/<1985>/ PERCHE' SI DIMENTICA IL SOGNO DOPO IL RISVEGLIO Che al mattino il sogno "si dissolva", è proverbiale. Ma, naturalmente, lo si può ricordare. Difatti conosciamo il sogno solo attraverso il ricordo che ce ne rimane dopo il risveglio; ma molto spesso ci pare di ricordarne soltanto una parte, mentre nella notte esso era assai più ricco. Possiamo notare come il ricordo, ancora vivido al mattino, svanisca durante il giorno lasciando minuscoli frammenti; sappiamo spesso di aver sognato, ma non che cosa, e siamo talmente abituati all'esperienza che il sogno è soggetto a dimenticanza, da non trovare assurdo che possa aver sognato anche chi al mattino nulla sa del contenuto del sogno e neppure del fatto d'aver sognato. D'altra parte si verifica che certi sogni persistono nella memoria con straordinaria tenacia. In alcuni miei pazienti, ho analizzato sogni che risalivano a venticinque anni prima o anche oltre; io stesso ricordo un sogno che risale perlomeno a trentasette anni fa e che tuttavia ha mantenuto intatta la sua freschezza. Tutto ciò è assai strano e a prima vista incomprensibile. L'esame più minuzioso del fatto di dimenticare i sogni è stato compiuto da Strumpell. Si tratta evidentemente di un fenomeno complesso, visto che questo studioso lo riconduce non a uno solo, ma a tutta una serie di motivi. In primo luogo, sono validi anche per il sogno tutti quei motivi che provocano la dimenticanza nella vita vigile. Da svegli siamo soliti dimenticare immediatamente infinite sensazioni e percezioni, o perché erano troppo deboli o perché l'eccitamento psichico a esse legato era troppo tenue. Lo stesso accade a molte immagini oniriche, che vengono dimenticate perché troppo deboli, mentre si ricordano immagini, a esse vicine, più forti. Del resto il momento dell'intensità non è di per sé decisivo nella conservazione delle immagini oniriche: insieme ad altri studiosi, Strumpell ammette che spesso si dimenticano rapidamente immagini oniriche di cui sappiamo che sono state vivissime, e se ne ricordano di scialbe e insignificanti. Inoltre, da svegli si tende a dimenticare con facilità quel che è accaduto una volta sola e a ricordare meglio quel che ci ha colpito più volte. Ma le raffigurazioni oniriche sono per lo più episodi unici e quindi questa caratteristica contribuirà in ugual misura alla dimenticanza di tutti i sogni. Molto più importante è un terzo motivo di dimenticanza. Per giungere a una certa dimensione mnemonica, sensazioni, rappresentazioni e idee non debbono restare isolate, ma stabilire tra loro adeguate relazioni e associazioni. Se si scompone un breve verso e se ne mescolano a caso le parole, diventa difficile ricordarlo. "Disposte secondo un ordine continuo e logico, una parola aiuta l'altra e il tutto rimane facilmente fissato, con un senso preciso, nella memoria. In genere le assurdità si ricordano difficilmente e raramente, come tutto ciò che è disordinato e confuso." Ora, nella maggior parte dei casi, i sogni mancano di comprensibilità e di ordine. Le composizioni oniriche non hanno in sé la possibilità d'essere ricordate e vengono dimenticate, perché generalmente si scompongono sin dai primi momenti. La situazione così esposta non concorda però pienamente con quanto Radestock dichiara d'aver osservato, vale a dire che si ricordano meglio proprio i sogni più strani. Secondo Strumpell, nell'oblio del sogno intervengono con efficacia ancor maggiore altri momenti, che derivano dal rapporto fra sogno e veglia. La facilità della coscienza vigile a dimenticare i sogni evidentemente non è altro che il corrispettivo del fatto, accennato in precedenza, che il sogno non toglie (quasi) mai dalla vita del giorno ricordi ben ordinati, ma solo particolari strappati ai contesti psichici abituali, nei quali vengono ricordati durante la veglia. La composizione onirica non ha quindi un