/<1994>/ E' l'unico segnale dell'esistenza di arsenali ad Ostia per la costruzione e la riparazione del naviglio. Finora, infatti, gli scavi non ne hanno trovato traccia; ma, ricordiamo, il territorio ostiense è stato esplorato solo in parte, tralasciando soprattutto la zona fluviale e portuale. L'attribuzione a questa corporazione è motivata dalla presenza, sul lato opposto del decumano, di un tempio collegiale dell'età di Commodo (180-192 d.C.), riferito proprio all'associazione professionale dei costruttori di navi. Lo si legge sulla base di una statua dedicata ad un patrono di questi professionisti, collocata nel cortile in fondo al quale sorgeva il tempio. Ma i marmi di questo cortile ci raccontano anche la fase della decadenza di Ostia: furono infatti immagazzinati qui nel IV secolo, quando il tempio non era più in funzione, essendo l'associazione dei costruttori di navi ormai estinta, ed in disuso gli arsenali e il porto. Subito dopo, sullo stesso lato del decumano, incontriamo un altro edificio religioso, la cosiddetta basilica cristiana, costruita nell'ultima fase dell'età imperiale (fine del IV secolo) al posto di una strada che collegava il decumano stesso con via della Foce. La costrizione dello spazio è evidente nella singolare pianta dell'edificio, con una sorta di vestibolo costituito da due antinavate parallele diviso da un colonnato, fiancheggiate da tre ambienti definiti come "cappelle". Seguono le navate vere e proprie, fra le quali corre un'analoga serie di colonne, terminanti con due absidi. Accanto all'edificio di culto sorgono le terme della basilica cristiana, con ingresso su via della Foce, con la quale il decumano si incrocia a qualche metro di distanza. Oltre ai consueti ambienti per i bagni presentano una palestra per gli esercizi ginnici, assai rara nelle terme ostiensi, ed un giardino. Il piccolo complesso, anteriore all'edificio basilicale, era probabilmente in disuso, quando questo fu costruito: tre ambienti della basilica occuparono così lo spazio dei praefurnia, gli impianti di riscaldamento. Il quadro delle variegate testimonianze religiose che caratterizzano questa zona della città nell'avanzata età imperiale è completato dal mitreo delle pareti dipinte, di età antonina, attiguo alle terme. Ricavato, come quasi tutti i luoghi di culto dedicato al dio Mitra, da un ambiente di una normale domus, presenta i consueti lunghi banconi o podii lungo le pareti laterali e l'altare a gradini sul fondo, dove è stata ricomposta l'originaria ara marmorea con rilievi rappresentanti lo stesso Mitra affiancato dai geni del bene e del male, Cautes e Cautopates. Le pareti dipinte rievocate dal nome del mitreo rappresentano rispettivamente quadretti paesistici in diversi pannelli e i successivi gradi di iniziazione. Il centro commerciale di Ostia Antica Siamo così tornati al bivio del castrum, uno degli snodi più importanti della vita cittadina. Vi si affaccia il macellum, o mercato generale, collocato in un grande edificio trapezoidale. In età tardo-repubblicana sorgeva qui una domus signorile, che sotto Augusto subì una prima trasformazione. Vi fu poi sistemato da Traiano il macellum, completato sotto il suo successore Adriano nella fase più brillante della vita ostiense. Vi si entra dal decumano, dove si affaccia un ingresso monumentale, decorato da un protiro con colonne corinzie. Di qui ha inizio un portico che costeggia anche la via del Pomerio, sulla quale si apre un ingresso secondario. Alla metà del III secolo, ai lati dell'ingresso vennero inserite nel portico due botteghe, le tabernae dei pescivendoli, con lo scopo evidente di riunire la vendita del pesce a quella della carne e delle altre derrate. Si tratta di ambienti di un certo tono, rivestiti di marmo, ornati di mosaici riferiti alla pesca, con vivai-fontane in cui mantenere vivo il pesce fino al momento dello smercio. Dal portale intermedio si passa nel vasto piazzale interno con pavimento in marmo e vasca centrale, in fondo al quale era un colonnato sostenuto da un podio; al di sotto si estendono i depositi. Ancora nel IV-V secolo, nella fase della decadenza di Ostia, il macellum mantenne la sua importanza; fu infatti restaurato da un esponente dei Simmaci, una delle più illustri famiglie dell'aristocrazia non solo di Ostia, ma della Roma tardo-antica, divisa tra fautori di un cristianesimo ormai vittorioso e nostalgici di una tradizione pagana che aveva accompagnato l'arco vitale di un impero ormai giunto alla fine. Usciti dall'ingresso secondario di via del Pomerio, proseguiamo lungo questa strada che, come il nome ci dice chiaramente, segue un tratto dell'antica striscia di terreno sacro che correva lungo le mura delle città romane, il pomerium, appunto. Ne seguiamo il tracciato piegando su via del Tempio rotondo; questa prende il nome dal tempio visibile