglia di parlare con qualcuno, magari con padre Antùnio, ma padre Antùnio passava le giornate al capezzale dei suoi malati. E allora pensò che poteva andare a fare una chiacchierata con il ritratto di sua moglie. Così si tolse la giacca e si avviò lentamente verso casa sua, sostiene. Poi si avviò a passo lento verso la redazione pensando ai suoi ricordi. Sostiene Pereira che pensò alla sua infanzia, un'infanzia passata a Pùvoa do Varzim, con i suoi nonni, un'infanzia felice, o che lui almeno considerava felice, ma della sua infanzia non vuole parlare, perché sostiene che non ha niente a che vedere con questa storia e con quella giornata di fine agosto in cui l'estate stava declinando e lui si sentiva così confuso. Sulle scale trovò la portiera che lo salutò cordialmente e che gli disse: buongiorno dottor Pereira, niente posta per lei stamattina e nemmeno telefonate. Come, telefonate, chiese Pereira stupito, è entrata in redazione? No, disse Celeste con aria trionfante, ma stamani sono venuti gli impiegati dei telefoni accompagnati da un commissario, hanno collegato il suo telefono con la portineria, hanno detto che se in redazione non c'è nessuno è bene che qualcuno riceva le telefonate, dicono che io sono una persona di fiducia. Lei è una persona di eccessiva fiducia per questa gente, avrebbe voluto rispondere Pereira, ma non disse niente. Chiese soltanto: e se devo telefonare? Deve passare dal centralino, rispose Celeste con soddisfazione, e ora il suo centralino sono io, è a me che deve chiedere i numeri, e pensare che io non avrei voluto, dottor Pereira, lavoro tutta la mattina e devo preparare il pranzo per quattro persone, perché ho quattro bocche da sfamare, io, e a parte i figli, che si contentano, ho un marito molto esigente, quando torna dalla questura, alle quattordici, ha una fame da lupo e è molto esigente. Si sente dall'odore di fritto che aleggia sulle scale, rispose Pereira, e non disse altro. Entrò in redazione, staccò il ricevitore del telefono e prese di tasca il foglio che gli aveva consegnato Marta la sera prima. Era un articolo scritto a mano, con inchiostro azzurro, e in cima c'era scritto: Ricorrenze. Diceva: «Otto anni fa, nel 1930, moriva a Mosca il grande poeta Vladimir Majakovskji. Si uccise con un colpo di pistola, per delusioni d'amore. Era figlio di un ispettore forestale. Dopo aver aderito giovanissimo al partito bolscevico subì tre arresti e fu torturato dalla polizia zarista. Grande propagandista della Russia rivoluzionaria, fece parte dei futuristi russi, che si distinguono politicamente dai futuristi italiani, e intraprese una tournée nel suo paese a bordo di una locomotiva, recitando per i villaggi i suoi versi rivoluzionari. Suscitò l'entusiasmo del popolo. Fu artista, disegnatore, poeta e uomo di teatro. La sua opera non è tradotta in portoghese, ma può essere comprata in francese alla libreria di Rua do Ouro di Lisbona. Fu amico del grande cineasta Ejsenstejn col quale collaborò in varie pellicole. Ci lascia un'opera sterminata di prosa, poesia e teatro. Celebriamo qui il grande democratico e il fervido antizarista». Pereira, anche se non faceva troppo caldo, sentì un velo di sudore che gli fasciava il collo. Quell'articolo avrebbe voluto cestinarlo, perché era troppo stupido. Invece aprì la cartellina dei "Necrologi", e ve lo infilò. Poi si mise la giacca e pensò che era l'ora di rientrare a casa sua, sostiene. Dottor Pereira, se la vogliono la troveranno. Pereira guardò l'orologio. Erano le quattro del pomeriggio, rinunciò a salire e salutò Celeste. Senta, Celeste, disse, io me ne vado a casa perché non mi sento bene, se telefona qualcuno per me le dica di chiamarmi a casa, forse domani non vengo in redazione, mi prenderà la posta lei. Quando arrivò a casa erano quasi le sette. Indugiò a lungo al Terreiro do Palco, su una panchina, guardando i traghetti che partivano per l'altra sponda del Tago. Era bello quel fine di pomeriggio, e Pereira volle goderselo. Accese un sigaro e ne aspirò le boccate avidamente Era seduto su una panchina che guardava il fiume e vicino a lui venne a sedersi un accattone con la fisarmonica che gli suonò vecchie canzoni di Coimbra. Quando Pereira rientrò in casa non vide subito Monteiro Rossi e questo lo allarmò, sostiene. Ma Monteiro Rossi se ne stava nella stanza da bagno a fare le sue abluzioni. Mi sto facendo la barba, dottor Pereira, gridò Monteiro Rossi, fra cinque minuti sono da lei. Pereira si tolse la giacca e apparecchiò la tavola. Mise i piatti di Caldas da Rainha, quelli della sera prima. Sul tavolo collocò due candele che aveva comprato la mattina. Poi si recò in cucina e pensò a cosa poteva preparare per cena. Chissà perché gli venne in mente di fare un piatto italiano, anche se lui non conosceva la cucina italiana. Pensò di inventare un piatto, sostiene Pereira. Tagliò un'abbondante fetta di prosciutto e la lavorò in piccoli dadi, poi prese due uova e le sbatté, le riempì di formaggio grattugiato e vi versò il prosciutto, vi mescolò origano e maggiorana, amalgamò il tutto per bene poi mise una pentola d'acqua a bollire per la pasta. Quando l'acqua cominciò a bollire vi versò degli spaghetti che stavano in dispensa da qualche tempo. Monteiro Rossi arrivò fresco come una rosa, indossando la camicia color kaki di Pereira che lo avvolgeva come un lenzuolo. Ho pensato di fare un piatto italiano, disse Pereira, non so se è veramente italiano, magari è una fantasia, ma perlomeno è pasta. Che delizia, esclamò Monteiro Rossi, non la mangio da secoli. Pereira accese le candele e servì gli spaghetti. Ho tentato di telefonare a Marta, disse, ma al primo numero non risponde nessuno e al secondo risponde una signora che fa la finta tonta, ho detto perfino che volevo parlare con Marta, ma non c'è stato niente da fare, quando sono arrivato in redazione la portiera mi ha detto che mi avevano cercato, probabilmente era Marta ma cercava lei, forse è stata un'imprudenza da parte sua, comunque ora forse qualcuno sa che io sono in contatto con lei, credo che questo creerà dei problemi. E io cosa devo fare?, chiese Monteiro Rossi. Se ha un posto più sicuro è meglio che ci vada, altrimenti resti qui e staremo a vedere, rispose Pereira. E portò in tavola le ciliege sotto spirito e ne prese una senza sugo. Monteiro Rossi si riempì il bicchiere. In quel momento sentirono bussare alla porta. Erano colpi decisi come se volessero sfondarla. Pereira si chiese come erano riusciti a passare dal portone di sotto e rimase qualche secondo in silenzio. I colpi si ripeterono in maniera furiosa. Chi è, chiese Pereira alzandosi, cosa volete? Aprite, polizia, aprite la porta o la facciamo saltare a revolverate, rispose una voce. Monteiro Rossi arretrò precipitosamente verso le camere, ebbe soltanto la forza di dire: i documenti, dottor Pereira, nasconda i documenti. Sono già al sicuro, lo tranquillizzò Pereira, e si diresse verso l'ingresso per aprire la porta. Quando passò davanti al ritratto di sua moglie gettò uno sguardo complice a quel sorriso lontano. Poi aprì la porta, sostiene.