/<1993>/ Per Maisie Robinson il sabato era il giorno più bello della settimana. Il sabato il papà ritirava la paga. Quella sera ci sarebbero stati la carne per la cena e il pane fresco. Era seduta sul gradino di casa con il fratello Danny e aspettava che il papà tornasse dal lavoro. Danny aveva tredici anni, due più di Maisie; lei lo trovava meraviglioso, anche se non era sempre carino con lei. La casa era una delle tante abitazioni a schiera, umide e poco aerate, nella zona del porto di una cittadina sulla costa nord-orientale dell'Inghilterra. La padrona era la signora MacNeil, una vedova che viveva nella stanza al pianterreno affacciata sulla strada. I Robinson abitavano nella stanza sul retro, e un'altra famiglia stava al piano di sopra. Quando il papà sarebbe arrivato, la signora MacNeil sarebbe uscita per farsi pagare l'affitto. Maisie aveva fame. Il giorno prima era riuscita a farsi dare qualche osso dal macellaio, e papà aveva comprato una rapa e avevano preparato uno spezzatino. Era stato l'ultimo pasto che avevano fatto. Ma oggi era sabato! Cercò di non pensare alla cena, per non peggiorare la fitta allo stomaco. Per distogliere la mente dal pasto, disse a Danny: «Stamattina papà ha detto una parolaccia». «Cos'ha detto?» «Ha detto che la signora MacNeil è una paskudniak.» Danny ridacchiò. Voleva dire "sacco di merda". I due ragazzini parlavano correntemente l'inglese, dopo un anno in quella terra nuova, ma non avevano affatto dimenticato l'yiddish. Il loro vero cognome non era Robinson, ma Rabinowicz. Da quando aveva scoperto che erano ebrei, la signora MacNeil aveva preso a detestarli. Non aveva mai conosciuto un ebreo in tutta la sua vita, e quando gli aveva affittato la stanza aveva creduto che fossero francesi. Non c'erano altri ebrei in quella cittadina che i Robinson non avevano scelto come loro meta: avevano pagato il viaggio fino a una città che si chiamava Manchester, dimora di molti altri ebrei, ma il comandante della nave li aveva imbrogliati dicendo loro che Manchester era quella. Quando si erano accorti di essere approdati nel posto sbagliato, il papà aveva detto che avrebbero risparmiato per trasferirsi a Manchester: ma poi la mamma si era ammalata. Era ancora ammalata, e loro erano sempre lì. Il papà lavorava al porto, in un grosso magazzino con la scritta "Tobias Pilaster & Co." tracciato a grandi lettere sul cancello. Spesso Maisie si domandava cosa volesse dire "Co". Il papà era impiegato e teneva il conto dei barili di tintura che entravano e uscivano dal magazzino. Era un uomo meticoloso, abile nel prendere appunti e nello stilare elenchi. La mamma era molto diversa. Era sempre stata la più avventurosa. Era stata lei a voler andare in Inghilterra. Le piaceva organizzare feste, fare gite, conoscere gente nuova, vestirsi bene e improvvisare giochi. Era per questo che il papà le voleva tanto bene, pensava Maisie: perché era come lui non avrebbe mai potuto essere. Adesso la mamma non era più tanto vivace. Stava sdraiata tutto il giorno sul vecchio materasso, e spesso si assopiva con il viso pallido lucido di sudore, il respiro caldo e fetido. Il dottore aveva detto che aveva bisogno di rimettersi in forze, e doveva mangiare uova fresche e panna e carne tutti i giorni; ma il papà lo aveva pagato con i soldi che avrebbero dovuto servire per la cena di quella sera. Maisie si sentiva in colpa ogni volta che mangiava un boccone, perché sapeva di sottrarre alla madre il cibo che avrebbe potuto salvarle la vita. Maisie e Danny avevano imparato a rubare. I giorni di mercato andavano in centro e rubacchiavano patate e mele dai banchetti. Gli ambulanti stavano attenti, ma ogni tanto si lasciavano distrarre da una discussione per il resto, una zuffa tra due cani, un ubriaco, e i ragazzini arraffavano quel che potevano. Se avevano fortuna, incontravano un ragazzo ricco della