posto proprio nel corteo degli eventi psichici. Le manca ogni sussidio di memoria. In questo modo il risultato onirico si stacca, per così dire, dal terreno della nostra vita psichica e aleggia nello spazio psichico come una nuvola in cielo, che un soffio più vigoroso rapidamente disperde. Nello stesso senso agisce il fatto che al risveglio il mondo sensoriale, premendo da ogni dove, attira immediatamente l'attenzione su di sé, in modo tale che pochissime immagini riescono a resistergli. Esse svaniscono davanti alle impressioni della nuova giornata come lo splendore delle stelle davanti alla luce del sole. In questo senso è quindi vero, per un certo numero di sogni, che l'elemento somatico impone il contenuto del sogno. In questo caso estremo, per la formazione del sogno vien persino evocato un desiderio non propriamente attuale. Ma il sogno altro non può che rappresentare un desiderio in una certa situazione come appagato; è posto, per così dire, dinanzi al compito di trovare quale desiderio possa essere rappresentato come appagato per mezzo della sensazione ora attuale. Se questo materiale attuale è di carattere doloroso o penoso, non per questo è inutilizzabile per la formazione del sogno. La vita psichica dispone anche di desideri il cui appagamento provoca dispiacere, cosa che sembra contraddittoria, ma che diventa comprensibile quando ci si richiami alla presenza di due istanze psichiche e alla censura esistente fra esse. Come abbiamo visto, si trovano nella vita psichica desideri rimossi che appartengono al primo sistema e al cui appagamento si oppone il secondo sistema. "Si trovano" non è inteso storicamente, nel senso che simili desideri sono esistiti e poi sono stati distrutti; per la teoria della rimozione - cui bisogna ricorrere nelle psiconevrosi - simili desideri rimossi esistono ancora, ma contemporaneamente esiste un'inibizione che pesa su di essi. Il linguaggio colpisce nel giusto quando parla della repressione di tali impulsi. L'organizzazione psichica, che permette a codesti desideri repressi di realizzarsi, rimane intatta e utilizzabile. Se però accade che uno di essi venga attuato, l'inibizione ormai vinta del secondo sistema - quello capace di giungere alla coscienza - si manifesta come dispiacere. Per concludere: se nel sonno sono presenti sensazioni di origine somatica con carattere spiacevole, questa costellazione viene usata dal lavoro onirico per rappresentare l'appagamento di un desiderio, che di solito è represso, con maggiore o minore intervento della censura. Questo stato di cose rende possibile una serie di sogni angosciosi, mentre un'altra categoria di creazioni oniriche di questo tipo, sfavorevoli alla teoria del desiderio, rivela un meccanismo diverso. Infatti, l'angoscia nei sogni può essere un'angoscia psiconevrotica, può derivare da eccitamenti psicosessuali e in questo caso corrisponde a libido rimossa. Allora l'angoscia - come tutto il sogno angoscioso - ha il significato di un sintomo nevrotico, e noi ci troviamo al punto limite in cui la tendenza onirica all'appagamento di un desiderio fallisce. In altri sogni d'angoscia, la sensazione di angoscia è invece data somaticamente (come negli ammalati di polmoni e di cuore, che presentano una difficoltà accidentale di respirazione) e viene quindi usata per procurare l'appagamento del sogno a desideri energicamente repressi, il cui sogno, indotto da motivi psichici, avrebbe avuto come conseguenza la stessa liberazione di angoscia. Non è difficile associare questi due casi, apparentemente discordanti. Delle due formazioni psichiche - una tendenza affettiva e un contenuto rappresentativo - che sono intimamente connesse, l'una, quella che si dà attualmente, sostiene anche in sogno l'altra; ora è l'angoscia data somaticamente a richiamare il contenuto rappresentativo represso, ora è il contenuto