/<1954>/ Lunedì 15 giugno 1942 Nel pomeriggio di domenica ho festeggiato il mio compleanno. Fu proiettato un film, Il guardiano del faro, con Rintin-tin, che è piaciuto molto ai miei compagni di scuola. Ci divertimmo molto e ci trovammo perfettamente affiatati. C'era una quantità di ragazzi e ragazze. Mamma vuol sempre sapere chi sposerò. Non sospetta nemmeno che sia Peter Wessel, perché una volta con una gran faccia tosta sono riuscita a furia di chiacchiere a toglierle quell'idea dalla testa. Lies Goosens e Sanne Houtman sono state per anni le mie migliori amiche. Poi ho conosciuto Jopie de Waal al Liceo ebraico. Ora è lei la mia migliore amica, e stiamo molto insieme. Lies è più legata con un'altra ragazza e Sanne è passata in un'altra scuola, dove ha fatto nuove amicizie. Sabato, 20 giugno 1942 Per alcuni giorni non ho scritto nulla, perché prima ho voluto riflettere un poco su questa idea del diario. Per una come me, scrivere un diario fa un curioso effetto. Non soltanto perché non ho mai scritto, ma perché mi sembra che più tardi né io né altri potremo trovare interessanti gli sfoghi di una scolaretta di tredici anni. Però, a dire il vero, non è di questo che si tratta; a me piace scrivere e soprattutto aprire il mio cuore su ogni sorta di cose, a fondo e completamente. "La carta è più paziente degli uomini"; rimuginavo entro di me questa massima in una delle mie giornate un po' melanconiche mentre sedevo annoiata colla testa fra le mani, incerta se uscire o restare in casa, e finivo col rimanermene nello stesso posto a fantasticare. Proprio così, la carta è paziente, e siccome non ho affatto intenzione di far poi leggere ad altri questo quaderno rilegato di cartone che porta il pomposo nome di "diario", salvo il caso che mi capiti un giorno di trovare un amico o un'amica che siano veramente l'amico o l'amica, così la faccenda non riguarda che me. Eccomi al punto da cui ha preso origine quest'idea del diario: io non ho un'amica. Per essere più chiara debbo aggiungere una spiegazione, giacché nessuno potrebbe credere che una ragazza di tredici anni sia sola al mondo. Neppur questo è vero: ho dei cari genitori e una sorella di sedici anni; conosco, tutto sommato, una trentina di ragazze di alcune delle quali potreste dire che sono mie amiche, ho un corteo di adoratori che mi guardano negli occhi e, se non possono fare altrimenti, in classe cercano di afferrare la mia immagine servendosi di uno specchietto tascabile. Ho dei parenti, care zie e cari zii, un buon ambiente familiare; no, apparentemente non mi manca nulla, salvo l'amica. Con nessuno dei miei conoscenti posso far altro che chiacchiere, né parlar d'altro che dei piccoli fatti quotidiani. Non c'è modo di diventare più intimi, ecco il punto. Forse questa mancanza di confidenza è colpa mia; comunque è una realtà, ed è un peccato non poterci far nulla. Perciò questo diario. Allo scopo di dar maggior rilievo nella mia fantasia all'idea di un'amica lungamente attesa, non mi limiterò a scrivere i fatti nel diario, come farebbe qualunque altro, ma farò del diario l'amica, e l'amica si chiamerà Kitty. Perché la finzione del mio racconto a Kitty non sembri troppo spinta e grossolana, bisogna che prima racconti brevemente la storia della mia vita, sebbene a malincuore. Mio padre aveva trentasei anni quando sposò mia madre che ne aveva venticinque. Mia sorella Margot nacque nel 1926 a Francoforte sul Meno; venni poi io il 12 giugno 1929, e siccome siamo ebrei puri, nel 1933 emigrammo in Olanda, dove mio padre fu assunto come direttore della Travies N. V. Questa è in stretta relazione con la ditta Kolen & C., che ha sede nello stesso edificio, e di cui papà è socio. La nostra vita trascorre in un'inevitabile ansia. Il giorno dopo, per conseguenza, mi sono messa a lavorare sodo. Non ho affatto voglia di ripetere ancora la prima, a quattordici o quindici anni. Poi il discorso cadde sui libri; pare che non ci siano quasi letture adatte a me. Mamma sta leggendo Heeren, Vrouwen en Knechten; (io non lo posso avere, Margot sì). Bisogna che io cresca ancora un poco, come la mia bravissima sorella. Quindi parlammo della mia ignoranza in filosofia, psicologia e fisiologia, di cui non so proprio nulla; forse l'anno prossimo sarò più sapiente (quelle parole difficili sono andata a cercarmele in fretta sul dizionario). Sono giunta alla terribile conclusione che non ho che un