loro età, e lo derubavano. Spesso quei ragazzi avevano in tasca un'arancia o un sacchetto di dolci, oltre a qualche spicciolo. Maisie aveva paura che la scoprissero: sapeva che la mamma si sarebbe vergognata terribilmente, ma aveva fame. L'Argyll Rooms era il locale più frequentato di Londra, ma Hugh non vi era mai stato. Non avrebbe mai pensato di recarsi in un posto simile. Pur non essendo esattamente un bordello, aveva una pessima reputazione. Ma qualche giorno dopo il definitivo rifiuto di Florence Stalworthy, Edward lo invitò ad andare con lui e Micky a far baldoria, e Hugh accettò. Non passava molto tempo con il cugino. Edward era sempre stato un gran viziato, un prepotente e un fannullone che scaricava il suo lavoro sugli altri. E Hugh, da molto tempo, era stato relegato nel ruolo di pecora nera della famiglia, avviato sulla stessa strada del padre. Non avevano molto in comune. Ma nonostante questo, Hugh decise di provare i piaceri della dissolutezza. I locali malfamati e le donne scostumate rappresentavano un modo di vivere per migliaia di inglesi dell'alta borghesia. Forse avevano capito tutto: forse la strada della felicità era quella, non il vero amore. In tutta sincerità, Hugh non sapeva neppure se era stato veramente innamorato di Florence. Era furioso perché i genitori gliel'avevano messa contro, tanto più che la giustificazione era un'abominevole menzogna sul conto di suo padre. Ma, con una certa vergogna, aveva scoperto di non avere affatto il cuore spezzato. Pensava spesso a Florence, ma continuava a dormire sonni tranquilli, a mangiare di buon appetito e a concentrarsi sul lavoro senza difficoltà. Voleva dire che non l'aveva mai amata? La ragazza alla quale era più affezionato al mondo, a parte la sorellina Dotty, era Rachel Bodwin, e si era gingillato con l'idea di sposarla. Era amore? Non lo sapeva. Forse era troppo giovane per capire queste cose. O più semplicemente non si era mai innamorato. L'Argyll Rooms era vicino a una chiesa sulla Great Windwill Street, a pochi passi da Piccadilly Circus. Edward pagò l'ingresso, uno scellino per ciascuno, ed entrarono. Tutti e tre erano in abito da sera: frac nero con il bavero di seta, pantaloni neri con la fusciacca di seta, panciotti bianchi, camicie bianche e cravatte a farfalla bianche. L'abito di Edward era nuovo e costosissimo, quello di Micky era un po' meno caro ma tagliato all'ultima moda; Hugh indossava quello ereditato dal padre. La sala da ballo era una sgargiante arena illuminata dalle lampade a gas, con immensi specchi dorati a intensificare gli effetti di luce; dietro un paravento a traliccio un'orchestra seminascosta suonava una vivacissima polca. Alcuni uomini erano in abito da sera, segno distintivo degli altoborghesi in cerca di spasso nei bassifondi; ma in maggioranza portavano rispettabili abiti neri da giorno, che li identificavano come impiegati e piccoli uomini d'affari. Sopra la sala da ballo vi era una galleria immersa nella penombra. Edward la indicò e informò Hugh: «Se fai amicizia con una ragazza, puoi pagare un altro scellino e portarla lassù: ci sono divani di velluto, luci basse e camerieri ciechi». Hugh era abbagliato, non soltanto dalle luci ma dalle possibilità che quel luogo pareva offrire. Tutto intorno a lui vi erano ragazze venute nel locale all'unico scopo di flirtare. Alcune erano in compagnia di un amico, ma altre erano venute sole, decise a ballare con qualche sconosciuto. E tutte erano vestite alla grande, portavano abiti da sera con il sellino e scollature vertiginose, e i cappelli più sensazionali. Ma sulla pista da ballo, notò, tutte avevano il mantello. Micky ed Edward gli avevano assicurato che non erano prostitute ma ragazze normali, commesse di negozio, cameriere e sartine. «Come si fa a conoscerle?» chiese Hugh. «Non credo che si possano abbordare come se fossero passeggiatrici.» Ancora