rappresentativo, liberato dalla rimozione e accompagnato da eccitamento sessuale, a richiamare la scarica d'angoscia. Nel primo caso si può dire che un affetto, dato somaticamente, viene interpretato psichicamente; nell'altro, tutto è dato psichicamente, ma il contenuto ch'era stato represso può essere facilmente sostituito da un'interpretazione somatica che si accorda all'angoscia. Le difficoltà che qui si oppongono alla comprensione hanno poco a che fare col sogno; esse derivano da fatto che nel corso di queste considerazioni sfioriamo il problema del formarsi dell'angoscia e il problema della rimozione. Al gruppo degli stimoli onirici dominanti, d'origine organica interna, appartiene senza dubbio la tonalità cenestesica organica. Non che questa possa fornire il contenuto del sogno; ma impone ai pensieri del sogno una scelta del materiale che deve servire alla rappresentazione nel contenuto onirico, in quanto appoggia una parte di questo materiale, che corrisponde alla sua natura, e respinge l'altra. Oltre a ciò, l'umore generale della giornata è connesso con i residui psichici, così importanti per il sogno. Questa disposizione dell'umore può inoltre mantenersi immutata nel sogno, o può essere superata e quindi trasformarsi, se spiacevole, nel suo contrario. Se le fonti di stimolo somatiche durante il sonno - le sensazioni del sonno, dunque - non sono eccezionalmente intense, svolgono a mio avviso, nella formazione del sogno, una parte analoga a quella delle impressioni rimaste in quanto recenti, ma indifferenti, dal giorno precedente. Quale carattere principale di questi processi, si riconosce il fatto che ogni valore è dato dall'energia d'investimento, allo scopo di renderla mobile e capace di scaricarsi; il contenuto e il significato proprio degli elementi psichici, ai quali sono annesse queste cariche energetiche, diventano secondari. Si potrebbe anche ritenere che la condensazione e la formazione di compromessi si verifichino unicamente al servizio della regressione, quando si tratta di convertire i pensieri in immagini. Ma dalla analisi e, in modo ancor più chiaro, dalla sintesi di sogni che mancano della regressione a immagini, per esempio dal sogno "Autodidasker", risultano gli stessi processi di spostamento e di condensazione che si ritrovano negli altri sogni. Dobbiamo dunque ammettere che alla formazione del sogno partecipano due tipi di processi psichici, di natura diversa; uno crea pensieri onirici perfettamente corretti, equivalenti al pensiero normale; l'altro procede con essi in modo assai strano, scorretto. Già nel capitolo 6 abbiamo isolato quest'ultimo processo, definendolo lavoro onirico vero e proprio. Ma che cosa abbiamo ora da dire a proposito della sua derivazione? Non saremmo in grado a questo punto di dare una risposta, se non fossimo penetrati per un certo tratto nella psicologia delle nevrosi, specialmente dell'isteria. Questa ci insegna che i medesimi processi psichici scorretti - e altri non ancora elencati - dominano la produzione dei sintomi isterici. Anche nell'isteria troviamo, in un primo tempo, una serie di pensieri perfettamente corretti, assolutamente equivalenti ai nostri pensieri coscienti, della cui esistenza però nulla possiamo sapere finché sono in questa forma, e che noi ricostruiamo soltanto in un secondo tempo. Se in qualche punto si infiltrano nella nostra percezione, dall'analisi del sintomo in atto desumiamo che questi pensieri normali hanno subito un trattamento anormale e sono stati tradotti nel sintomo mediante condensazione, formazione di compromessi, per associazioni superficiali, per occultamento delle contraddizioni, eventualmente procedendo nel senso della regressione. Considerando la piena identità esistente tra le peculiarità del lavoro onirico e quelle dell'attività psichica che sbocca nei sintomi psiconevrotici, ci riterremo autorizzati