dalla piazza del Foro, presso la quale siamo tornati dopo il nostro lungo girovagare fra i quartieri sud-occidentali. Sulla strada, in realtà, non si affaccia direttamente l'edificio sacro (vi prospetta la parte posteriore della cella), ma la domus del tempio rotondo, i cui caratteri architettonici ne evidenziano le diverse fasi. Al centro è il tradizionale cortile porticato, sul quale si affaccia il tablinum, con un solenne ingresso a colonne e pavimento in opus sectile; alcuni ambienti a sinistra furono addirittura dotati di un impianto di riscaldamento. Per di più, essendo l'interesse per questa parte del parco prettamente naturalistico, le visite sono limitate ai mesi che vanno da ottobre a maggio, evitando il periodo estivo per non disturbare gli uccelli di passo. E' certo, comunque, che la divisione fra area demaniale e area privata impedisce di apprezzare l'inscindibile unità dei due bacini portuali, costringendo il visitatore ad un duplice approccio, che non è certamente l'ideale per farsi un quadro chiaro dell'importantissimo complesso imperiale. La visita viene effettuata con carrozze trainate da cavalli (ogni tipo di motore è bandito) che percorrono 3 km di viali alberati tracciati intorno al bacino esagonale. Dall'ingresso, un vialetto rettilineo porta al vertice nord-orientale dell'esagono voluto da Traiano, una forma che non trova riscontri in imprese analoghe e della quale occorre ancora approfondire le motivazioni, certo non solamente estetiche, né esclusivamente obbligate da precedenti costruzioni. La creazione del bacino richiese lo scavo e la rimozione di 28 milioni di metri cubi di sabbia; furono costruiti 640.000 metri cubi di banchina in muratura e una fitta serie di magazzini. Nonostante le distruzioni ottocentesche, "onde profittare, scrive il Canina, del materiale per edificare la nuova borgata di Fiumicino", sono ancora identificabili alcune costruzioni, come gli horrea vinaria (magazzini del vino), sul lato I dell'esagono; il tempio di Bacco, a pianta rotonda, con colonne corinzie, così detto per la statua del Dio ritrovata nel Cinquecento e gettata in mare perché "empia manifestazione del culto profano" (lato II); gli horrea olearia (magazzini dell'olio) sul lato III, dove sono visibili le mura interne che collegano la banchina alla cinta esterna costantiniana, con una porta chiamata nel Medioevo arco di Santa Maria; due ampi spiazzi identificabili come cortili o come piazze pubbliche, dai quali si potrebbe dedurre la presenza di una zona residenziale (lato IV). Il lato V, di raccordo con il porto di Claudio, presenta costruzioni particolarmente asimmetriche ed era aperto verso la darsena, mentre sul lato VI prospetta il grande complesso residenziale imperiale. Fra il bacino e la via Portuense, nella zona attualmente occupata dal cimitero di Fiumicino, si ritiene siano interrati altri magazzini. Il bacino è stato riportato in parte al suo aspetto primitivo, quando è stato liberato dal terriccio e riempito d'acqua nel corso dei lavori di bonifica, per essere utilizzato come enorme serbatoio idrico per l'irrigazione. Il Lanciani, che ebbe modo di studiare il bacino di Traiano quando era ancora a secco, ne sottolinea la perfezione della costruzione in opus reticulatum, con il cornicione e le trabeazioni modellati in terracotta, i pavimenti di mosaico e i funzionali sistemi di drenaggio e ventilazione. E nell'esaltarne i pregi, l'archeologo ricorda che in quegli anni intorno al 1860 il proprietario del terreno e delle rovine, principe Alessandro Torlonia, aveva condotto scavi per cinque anni consecutivi, "compiendo più danni al porto, in questo poco tempo, di quanto avessero fatto quindici secoli di abbandono e desolazione". Gli studi su questa preziosa gemma dell'archeologia romana attendono ancora, lo abbiamo visto, di essere affrontati; è per questo che oggi prevale un altro fondamentale elemento di interesse, quello naturalistico. Il "Lago del porto di Traiano" è stato inserito ufficialmente fra le tredici aree umide più importanti del Lazio. Si tratta infatti di un luogo d'importanza strategica per le migrazioni di uccelli acquatici, in una zona nella quale sono scarsissime le aree adatte alla sosta lungo le principali rotte di migrazione, che seguono la linea costiera. Isola Sacra Il quadrilatero tracciato da Traiano con la costruzione del delta artificiale del Tevere, chiamato nella tarda antichità Isola Sacra, forse in relazione ai riti che vi si celebravano, era destinato prevalentemente all'agricoltura, anzi, per maggior precisione, alla coltivazione dei fiori, oltre che alla pastorizia. Lo conferma la bella descrizione che nel IV secolo d.C. ne fece il geografo Aeticus: "... è così verde e amena, che non manca di ammirabili foraggi, né nei mesi estivi, né in quelli invernali... rose e altre piante crescono.