una volta, Maisie si sorprese a cedere all'irritazione nei confronti di Hugh. Dal suo punto di vista il suo atteggiamento tradiva una buona dose di ipocrisia. «Ricordo i funerali di suo padre» sbottò. «Faceva freddo e pioveva. Suo padre era morto e doveva una certa somma a mio padre... però quel giorno lei aveva un cappotto e io no. Le sembra giusto?» «Non lo so» ribatté Hugh con uno scatto di collera. «Avevo tredici anni quando mio padre fallì... questo significa che per tutta la vita dovrei fingere di non vedere la disonestà?» Maisie rimase sconcertata. Non accadeva spesso che gli uomini la trattassero così, ed era la seconda volta che Hugh lo faceva. Ma non voleva litigare ancora con lui. Gli toccò il braccio. «Mi scusi» disse. «Non intendevo criticare suo padre. Volevo solo farle capire perché un bambino può ridursi a rubare.» Hugh si rabbonì subito. «E io non l'ho ringraziata per aver salvato l'orologio. Fu il regalo di nozze che mia madre fece a mio padre, mi è molto prezioso.» «E il ragazzino troverà un altro merlo da derubare.» Hugh scoppiò a ridere. «Non ho mai conosciuto nessuno come lei!» esclamò. «Gradisce un bicchiere di birra? Fa così caldo.» Era proprio ciò di cui Maisie aveva voglia. «Sì, grazie.» Poco lontano vi era un pesante carro a quattro ruote carico di enormi barili. Hugh prese due boccali di coccio pieni di birra tiepida al malto. Maisie bevve una lunga sorsata. Aveva sete. Il sapore le sembrava migliore di quello del vino francese di Solly. Al carro era fissato un cartello con una scritta in gesso: provate a fregare un boccale e ve lo rompo sulla testa. Il volto solitamente vivace di Hugh assunse un'espressione pensierosa. «Si rende conto che siamo tutti e due vittime della stessa catastrofe?» domandò dopo qualche secondo. Maisie non se ne rendeva conto. «Cosa intende dire?» «Nel 1866 vi fu una crisi finanziaria. Quando succede, crollano aziende oneste... come quando cade un cavallo di un equipaggio e trascina a terra anche gli altri. L'azienda di mio padre fallì perché chi gli doveva del denaro non lo pagò; e lui era così disperato che si tolse la vita, lasciando vedova mia madre e me orfano a tredici anni. Suo padre non poteva sfamarla perché c'era gente che gli doveva denaro e non poteva pagare, e così lei scappò di casa a undici anni.» Maisie comprendeva la logica del ragionamento, ma il suo cuore non le permetteva di ammetterlo: per troppo tempo aveva odiato Tobias Pilaster. «Non è la stessa cosa» protestò. «Chi lavora non può controllare gli avvenimenti... fa quel che gli viene detto. I padroni hanno il potere. E' colpa loro se le cose vanno male.» Hugh rifletté. «Non so. Forse ha ragione. Certo, i padroni si tengono la maggior parte dei guadagni. Ma sono sicuro di una cosa: padroni o lavoratori, i loro figli non hanno alcuna colpa.» Maisie sorrise. « E' difficile credere che abbiamo trovato qualcosa su cui siamo d'accordo.» Finirono la birra, restituirono i boccali e si avvicinarono a una giostra con i cavalli di legno. «Vuol fare un giro?» chiese Hugh. Maisie sorrise. «No.» « E' venuta da sola?» «No, sono con... amici.» Per chissà quale ragione, Maisie non voleva fargli sapere di essere con Solly. «E lei? E' con quella sua terribile zia?» Hugh fece una smorfia. «No. I metodisti non approvano le corse dei cavalli... Si scandalizzerebbe se sapesse che sono qui.» «Le vuole bene?» «Neanche un po'.» «Allora perché le permette di vivere in casa sua?» «Le piace tenere tutti sotto gli occhi, per poterli controllare.» «La controlla?» «Ci prova.» Hugh si aprì in un malizioso sorriso. «A volte riesco a sfuggirle.» «Deve essere difficile vivere con quella donna.» «Non posso permettermi di vivere solo. Devo pazientare e lavorare in banca con molto impegno. Alla fine avrò una promozione e diventerò indipendente.» Hugh sorrise di nuovo. «E allora dirò alla zia di