vestito con le maniche lunghe e tre giacchette, per l'inverno. Il babbo mi ha dato il permesso di farmi un golf di lana bianca; la lana non è molto bella, ma quel che conta è che tenga caldo. Abbiamo ancora dei vestiti in casa di altra gente; purtroppo non potremo ritirarli che dopo la guerra, se ci saranno ancora. Mentre ti stavo scrivendo qualcosa sulla signora, ecco che capita lei. Paf! chiuso il libro! «Ehi! Anna, posso dare un'occhiata?» «No, signora.» «Nemmeno all'ultima pagina?» «Nemmeno, signora.» Mi spaventai molto, perché appunto in quella pagina lei non faceva una gran bella figura. La tua Anna Venerdì, 25 settembre 1942 Cara Kitty, ieri sera andai sopra "in visita" dai Van Daan, per discorrere un poco. Qualche volta ci si trova bene, con loro. Si mangiano biscotti alla naftalina (la scatola è tenuta in un guardaroba con naftalina contro le tarme) e si beve limonata. Il discorso cadde su Peter. Raccontai che Peter sovente mi accarezza il viso, e che questo mi secca, perché non mi piacciono i ragazzi che mettono le mani addosso. Nel modo tipico di fare dei genitori mi domandarono poi se ho simpatia per Peter, perché lui ha molta simpatia per me. Pensai "ahimé" e dissi «Oh! No! Figurati!». Aggiunsi pure che Peter ha un modo di agire un po' goffo, e che pensavo fosse timido, come succede a tutti i giovani che non sono stati molto insieme alle ragazze. Debbo dirti che il Comitato del Rifugio Segreto (reparto maschile), è molto ingegnoso. Senti che cosa hanno pensato per dar notizie di noi al signor Van Dijk, gerente responsabile della ditta Travies, buon amico e custode dei nostri beni nascosti. Battono a macchina una lettera a un droghiere delle Fiandre Zelandesi, cliente della ditta, includendovi la risposta che costui deve spedire dopo averla messa in una busta pure allegata. Sulla busta papà scrive l'indirizzo. Quando questa busta torna indietro dalla Zelanda, tolgono la lettera e la sostituiscono con un biglietto scritto a mano da papà, per dar segno di vita. Così il signor Van Dijk lo può leggere senza sospettare nulla. Hanno scelto la Zelanda perché è vicina al Belgio e così la lettera potrebbe esser venuta di contrabbando da oltre confine; e per di più nessuno ci può andare senza speciale permesso. La tua Anna Domenica, 27 settembre 1942 Cara Kitty, per l'ennesima volta ho bisticciato colla mamma; purtroppo non andiamo d'accordo, e non m'intendo nemmeno con Margot. Sebbene nella nostra famiglia non avvengano scenate come quelle di sopra, è un pezzo che io non mi trovo più bene. Le nature di Margot e di mamma mi sono estranee; comprendo le mie amiche meglio di mia madre. Che peccato! Ieri sera ho trovato una novità: guardare con un cannocchiale nelle stanze illuminate dei vicini. Di giorno le nostre tendine non possono restare aperte nemmeno di un centimetro, ma quando è buio non c'è nessun pericolo. Prima non sapevo che i vicini possano essere gente tanto interessante, almeno i nostri. Alcuni li ho colti a pranzo, una famiglia stava girando dei film e il dentista di fronte stava curando una vecchia signora paurosa. Il signor Dussel, l'uomo di cui si è sempre detto che sa star tanto bene coi bambini e che li ama tanto, ora si rivela come il pedagogo più antiquato che esista, e fa delle prediche lunghe un chilometro per insegnarmi le buone maniere. Siccome ho la fortuna di dividere la mia camera, troppo piccola ahimé, col nobilissimo ed educatissimo signore, e siccome in generale sono considerata la peggio educata dei tre giovani, così debbo faticare abbastanza per sottrarmi alle sue ammonizioni e ramanzine sempre ripetute e alquanto stantie, e finisco col far l'indiana. E tutto ciò sarebbe niente, se il signore non fosse quella gran spia che è e non andasse a riportar tutto a mamma. Così, quando mi son presa da lui un rabbuffo di prua, la mamma ricomincia da capo, e mi prendo una raffica di poppa. Se proprio son fortunata, cinque minuti dopo la signora mi chiama a render conto del mio operato, ed ecco che mi prendo una folata dall'alto. Certo, non devi credere che sia facile essere "la maleducata" in una famiglia di rifugiati criticoni. Di notte, a letto, quando rifletto ai molti peccati e difetti che mi attribuiscono, mi sento tanto smarrita in quella gran massa di accuse, che mi metto a ridere, oppure a piangere, secondo il mio umore. Poi mi addormento colla strana sensazione di voler esser diversa