a trasferire al sogno le conclusioni cui ci costringe l'isteria. Dalla teoria dell'isteria deduciamo il principio seguente: una tale elaborazione psichica anormale di una successione di pensieri normale si verifica solo quando quest'ultima si è fatta traslazione di un desiderio inconscio, che deriva dal materiale infantile e si trova in stato di rimozione. In accordo a questo principio, abbiamo fondato la teoria del sogno sull'ipotesi che il desiderio motore del sogno abbia origine in ogni caso dall'inconscio, il che, come abbiamo ammesso noi stessi, non sempre si può dimostrare, ma nemmeno respingere. Per poter dire però che cosa sia la "rimozione", parola, questa, con cui abbiamo tanto spesso giocato, dobbiamo andare avanti nella costruzione della nostra impalcatura psicologica. Ci eravamo immersi nella finzione di un apparato psichico primitivo, il cui lavoro è regolato dallo sforzo di evitare un'accumulazione di eccitamento e di mantenersi il più possibile privo di stimoli. Per questa ragione, esso era costruito secondo lo schema di un apparato riflesso; la motilità, cioè in un primo tempo la strada che porta al mutamento interno del corpo, era la via di scarico a sua disposizione. Abbiamo discusso poi le conseguenze psichiche di un'esperienza di soddisfacimento e già avremmo potuto inserire la seconda ipotesi, secondo la quale un'accumulazione di eccitamento - seguendo determinate modalità che non debbono preoccuparci - viene sentita come dispiacere e mette in moto l'apparato, allo scopo di ottenere nuovamente lo stato di soddisfacimento, in cui la riduzione dell'eccitamento viene provata come piacere. Chiamiamo desiderio codesta corrente all'interno dell'apparato, che parte dal dispiacere e mira al piacere; abbiamo detto che nulla, fuorché un desiderio, è in grado di mettere in moto l'apparato e che in esso il decorso dell'eccitamento è regolato automaticamente dalle percezioni di piacere e dispiacere. E' probabile che il primo atto di desiderio sia stato un investimento allucinatorio del ricordo di soddisfacimento. Ma quest'allucinazione - a meno di non serbarla sino all'esaurimento - si rivelò incapace di provocare la cessazione del bisogno, vale a dire il piacere legato al soddisfacimento. Si rese così necessaria una seconda attività - nei nostri termini, l'attività di un secondo sistema - che non permettesse all'investimento del ricordo di avanzare fino alla percezione e di legare, a partire di lì, le forze psichiche, ma guidasse l'eccitamento proveniente dallo stimolo di bisogno per una via indiretta, la quale infine, attraverso la motilità volontaria, trasformasse il mondo esterno e lo trasformasse in modo tale da consentire la percezione reale dell'oggetto di soddisfacimento. Abbiamo già seguito fino a questo punto lo schema dell'apparato psichico. A una gita alla bella Hallstatt, fatta nell'estate del 1896 partendo da Aussee, debbo due sogni, uno di mia figlia allora di otto anni e mezzo, l'altro di mio figlio di cinque anni e tre mesi. Premetto che quell'estate abitavo su una collina, presso Aussee, da dove con il bel tempo si godeva un magnifico panorama sul Dachstein. Col cannocchiale si poteva riconoscere distintamente il Rifugio Simony. I piccoli tentavano spesso di vederlo: non so con che risultato. Prima della gita avevo detto ai bambini che Hallstatt si trova ai piedi del Dachstein. La loro attesa era grande. Da Hallstatt passammo nella valle dell'Echern, che li entusiasmò col suo mutevole paesaggio. Uno però, il bambino di cinque anni, divenne man mano di cattivo umore. Ogni volta che appariva un nuovo rilievo, chiedeva: "E' il Dachstein, questo? " Al che dovevo rispondergli: "No, è solo una collina." Dopo aver ripetuto parecchie volte la domanda, ammutolì e non volle assolutamente seguirci per il sentiero a gradini che porta alla cascata. Pensai che fosse stanco. Il