chiudere il becco, come ha fatto lei.» «Spero che non si sia messo nei guai.» «Beh, sì, ma ne valeva la pena per vedere la faccia della zia. E' stato allora che lei ha iniziato a essermi simpatica.» «Per questo mi ha invitata a cena?» «Sì. Perché ha rifiutato?» Attraversarono in punta di piedi una cucina grande quanto una chiesetta e raggiunsero una scala. Hugh le accostò la bocca all'orecchio: «Di sopra ci sono asciugamani puliti» sussurrò. «Saliremo dalla scala sul retro.» Maisie lo seguì per tre lunghe rampe; varcarono un'altra soglia e uscirono su un pianerottolo. Hugh sbirciò in una stanza rischiarata da un lume da notte: «Edward è ancora fuori» dichiarò con un tono di voce normale. «Non c'è nessun altro a questo piano. Le camere degli zii sono al piano di sotto, quelle dei servitori di sopra. Vieni.» La condusse nella sua camera e accese la lampada a gas. «Vado a prendere gli asciugamani» disse, e uscì. Maisie si tolse il cappello e si guardò intorno. La camera era piccola e arredata semplicemente, con un letto singolo, un cassettone, un armadio privo di ornamenti, e una scrivania. Si era aspettata un ambiente molto più lussuoso... ma Hugh era un parente povero, e si vedeva. Guardò con interesse le cose di Hugh. Un paio di spazzole d'argento con le iniziali "T.P.", un'altra eredità del padre. Un libro intitolato Il manuale della buona pratica commerciale. Sulla scrivania, la foto incorniciata di una donna e di una bambina sui sei anni. Maisie aprì il cassetto del comodino; trovò una Bibbia e, sotto alla Bibbia, un altro libro. Lesse il titolo: La duchessa di Sodoma. Si rese conto di essere indiscreta e, sentendosi in colpa, si affrettò a richiudere il cassetto. Hugh tornò con un mucchio di asciugamani e Maisie ne prese uno. Era tiepido, e proveniva da un essiccatoio: vi affondò il volto con un senso di sollievo. Ecco cosa significava essere ricchi, pensò: mucchi di asciugamani caldi a disposizione ogni volta che ne hai bisogno. Si asciugò le braccia nude e il seno. «Di chi è la fotografia?» chiese. «Mia madre e mia sorella, che è nata dopo la morte di mio padre.» «Come si chiama?» «Dorothy. Io la chiamo Dotty. Le voglio molto bene.» «Dove abitano?» «A Folkestone, in riva al mare.» Maisie si chiese se le avrebbe mai conosciute. Hugh scostò la sedia dalla scrivania e la invitò a sedere. Si inginocchiò davanti a lei, le tolse le scarpe, le asciugò i piedi. Maisie chiuse gli occhi: il contatto dell'asciugamano caldo e soffice contro la pianta dei piedi era delizioso. L'abito era fradicio; rabbrividì. Hugh si tolse la giacca e gli stivali. Maisie sapeva che non avrebbe potuto asciugarsi senza togliere l'abito. Sotto era più che decente: non portava le mutande, perché lo facevano soltanto le donne ricche, ma aveva una sottoveste lunga e la camicia. Si alzò di impulso, voltò le spalle a Hugh e chiese: «Mi aiuti?». Sentì le mani che tremavano, le dita che armeggiavano con i gancetti e gli occhielli che trattenevano l'abito. Anche lei era nervosa, ma ormai non poteva più tirarsi indietro. Quando Hugh ebbe terminato, lo ringraziò e si sfilò l'abito. Si voltò verso di lui. L'espressione di Hugh era un commovente miscuglio di imbarazzo e di desiderio. Sembrava Alì Babà di fronte al tesoro dei ladroni. Maisie si era ripromessa, senza pensarci troppo su, che si sarebbe asciugata e più tardi avrebbe indossato il vestito quando si fosse asciugato anche quello; ma ora si rendeva conto che non sarebbe andata così. E ne era felice. Gli posò le mani sulle guance, lo attirò a sé e lo baciò. Questa volta aprì la bocca immaginando che Hugh avrebbe fatto altrettanto; ma non lo fece. Evidentemente non aveva mai baciato in quel modo. Gli stuzzicò le labbra con la punta della lingua. Intuì che era sconvolto ma anche eccitato; e dopo un momento Hugh socchiuse la bocca e rispose timidamente con la lingua. Il suo