da quello che sono o di esser diversa da quello che voglio, forse anche di fare diversamente da come voglio o da come sono. Oh cielo, ora confondo le idee anche a te scusami, ma cancellare non mi piace, e gettar via il foglio in questi tempi di penuria di carta, è proibito. Così posso soltanto consigliarti di non rileggere la frase precedente e soprattutto di non cercare di approfondire, perché non te la caveresti. La tua Anna Lunedì, 7 dicembre 1942 Cara Kitty, quest'anno Chanukà e San Nicola quasi coincidono, la differenza non è che di un giorno. Per Chanukà non abbiamo fatto molto, qualche scambio di regalini e le candele. Di candele c'è scarsità, perciò non le abbiamo tenute accese che dieci minuti; ma è andato tutto egualmente bene perché, ciò che più importava, i canti rituali sono continuati a lungo. Il signor Van Daan aveva fabbricato un candelabro di legno, cosicché anche questo era conforme alla tradizione. La sera di San Nicola è stata molto più divertente. Elli e Miep avevano eccitato la nostra curiosità parlando per tutto il tempo sottovoce con papà, sicché noi sospettavamo che si stava preparando qualche cosa. Ed era proprio così. Alle otto scendemmo tutti per la scaletta di legno e attraverso il corridoio oscurissimo (io avevo una gran paura e non vedevo l'ora di tornar sopra, al sicuro) raggiungemmo lo sgabuzzino. Qui potemmo accendere la luce, perché questo locale non ha finestre. Quindi il babbo aprì il grande armadio. «Oh! carino!» esclamammo tutti. In un angolo c'era una gran cesta decorata con carta multicolore di San Nicola, ed in cima troneggiava un fantoccio di Pietro il Negro. Svelti, portammo su la cesta. C'era dentro un grazioso regalino per ciascuno, con versi di circostanza. A me toccò una bamboletta, al babbo un reggilibri, ecc. Per noi è una disgrazia che quel buon Vossen non ci riferisca più tutto quello che succede o si dice nel magazzino. Con la sua saggia prudenza, era un aiuto e un appoggio; ci manca molto. Il mese prossimo siamo di turno per la consegna delle radio. Koophuis ha a casa sua un minuscolo apparecchio clandestino, che noi riceveremo in cambio della nostra grossa Philips. E' un peccato dover consegnare la bella cassetta, ma in una casa dove si nascondono dei clandestini bisogna fare il possibile per non tirarsi addosso le autorità. Metteremo la piccola radio di sopra. Ebrei clandestini, denaro clandestino, acquisti clandestini: ci sta anche una radio clandestina. Tutti cercano di procurarsi un apparecchio vecchio per consegnarlo al posto della loro "sorgente di coraggio". E' proprio vero; quando le notizie di fuori peggiorano, la radio colla sua voce miracolosa ci aiuta a non perderci di coraggio ripetendo continuamente: "Su, state di buon animo, verranno tempi migliori!". La tua Anna Domenica, 11 luglio 1943 Cara Kitty, tornando per la centesima volta sul tema dell'educazione ti dirò che faccio tutti gli sforzi per essere servizievole, amabile e carina, in modo che la pioggia delle osservazioni diventi una pioggerella. E' terribilmente difficile mantenersi così esemplare, anche non avendone voglia, davanti a gente che ti è insopportabile. Ma vedo veramente che me la cavo meglio facendo un po' l'ipocrita, invece di seguire la mia vecchia abitudine di dire a ciascuno chiaro e tondo quello che penso (sebbene nessuno mi chieda la mia opinione o ci dia peso). Però sovente mi cade la maschera e non riesco più a contenere la rabbia per certe ingiustizie, cosicché per un altro mese non si parla d'altro che della più sfacciata ragazza del mondo. Non ti pare che talvolta io faccia pietà? Fortuna che non sono una brontolona, altrimenti diverrei acida e perderei il mio buon umore. Ho poi deciso di mollare un po' la stenografia. E' durata troppo. Anzitutto per dedicar più tempo alle altre materie, e poi a causa degli occhi, che mi tormentano. Sono diventata molto miope e dovrei portare occhiali (che aria ridicola avrei!), ma, lo sai bene, i clandestini non possono fare tante cose... Ieri tutta la casa non parlava che degli occhi di Anna, perché mamma ha proposto di mandarmi dall'oculista assieme alla signora Koophuis. A sentire questo discorso mi tremarono le gambe, perché non è cosa da poco. Per la strada! figurati: per la strada! Non ci posso neppur pensare. Prima ebbi una paura da morire e poi fui felice. Ma non andò tanto liscia: non tutte le autorità a cui spetta di deliberare