mattino dopo venne da me tutto beato e mi raccontò: "Stanotte ho sognato che siamo stati al Rifugio Simony." Ora lo capivo: quando avevo parlato del Dachstein, aveva pensato che nella gita a Hallstatt saremmo saliti sul monte e avremmo visto da vicino il rifugio di cui si era così tanto parlato accanto al cannocchiale. Quando poi si accorse che lo si voleva accontentare con alcuni colli e una cascata, si sentì ingannato e diventò di cattivo umore. Il sogno lo ricompensò della delusione. Tentai di sapere alcuni particolari del sogno, ma erano miseri. "Si salgono scalini per sei ore", come aveva sentito dire. Anche nella bambina di otto anni e mezzo la gita destò desideri che il sogno fu costretto a soddisfare. Avevamo portato con noi a Hallstatt il figlio dodicenne del nostro vicino, un perfetto cavaliere che mi sembrava godere già di tutte le simpatie della signorinetta. Il mattino dopo ella mi raccontò questo sogno: "Pensa un po', ho sognato che Emil è uno di noi, chiama voi mamma e papà e dorme con noi nella stanza grande, come i ragazzi. Poi la mamma entra nella stanza e butta sotto i nostri letti una manciata di tavolette di cioccolata avvolta in carta blu e verde." I suoi fratelli, i quali dunque non s'intendono per trasmissione ereditaria di interpretazione dei sogni, dichiararono, proprio come i nostri studiosi: "E' un sogno assurdo." La bambina difese almeno una parte del sogno, e, per la teoria delle nevrosi, è prezioso sapere quale: "Che Emil faccia parte della nostra famiglia, è una sciocchezza, ma le stecche di cioccolata no." Per me, proprio queste erano oscure. La mamma me ne diede la spiegazione. Tornando a casa dalla stazione, i bambini si erano fermati davanti all'apparecchio automatico, desiderando appunto certe tavolette di cioccolata, avvolte in una lucente carta metallica, che l'apparecchio distribuiva, come ben sapevano per propria esperienza. La mamma però aveva giustamente ribattuto che quel giorno aveva già appagato tanti desideri e aveva riservato quest'ultimo al sogno. A me il piccolo episodio era sfuggito. Mi era però perfettamente chiara la parte del sogno scartata da mia figlia. Io stesso avevo udito l'ospite ben educato invitare per strada i bambini ad aspettare che mamma o papà li raggiungesse. Di questa temporanea appartenenza, il sogno della piccina fece un'adozione duratura. La sua tenerezza non conosceva altre forme di vita in comune oltre quelle riportate nel sogno, che sono tratte dal rapporto con i fratelli. Naturalmente non era possibile, senza interrogare la piccola, spiegare perché le stecche di cioccolata venissero buttate sotto il letto. Un sogno molto simile a quello di mio figlio mi è stato raccontato da amici. Riguarda una bambina di otto anni. Il padre aveva fatto con molti bambini una gita a Dornbach per visitare la Capanna Rohrer, ma tornò indietro perché si era fatto tardi e promise ai bambini di ripetere la gita un'altra volta. Al ritorno passarono davanti al cartello che indica la via per lo Hameau. I bambini pretesero allora di esservi condotti, ma anche questa gita, per lo stesso motivo, venne rimandata a un altro giorno. Il mattino seguente la bambina di otto anni andò soddisfatta incontro al padre dicendogli: "Papà, oggi ho sognato che sei stato con noi alla Capanna Rohrer e allo Hameau." La sua impazienza aveva dunque anticipato la realizzazione della promessa fattale dal padre. Altrettanto sincero è un altro sogno, indotto in mia figlia di tre anni e tre mesi dal bel paesaggio di Aussee. La piccola aveva attraversato per la prima volta il lago, e il tempo della traversata le era passato troppo in fretta. Al ponte di sbarco non volle lasciare la barca e si mise a piangere amaramente. Il mattino dopo mi racconta: "Stanotte sono stata sul lago." Speriamo che la durata di questo viaggio onirico le abbia dato maggior soddisfazione.