respiro diventò più affannoso. Dopo qualche istante interruppe il bacio, allungò la mano verso la camicia di Maisie e tentò di slacciarsene un bottone. Armeggiò per un momento, poi afferrò la stoffa e la strappò, facendo volare i bottoni tutt'intorno. Le posò le mani sui seni nudi, chiuse gli occhi e gemette. Maisie si sentì sciogliere. Voleva che continuasse così, ora e sempre. «Maisie» mormorò Hugh. Lei lo guardò. «Vorrei...» «Non lo dimenticherò. Venite, ragazze.» Uscirono dall'ufficio e scesero la scala. Maisie smaniava di fare domande, e dominò a fatica la curiosità mentre raggiungevano il caffè e sedevano a un tavolo. «Cos'hai fatto negli ultimi sette anni?» domandò infine. «Ho costruito ferrovie» rispose Danny. «Sono arrivato al momento buono. La guerra di Secessione era appena terminata, e stava iniziando il boom delle ferrovie. Avevano un tale bisogno di operai che li facevano venire dall'Europa. Persino un quattordicenne pelle e ossa poteva farsi assumere facilmente. Ho lavorato alla costruzione del primo ponte d'acciaio del mondo, quello di St. Louis sul Mississippi; poi sono andato a costruire la Union Pacific Railroad nello Utah. Ero caposquadra a diciannove anni... è un lavoro per giovani. Poi mi sono iscritto al sindacato e ho organizzato uno sciopero.» «Perché sei tornato?» «C'è stato un crollo in Borsa. Le ferrovie non hanno più soldi e le banche che le finanziavano sono saltate. Ci sono centinaia di migliaia di uomini in cerca di un lavoro. Ho deciso di tornare a casa per ricominciare.» «E cosa farai... costruirai ferrovie anche qui?» Danny scosse il capo. «Ho un'idea nuova. Vedi, è già capitato due volte che la mia vita sia stata rovinata da un crac finanziario. I proprietari delle banche sono stupidi. Non imparano mai e continuano a ripetere gli stessi errori. E ad andarci di mezzo sono i lavoratori. Nessuno li aiuta... nessuno li aiuterà mai. Devono aiutarsi fra loro.» «Gli uomini non si aiutano mai fra loro» intervenne April. «In questo mondo, la legge è ognuno per sé. Bisogna essere egoisti.» April lo ripeteva spesso, ricordò Maisie, anche se in realtà era generosa, disposta a tutto per aiutare un amico. «Fonderò una specie di circolo per operai» spiegò Danny. «Pagheranno sei pence la settimana; se perderanno il posto non a causa loro il club gli darà una sterlina la settimana, in attesa che trovino un altro lavoro.» Maisie guardò il fratello ammirata. Era un progetto ambizioso... Ma aveva pensato la stessa cosa quando, a quattordici anni, Danny aveva detto: "In porto c'è una nave che partirà per Boston con la marea del mattino... Stanotte mi arrampicherò su una cima e mi nasconderò in una delle scialuppe". Allora aveva fatto ciò che aveva promesso e probabilmente l'avrebbe fatto anche ora. Aveva detto di aver organizzato uno sciopero. Sembrava un uomo capace di farsi seguire dagli altri. «E il papà e la mamma?» chiese Danny. «Sei in contatto con loro?» Maisie scosse il capo e poi, con suo grande stupore, si mise a piangere. All'improvviso sentiva la sofferenza di aver perduto la famiglia, una sofferenza che per tanti anni aveva rifiutato di riconoscere. Danny le posò una mano sulla spalla. «Andrò al nord e vedrò se è possibile rintracciarli.» «Spero che li troverai» disse Maisie. «Mi mancano molto.» Incontrò lo sguardo di April che la fissava sbalordita. «Ho tanta paura che si vergogneranno di me.» «E perché dovrebbero?» chiese Danny. «Sono incinta.» Danny arrossì. «E non sei sposata?» «No.» «Stai per sposarti?» «No.» «Chi è il porco?» chiese Danny con rabbia. Maisie alzò la voce. «Risparmiami la scena del fratello indignato, per favore.» «Mi piacerebbe torcergli il collo...» «Piantala, Danny» esclamò rabbiosa Maisie. «Sette anni fa mi lasciasti sola e non hai nessun diritto di tornare e di comportarti come se fossi una tua proprietà.» Danny parve punto sul vivo, e