su un passo simile furono d'accordo. Bisognò soppesare tutte le difficoltà e i rischi, sebbene Miep volesse condurmi fuori subito. Ho tirato fuori il mio mantello grigio dall'armadio, ma è tanto piccolo che sembra quello della mia sorellina minore. Sono proprio curiosa di sapere che cosa si combinerà, ma penso che non si darà corso al progetto perché nel frattempo gli inglesi sono sbarcati in Sicilia e papà è un'altra volta persuaso che "tutto finirà presto". Elli dà molto lavoro d'ufficio a me e Margot; noi ci sentiamo più importanti e per lei è un grande aiuto. Tutti sono capaci a rubricare corrispondenza o a tenere aggiornato un libro vendite, ma noi lo facciamo in modo molto coscienzioso. Miep lavora come una bestia da soma a portarci roba. Quasi ogni giorno scova da qualche parte della verdura per noi e se la carica sulla bicicletta in grosse borse da pesca. E' pure lei che ogni sabato ci porta cinque libri della biblioteca. Noi aspettiamo con ansia il sabato. Suo marito durò molta fatica a farle comprendere che invece quel denaro era assolutamente necessario per la casa. Non puoi immaginarti come quei due gridavano, pestavano i piedi, s'insolentivano. Facevano paura. I miei familiari stavano al fondo della scala trattenendo il fiato, pronti, se necessario, a separare i contendenti Tutte quelle grida, quei pianti e quel nervosismo mi mettono in un tale stato di tensione che la sera vado a letto piangendo, e ringrazio il cielo di avere ancora una mezz'oretta per me sola. Il signor Koophuis è di nuovo assente; il suo stomaco non lo lascia tranquillo. Non sa neppur lui se l'emorragia è cessata, e per la prima volta era molto depresso quando ci comunicò che non si sentiva bene e andava a casa. Io sto abbastanza bene, tutto sommato, salvo il fatto che non ho appetito. Mi sento sempre dire: "Che brutta cera hai!". Debbo dire che fanno il possibile per tenermi su. Zucchero d'uva, olio di fegato di merluzzo, tavolette di lievito e calcio debbono pur servire a qualche cosa. Non sono più padrona dei miei nervi, e soprattutto la domenica mi sento a terra. L'atmosfera in casa è deprimente, sonnacchiosa, pesante. Fuori non odo cantare gli uccelli, su tutto incombe un silenzio mortale e angoscioso e quest'aria greve mi prende alla gola come se dovessi esser trascinata sotterra. Talvolta il babbo, la mamma e Margot mi lasciano indifferente. Vago da una camera all'altra, su e giù per le scale, e mi par d'essere un uccellino a cui abbiano strappate crudelmente le ali e che nella tenebra più completa svolazzi contro le barrette della sua stretta gabbia. "Fuori all'aria fresca, e ridi!" mi grida una voce interiore, ma io non rispondo nemmeno, mi stendo sul divano e dormo per annullare il tempo, il terribile silenzio e la paura che non riesco altrimenti a uccidere. Mercoledì, 3 novembre 1943 Cara Kitty, allo scopo di darci qualcosa da fare che fosse al tempo stesso educativo, papà si è fatto arrivare un programma dell'Istituto di Insegnamento di Leida. Margot annusò per tre volte almeno il grosso volume senza trovar nulla di adatto ai suoi gusti e alla sua borsa. Il babbo fu più pronto a decidersi e volle far scrivere all'istituto richiedendo una lezione di prova del primo corso di latino. La lezione arrivò subito. Margot si mise entusiasta al lavoro e il corso fu preso. Per me è molto più difficile, tuttavia imparerei molto volentieri il latino. Per dare da fare qualche cosa di nuovo anche a me, papà chiese a Koophuis una bibbia per ragazzi, allo scopo di farmi conoscere un poco il Nuovo Testamento. «Vuoi regalare una bibbia ad Anna per Chanukà?» chiese Margot alquanto turbata. «Sì... ma penso che San Nicola sia un'occasione migliore» rispose il babbo. «Gesù non è adatto per Chanukà.» La tua Anna Lunedì sera, 8 novembre 1943 Cara Kitty, se tu leggessi tutte le mie lettere una dopo l'altra, certamente ti stupiresti di vederle scritte in stati d'animo tanto differenti. Mi spiace molto di essere così schiava del mio umore, ma non sono la sola, qui lo sono tutti. Se leggo un libro che mi fa impressione, prima di riprendere contatto con gli altri debbo riassettarmi mentalmente, se no potrei apparire piuttosto stramba. Attualmente, come avrai notato, sto attraversando un periodo di depressione. Non ti saprei dire il perché, ma credo che quella contro cui continuo a cozzare sia la mia viltà. Stasera, quando Elli era ancora da noi, udimmo