Maisie continuò in tono più calmo: «Non importa. Credo che mi avrebbe sposata, ma io non ho voluto, quindi lascialo perdere. E in ogni caso è andato in America». Danny si calmò. «Se non fossi tuo fratello ti sposerei io. Sei così carina! Comunque, posso darti quel po' di soldi che mi è rimasto.» «Non lo voglio.» Maisie si rendeva conto di essere sgarbata, ma non poteva evitarlo. «Non c'è bisogno che ti prenda cura di me, Danny. Usa quei soldi per il tuo circolo. So badare a me stessa. Ci sono riuscita quando avevo undici anni, e credo di poterlo fare anche adesso.» Il belvedere era una strana stanza. Era situata sopra l'entrata e la si raggiungeva passando da una porta a metà della scala. Aveva un bow window affacciato sulla strada, ma non era a questo che doveva il suo nome. La caratteristica più insolita era una finestra interna che guardava nel grande salone d'ingresso. Coloro che si trovavano nel salone non sospettavano di essere osservati, e nel corso degli anni Augusta aveva avuto modo di vedere da lassù molte scene strane. Era una stanza informale, piccola e intima, con un camino. Era lì che Augusta riceveva i visitatori del mattino. Fortescue era un giovane alto e di bell'aspetto, dalle mani molto grandi. Sembrava un po' teso. Augusta gli sedette accanto sul divanetto davanti alla vetrata e gli rivolse un sorriso caloroso, rassicurante. «Ho appena parlato con il primo ministro» disse Fortescue. Augusta parlò con un filo di voce. «Avete parlato delle parìe?» «Precisamente. Sono riuscito a convincerlo che le banche devono essere rappresentate alla Camera dei Lord, e si è deciso a far avere un titolo a un esponente della City.» «Meraviglioso!» esclamò Augusta. Ma Fortescue era a disagio, e sembrava che non avesse portato buone notizie. «E allora perché è così tetro?» gli chiese, incerta. «Quello che devo dirle non le farà piacere.» Fortescue aveva un'aria quasi spaventata. «Di che si tratta?» «Temo che voglia fare avere il titolo a Ben Greenbourne.» «No!» Augusta ebbe la sensazione di aver ricevuto un pugno nello stomaco. «Com'è possibile?» Fortescue si mise sulla difensiva. «Può assegnare titoli nobiliari a chi vuole. E' il primo ministro.» «Ma io non mi sono data tanto da fare perché ne beneficiasse Ben Greenbourne!» « E' un'ironia della sorte, lo riconosco» disse Fortescue in tono languido. «Ma ho fatto del mio meglio.» «Non si dia tante arie» scattò Augusta. «Se vuole il mio aiuto nelle prossime elezioni.» Un lampo di ribellione passò negli occhi del giovane; per un momento parve che fosse sul punto di ribattere che ormai aveva ripagato il debito e non aveva più bisogno di lei. Invece chinò lo sguardo e disse: «Le assicuro che la notizia mi ha sconvolto...» «Taccia e mi lasci pensare» lo interruppe Augusta, e prese a misurare le stanze a lenti passi. «Dobbiamo trovare il modo di far cambiare idea al primo ministro... Dobbiamo provocare uno scandalo. Quali sono le debolezze di Ben Greenbourne? Il figlio ha sposato una donna da strada, ma non basta...» Se Greenbourne avesse ottenuto un titolo, a suo tempo l'avrebbe ereditato il figlio Solly, e Maisie sarebbe diventata contessa. Era una prospettiva ributtante. «Quali sono le idee politiche di Greenbourne?» «Nessuno le conosce.» Augusta guardò il giovane e vide che era imbronciato. Gli aveva parlato con durezza eccessiva, e se ne rendeva conto. Tornò a sedere al suo fianco e gli prese una mano fra le sue. «Lei ha un istinto politico straordinario; è stato appunto questo che ha attirato la mia attenzione. Mi dica cosa ne pensa.» Fortescue si raddolcì immediatamente, come facevano di solito gli uomini quando lei si degnava di essere gentile con loro. « E' probabile che sia liberale. Lo sono molti uomini d'affari e molti ebrei. Ma dato che non ha mai espresso pubblicamente un'opinione, sarebbe difficile spacciarlo per un avversario del governo conservatore...» « E' ebreo» disse Augusta. «Ecco la chiave.» Fortescue sembrava dubbioso. «Anche il primo ministro è ebreo di nascita, ed è diventato Lord Beaconsfield.» «Lo so, però è un cristiano praticante. E poi...» Fortescue inarcò un sopracciglio con aria interrogativa. «Anch'io sono dotata d'istinto» incalzò Augusta. «E mi suggerisce che la chiave di tutto sta nel fatto che Ben Greenbourne è ebreo.» «Se posso fare qualcosa...» « E' stato straordinario. Per il momento non c'è nulla da fare, ma quando il primo ministro inizierà a nutrire dubbi su Ben Greenbourne, gli rammenti che Joseph Pilaster rappresenta un'alternativa sicura.» «Conti su di me, signora Pilaster.» Sorpreso e preoccupato, Hugh andò immediatamente all'ospedale. Trovò Tonio in una corsia buia e spoglia, dove c'erano almeno trenta letti. Gli avevano rasato i capelli rossi, e la faccia e il cranio erano coperti da cicatrici. «Buon Dio!» esclamò Hugh. «Sei stato investito da una carrozza?» «No, mi hanno picchiato» rispose Tonio. «Cos'è successo?» «Mi hanno aggredito per la strada davanti all'Hotel Russe un paio di mesi fa.» «Ti hanno rapinato, immagino.» «Sì.» «Sei molto malconcio.» «Non è grave come sembra. Avevo un dito fratturato e una caviglia slogata, ma erano soprattutto tagli e lividi... sebbene in grande quantità. Ma ora sto meglio.» «Avresti dovuto contattarmi prima. Dobbiamo farti uscire da qui. Ti manderò il mio dottore e un'infermiera...» «No, grazie, vecchio mio. Apprezzo molto la tua generosità, ma se sono rimasto qui non è solo per ragioni economiche. Sono più sicuro. Oltre a te, una sola persona sa dove sono: un collega fidato che mi porta pasticci di carne, brandy e messaggi dal Cordova. Spero che tu non abbia detto a nessuno che saresti venuto da me.» «Neppure a mia moglie» gli assicurò Hugh. «Bene.» L'avventatezza di Tonio era sparita, pensò Hugh. Pareva anzi essere passato da un estremo all'altro. «Ma non puoi restare per tutta la vita in ospedale per nasconderti ai rapinatori.» «Quelli che mi hanno aggredito non erano semplici ladri, Pilaster.» Hugh si tolse il cappello e sedette sull'orlo del letto, cercando di non ascoltare gli intermittenti gemiti di un altro paziente. «Racconta cos'è successo» disse. «Non è stata una comune rapina. I ladri mi hanno portato via la chiave e se ne sono serviti per entrare in camera mia. Non hanno rubato oggetti di valore, ma sono spariti tutti i documenti relativi al mio articolo per il "Times", incluse le dichiarazioni giurate dei testimoni.» Hugh era inorridito. Si sentiva rabbrividire al pensiero che le rispettabili, irreprensibili transazioni che avvenivano negli ovattati uffici della Pilasters avessero un legame con il crimine di strada e con il volto sfigurato di Tonio. «Si direbbe che sospetti la banca!» «No, non la banca» spiegò Tonio. «La Pilasters è molto potente, ma non credo che possa commissionare omicidi nel Cordova.» «Omicidi?» Di male in peggio. «Chi è stato assassinato?» «Tutti i testimoni i cui nomi e indirizzi erano nelle dichiarazioni giurate rubate nella mia stanza d'albergo.» «Non posso crederlo.» «Io sono fortunato a essere ancora vivo. Mi avrebbero ucciso, credo, se non fosse che qui a Londra si indaga sugli omicidi molto più seriamente che nel Cordova. Avevano paura delle conseguenze.» Hugh era ancora stordito e disgustato dalla rivelazione: qualcuno era stato ucciso a causa di un prestito emesso dalla Pilasters Bank. «Ma chi c'è dietro tutto questo?» «Micky Miranda.» Hugh scosse il capo con aria incredula. «Non ho nessuna simpatia per Micky, lo sai, ma non posso credere che farebbe una cosa simile.» «La ferrovia di Santamaria è vitale, per lui. Farà della sua famiglia la più potente del paese, dopo quella del presidente.» «Me ne rendo conto, e sono certo che Micky sarebbe disposto a infrangere molte regole per realizzare i suoi scopi. Ma