una forte e lunga scampanellata. Prima, a casa e a scuola, di argomenti sessuali non si parlava che con aria di mistero o in modo da suscitare disgusto. Le parole che vi si riferivano venivano mormorate e se qualcuno non ne sapeva nulla lo si canzonava. Io trovavo strano tutto ciò e pensavo: "Perché si parla di queste cose in modo così misterioso e sgradevole?". Ma siccome sembrava che non ci si potesse far nulla, tenevo la lingua a freno oppure, qualche volta, chiedevo spiegazioni alle amiche. Quando fui un po' più edotta e ne avevo già parlato anche coi miei genitori, mia madre mi disse un giorno: «Anna, ti do un buon consiglio, non parlar mai di questo argomento coi giovanotti e non rispondere se cominciano loro a parlartene». Ricordo benissimo che risposi: «No, naturalmente, figurati!». Ed ero rimasta a questo punto. Al principio della nostra vita nascosta il babbo raccontò qualche volta cose che avrei preferito udire da mamma; il resto lo imparai dai discorsi dei grandi o leggendolo nei libri. In questo campo Peter Van Daan non fu mai così fastidioso come i ragazzi a scuola; all'inizio forse una sola volta, ma non cercò mai di avviare quel discorso con me. Sua madre ci aveva detto che né lei né, a quanto le constava, suo marito avevano mai parlato di queste cose con Peter. Non sapeva, a quanto pare, se e fino a che punto Peter fosse edotto. Ieri, mentre Margot, Peter e io stavamo pelando patate, il discorso cadde su Moffi. «E allora, continuiamo sempre a ignorare di che sesso è Moffi?» domandai io. «Macché» rispose lui «è un gatto.» Io mi misi a ridere: «Bel gatto, che aspetta i gattini!». Peter e Margot risero con me del buffo abbaglio. Un mese o due prima, infatti, Peter aveva constatato che Moffi doveva presto avere piccini, perché la sua pancia era palesemente ingrossata. Ma la grossezza doveva provenire dalle molte porzioni di carne rubate, perché la gravidanza non andò avanti e i gattini non nacquero mai. Peter dovette difendersi dall'accusa. «No» disse «potete venire con me e guardare anche voi. Una volta, giocando con lui, ho visto bene, è un maschio.» Io non potei frenare la mia curiosità e andai con lui nel magazzino. Ma non eravamo capitati nelle ore di visita di Moffi e non lo trovammo. Aspettammo un momento e poi, per non prendere freddo, risalimmo. Più tardi, nel pomeriggio, sentii Peter scendere un'altra volta. Raccolsi tutto il mio coraggio per traversare da sola la casa silenziosa e giunsi nel magazzino. Moffi era sul tavolo e giocava con Peter, che lo stava mettendo sulla bilancia per controllarne il peso. «Dunque, vuoi vederlo?» Senza tanti complimenti afferrò l'animale, lo rovesciò sul dorso, gli tenne ferme le zampe e la testa e cominciò la lezione: «Questo è l'organo maschile, questi sono alcuni peli sparsi e questo è il suo deretano». Il gatto fece un altro mezzo giro e si rimise sulle sue bianche zampe. Se un altro ragazzo mi avesse indicato "l'organo maschile", non lo avrei più guardato in faccia. Ma Peter continuava a parlare con tanta naturalezza di quell'argomento così scabroso, e senza alcun secondo fine, che tutto sommato mi trovai anch'io a mio agio e non ci feci più caso. Giocammo con Moffi, ci divertimmo, chiacchierammo insieme e quasi bighellonando uscimmo dal vasto magazzino. «Quello che voglio sapere lo trovo sempre per caso in qualche libro. Tu no?» domandai. «E perché? Io lo domando ai miei. Mio padre ne sa più di me e ha più esperienza in queste cose.» Eravamo già sulla scala e mi trattenni dal fare altre domande. Come si cambia! Davvero, non avrei mai parlato di queste cose con tanta indifferenza nemmeno con una ragazza. Sono anche certa che mamma non si riferiva a questo, quando mi diceva di guardarmi dai giovanotti. Nonostante tutto fui per tutto il giorno un po' fuor del mio solito, e quando riflettevo alla nostra conversazione la trovavo assai singolare. Non voglio adoratori ma amici, voglio che si ammiri non un mio sorriso adulatore, ma il mio contegno e il mio carattere. So benissimo che allora la cerchia attorno a me si restringerebbe di molto. Ma che importa, se io conservo ancora un paio di amici sinceri? Nonostante tutto, nemmeno nel 1942 ero completamente felice; spesso mi sentivo abbandonata, ma siccome ero in ballo dalla mattina alla sera, non ci badavo e stavo allegra fin che potevo. Consciamente o inconsciamente, cercavo di riempire il vuoto con gli scherzi. Ora considero la mia vita e il mio lavoro. C'è un periodo della mia vita che è irrevocabilmente conchiuso. La spensierata età della scuola non torna più. Non ne ho alcun rammarico; sono cresciuta, non penso più soltanto ai piaceri e una parte di me rimane sempre seria. Vedo la mia vita fino al Capodanno 1944 come sotto una lente d'ingrandimento. A casa la vita radiosa di sole, poi, nel 1942, la venuta qui, il passaggio improvviso, le liti, i rimproveri. Non capivo, ero stata colta di sorpresa e per darmi un contegno non sapevo fare che l'impertinente. Prima metà del 1943: i miei pianti, la solitudine, il lento esame di tutti i miei errori e difetti che sono tanto grandi e sembravano grandi il doppio. Parlavo tutto il giorno, di tutto, cercavo di tirare Pim dalla mia, non ci riuscii. Dovevo affrontare da sola il difficile compito di modificare me stessa in modo da non udire più rimproveri, perché questi mi deprimevano e mi scoraggiavano terribilmente. Nella seconda metà dell'anno si andò un po' meglio; io mi sviluppai e fui considerata un po' di più come un'adulta. Cominciai a pensare, a scrivere racconti e giunsi alla conclusione che gli altri non avevano più alcun diritto di sballottarmi da sinistra a destra come una palla. Volevo trasformare me stessa secondo la mia volontà. Una cosa mi dispiacque particolarmente, il capire che neppure papà sarebbe mai divenuto in tutto il mio confidente... Non volevo più fidarmi che di me stessa. Dopo Capodanno il secondo grande cambiamento il mio sogno... Scopersi così il mio desiderio di un giovane, non di un'amica ma di un amico. Scopersi anche la felicità in me sotto la mia corazza di superficialità e gaiezza. Di tanto in tanto mi acquietavo e scoprivo la mia infinita bramosia di tutto ciò che è bello e buono. E la sera quando a letto termino la mia preghiera colle parole "Ti ringrazio mio Dio, per tutto ciò che è buono e caro e bello" sono piena di gioia. Allora penso "buona" è la sicurezza del nostro rifugio, è la mia salute, è la mia stessa esistenza; "caro" è Peter, è quel sentimento delicato e indistinto che noi due non osiamo ancora nominare o sfiorare ma che verrà e sarà l'amore, l'avvenire, la felicità; "bello" è il mondo, la natura, la bellezza e tutto ciò che la forma. Non penso a tutti i sofferenti ma al bello che ancora rimane. In questo sono molto diversa da mamma che a chi è di cattivo umore consiglia: "Pensa alle miserie che ci sono al mondo e sii felice che tu non ne soffri". Io invece consiglio: "Va' fuori al sole, nei campi a contatto con la natura, vai fuori e cerca di trovare la felicità in te e in Dio. Pensa al bello che c'è ancora in te e attorno a te e sii felice!". Secondo me l'idea di mamma non è giusta; che devi fare, infatti, quando soffri anche tu delle sventure altrui? Allora sei perduto. Invece io penso che rimane sempre qualche cosa di bello: la natura, lo splendore del sole, la libertà, noi stessi; è un possesso che non si perde. Contempla queste cose e ritroverai te stesso e Dio e riacquisterai il tuo equilibrio. Chi è felice farà felici anche gli altri, chi ha coraggio e fiducia non sarà mai sopraffatto dalla sventura. La tua Anna Lo spero, perché scrivendo posso fissare tutto, i miei pensieri, i miei ideali e le mie fantasie. E' parecchio tempo che non lavoro più alla Vita di Cady; so perfettamente come si dovrà svolgere, ma non mi viene. Forse non la terminerò mai, forse sarà al suo vero posto nel cestino o nella stufa... Sara un'idea sciocca, ma ci penso sempre: "a quattordici anni e con così poca esperienza non puoi ancora scrivere di filosofia". E allora avanti, coraggio, ci riuscirò, perché a scrivere sono decisa! La tua Anna Giovedì, 6 aprile 1944 Cara Kitty, mi hai domandato quali sono i miei interessi e i miei svaghi preferiti, e mi affretto a risponderti. Ma, ti avviso, non spaventarti, perché ne ho una quantità. Punto primo: scrivere, ma questo non va considerato uno svago. Secondo: gli alberi genealogici. Sto ricostruendo quelli delle famiglie reali di Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Austria, Russia, Norvegia e Olanda, raccogliendo i dati da libri, giornali e opuscoli. Per molti sono già a buon punto, a forza di prendere annotazioni da tutte le biografie e i libri di storia che leggo. Ricopio anche interi capitoli di storia. Terza fra le mie occupazioni favorite è appunto la storia, per la quale il babbo mi ha già acquistato molti libri. Non vedo l'ora di poter spulciare tutti i libri della biblioteca pubblica. Al quarto posto viene la mitologia greco-romana. Anche su questo argomento ho diversi libri. Altri capricci sono le stelle del cinema e le fotografie di famiglia. Vado pazza per la lettura e i libri. Mi interesso molto di storia dell'arte, soprattutto degli scrittori, dei poeti e dei pittori. La musica verrà poi. Ho spiccata antipatia per l'algebra, la geometria e l'aritmetica. Studio con piacere tutte le materie di scuola ma soprattutto la storia La tua Anna Martedì, 11 aprile 1944 Cara Kitty mi gira la testa, non so da che parte cominciare. Venerdì (Venerdì Santo), nel pomeriggio giocammo al gioco della borsa e sabato pure. Queste giornate passarono presto e come sempre Domenica alle quattro e mezza invitai Peter a venire da me e alle cinque e un quarto andammo in solaio dove restammo fino alle sei. Dalle sei alle sette e un quarto fu dato alla radio un bel concerto di Mozart, di cui ho gustato molto la Kleine Nachtmusik. In camera non posso quasi ascoltare perché se la musica è bella mi commuovo troppo Domenica sera alle otto Peter e io andammo insieme in solaio, e per sederci comodi prendemmo con noi alcuni cuscini dai divani delle nostre stanze. Ci sedemmo sopra una cassa. Sia la cassa che i cuscini erano assai piccoli perciò dovemmo sederci l'uno accosto all'altro e appoggiarci su altre casse. Mouschi ci tenne compagnia così eravamo sorvegliati. A un tratto alle nove meno un quarto il signor Van Daan fischiò e ci domandò se avevamo un cuscino del signor Dussel. Saltammo su tutti e due e scendemmo coi cuscini, il gatto e il signor Van Daan. Questi cuscini diedero origine a una mezza scenata perché Dussel era seccato che noi ne avessimo preso uno che gli serviva per la notte. Temeva che ci fossero delle pulci e per quell'unico cuscino mise tutto a soqquadro. Voglio vedere un po' di mondo e farne esperienza, te l'ho già detto ripetutamente. E a questo intento un po' di denaro non guasta. Miep ci raccontò stamane di una festa di fidanzamento a cui ha partecipato. I fidanzati appartengono entrambi a famiglie facoltose e quindi c'era molto lusso. Miep ci fece venire l'acquolina in bocca descrivendoci il pranzo: minestra di legumi con pallottoline di carne, formaggio, panini, hors-d'oeuvre con uova e roast-beef, torta moscovita, vino e sigarette, il tutto a volontà (borsa nera!). Miep ha bevuto dieci bicchierini; non c'è male, per un'antialcoolista! Se Miep ne ha presi tanti, quanti sarà riuscito a trangugiarne il suo sposo? Naturalmente tutti gli invitati erano un po' brilli. C'erano due agenti di polizia che fecero fotografie ai fidanzati. Si direbbe che Miep non ci dimentichi mai, perché prese subito nome e indirizzo di costoro, per il caso che succedesse qualche cosa e ci fosse bisogno di buoni olandesi. Ci siamo proprio sentiti venire l'acquolina in bocca, noi che a colazione non abbiamo altro che due cucchiai di pappa d'avena e ci torciamo dalla fame, noi che tutti i giorni non mangiamo altro che spinaci mezzo crudi (per le vitamine), e patate guaste, che nei nostri stomachi vuoti non ficchiamo che insalata cruda o cotta, spinaci e poi ancora spinaci. Forse diventeremo forti come Popeye, sebbene io non me ne accorga ancora! Se Miep ci avesse portato con sé al ricevimento, non avremmo lasciato un solo panino per gli altri invitati. Posso dirti che tiravamo fuori le parole dalla bocca di Miep, che facevamo cerchio attorno a lei come se mai in vita nostra avessimo sentito parlare di cibi squisiti o di gente elegante. E questi sono i nipoti di un milionario. Così va il mondo! La tua Anna Martedì, 9 maggio 1944 Cara Kitty, il raccontino di Elena la fata è terminato. L'ho ricopiato in bella carta da lettere, decorato con inchiostro rosso e ho cucito insieme i fogli. Si presenta bene, ma non è un po' poco per il compleanno di papà? Non lo so. Margot e mamma hanno composto ciascuna una poesia per la circostanza. Oggi il signor Kraler ci ha portato la notizia che la signora B., che prima lavorava nella ditta come dimostratrice, la settimana prossima verrà tutti i giorni alle due in ufficio a prendere il caffè. Figurati! Nessuno allora potrà venir sopra, nessuno ci porterà le patate, Elli non verrà a mangiare, non potremo servirci del W. C., non dovremo muoverci, ecc. ecc. Noi tirammo fuori le proposte più disparate per scongiurare quel pericolo. Van Daan trovò che forse basterebbe metterle un buon purgante nel caffè. «No» rispose il signor Koophuis «no, per favore, non si staccherebbe più dalla scatola!» Fragorosa risata. «Dalla scatola?» domandò la signora. «Che cosa vuol dire?» Seguì la spiegazione. «Posso sempre adoperare quest'espressione?» domandò ancora essa, molto ingenuamente. «Si immagini di andare nei magazzini Bijenkorf a chiedere della scatola» rispose Elli ridendo «nessuno la capirebbe!» Oh, Kit, che bel tempo, se potessi uscire! La tua Anna Mercoledì, 10 maggio 1944 Cara Kitty, ieri, mentre studiavamo il francese in solaio, udii dietro di me un rumore di acqua. Domandai a Peter che cosa ciò volesse dire, ma Peter non rispose e corse in soffitta dove era l'origine del guaio. Il rimanente delle fragole è messo in barattoli. La sera due barattoli si aprono. Papà si affretta a farne marmellata. La mattina dopo ancora due barattoli aperti e nel pomeriggio altri quattro. Van Daan non li aveva sterilizzati a sufficienza. Ora papà fa marmellata tutte le sere. Noi mangiamo porridge con fragole, latticello con fragole, pane e burro con fragole, fragole per frutta, fragole allo zucchero, fragole alla sabbia. Per due giorni, dappertutto danzavano fragole, fragole, fragole, finché la provvista fu esaurita o chiusa ermeticamente nei barattoli. «Senti, Anna» chiama Margot «il verduriere sull'angolo ci ha mandato dieci chili di piselli.» «Molto gentile» rispondo io. «Davvero è stato gentile, ma... che lavoro noioso ci ha procurato!» «Domani mattina, tutti a sbucciare piselli» annuncia mamma a tavola. E infatti questa mattina dopo la prima colazione fu posta in tavola la grossa pentola di ferro smaltato, piena di piselli fino all'orlo. Sbucciare è un lavoro noioso, ma assai più noioso è spellare le bucce. Credo che pochi sappiano quanto sia saporita e delicata la buccia dei piselli, quando ne è stata tolta la pellicola interna. Oltre a questo c'è un altro enorme vantaggio: utilizzando la buccia la porzione commestibile è tre volte più grande che se si mangiano soltanto i piselli. Toglier via le pellicole è un lavoretto straordinariamente esatto e minuzioso, adatto forse per dentisti pedanti o meticolosi impiegati; per una ragazzetta impaziente come me è terribile. Alle nove è mezza avevamo cominciato; alle dieci e mezza mi alzai, alle undici e mezza mi rimisi a sedere. Mi ronzano le orecchie: spezzare le punte, tirar via le pellicole, togliere i filamenti, gettare i baccelli, e via di questo passo. Mi gira la testa: verde, verde, vermiciattoli, filetti, gusci marci, verde, verde, verde. Tanto per fare qualcosa, chiacchiero tutta la mattina dicendo tutte le sciocchezze che mi vengono in mente, li faccio ridere tutti e mi sento stupida da morire. Ogni volta che tiro via un filo mi rendo conto che mai, mai farò soltanto la massaia. A mezzogiorno finalmente facemmo colazione, ma dalla mezza fino all'una e un quarto bisognò di nuovo tirar via pellicole. Quando smetto mi sembra di avere il mal di mare, e gli altri sono a un dipresso nelle mie condizioni. Ho dormito fino alle quattro, e sono ancora tutta confusa per questi maledetti piselli. La tua Anna Sabato, 15 luglio 1944 Cara Kitty, abbiamo avuto dalla biblioteca un libro dal titolo: Hoe vindt u het moderne meijsie? [Che pensate della ragazza moderna?] Oggi vorrei parlare di questo argomento. L'autrice critica da cima a fondo "la gioventù d'oggi", senza tuttavia condannarla del tutto come buona a nulla. Anzi, è piuttosto d'opinione che la gioventù, se volesse, potrebbe costruire un mondo più grande, più bello e migliore; essa ne ha i mezzi, ma si occupa di frivolezze senza degnare di uno sguardo le cose veramente belle. In alcuni passi avevo l'impressione che la scrittrice riferisse a me i suoi biasimi, e perciò voglio finalmente aprirmi con te e difendermi da questo attacco. Nel mio carattere c'è un tratto molto spiccato che colpisce tutti coloro che hanno dimestichezza con me: la conoscenza che io ho di me stessa. In tutti i miei atti io posso studiarmi come se io fossi un'estranea. Io mi pongo di fronte all'Anna di tutti i giorni senza prevenzioni e senza scuse e osservo ciò che essa fa di bene e ciò che fa di male. Questo "senso di me stessa" non mi abbandona mai, e non appena ho pronunciato una parola so subito se ho parlato bene o se avrei dovuto parlare diversamente.