non è un assassino.» «Invece lo è» ribatté Tonio. «Oh, andiamo!» «Lo so con certezza. Non mi sono sempre comportato come se lo sapessi... anzi, mi sono comportato da stupido con Miranda. Ma questo è dovuto al suo fascino diabolico. Per molto tempo mi aveva fatto credere di essermi amico. La verità è un'altra: è marcio, e l'ho sempre saputo fin dai tempi della scuola.» «Com'è possibile?» Tonio si mosse nel letto. «So cosa accadde veramente tredici anni fa, il pomeriggio in cui Peter Middleton annegò nello stagno di Bishopis Wood.» Hugh si sentì elettrizzato. Se lo era chiesto per molti anni. Peter Middleton era un ottimo nuotatore; era improbabile che fosse morto per un incidente. Da molto tempo era convinto che fosse accaduto qualcosa di losco. Forse, finalmente, avrebbe saputo la verità. «Continua» disse. «Non vedo l'ora di sentire com'è andata.» Tonio esitò. «Puoi versarmi un poi di vino?» chiese. Sul pavimento, accanto al letto, vi era una bottiglia di madera. Hugh ne versò un poi in un bicchiere. Mentre Tonio beveva, Hugh rievocò il caldo di quel giorno lontano, l'aria immobile di Bishopis Wood, le pareti rocciose della vecchia cava, l'acqua freddissima. Aiutarono Bertie a disfare il baule; poi lui preparò il tè nello studio. Hugh aveva portato una torta che probabilmente sarebbe servita a sfamare per una settimana l'intera sesta classe. «Il prossimo semestre verrà qui mio figlio Toby» disse mentre prendevano il tè. «Saresti disposto a tenerlo d'occhio?» «Con piacere» rispose Bertie. «Farò in modo che non vada a nuotare al Bishopis Wood.» Maisie aggrottò la fronte. «Chiedo scusa» si affrettò a dire Bertie. « E' una battuta di pessimo gusto.» «Se ne parla ancora, vero?» chiese Hugh. «Tutti gli anni il direttore racconta come annegò Peter Middleton, per cercare di spaventare gli allievi. Ma tutti ci vanno a nuotare lo stesso.» Dopo il tè si congedarono da Bertie. Maisie aveva le lacrime agli occhi, come ogni volta che doveva lasciare il suo bambino, anche se ormai era più alto di lei. Tornarono a piedi fino alla cittadina e presero il treno per Londra. Avevano uno scompartimento di prima classe tutto per loro. «Edward è diventato il Socio Anziano della banca» disse Hugh mentre guardavano scorrere il panorama. Maisie lo guardò, sorpresa. «Non pensavo che avesse abbastanza cervello!» «Non ce l'ha. Io darò le dimissioni alla fine dell'anno.» «Oh, Hugh!» Maisie sapeva quanto gli stesse a cuore la banca: vi aveva riposto tutte le sue speranze. «Cosa farai?» «Non lo so. Resterò fino alla conclusione dell'anno finanziario, il che mi darà tempo per pensarci.» «Ma la banca non andrà in rovina, in mano a Edward?» «Temo che ci sia questa eventualità.» Maisie si rattristò per Hugh. Aveva avuto anche troppa sfortuna, mentre a Edward era andata troppo bene. «Oltretutto Edward è diventato lord Whitehaven. Ti rendi conto che se il titolo nobiliare fosse stato concesso a Ben Greenbourne, com'era giusto che fosse, avrebbe potuto ereditarlo Bertie?» «Sì.» «Ma fu Augusta a rovinare tutto.» «Augusta?» chiese Hugh aggrottando la fronte. «Sì. Fu lei l'ispiratrice di quella campagna giornalistica contro la concessione di un titolo a un ebreo. Non lo ricordi?» «Certo. Ma come puoi essere sicura che fosse stata Augusta?» «Ce lo disse il principe di Galles.» «Ma bene.» Hugh scosse il capo. «Augusta non finisce mai di stupirmi.» «Comunque, ora la povera Emily è lady Whitehaven.» «Almeno ha ricavato qualcosa da quel disgraziato matrimonio.» «Ti rivelerò un segreto» disse Maisie. E abbassò la voce, anche se nessuno poteva ascoltarli. «Emily sta per chiedere a Edward l'annullamento.» «Brava! Perché il matrimonio non è stato consumato, presumo.» «Sì. Non mi sembri sorpreso.» «Non è difficile capirlo. Non si toccano mai. Sono così impacciati l'uno con l'altra che viene difficile credere che siano marito e moglie.» «Emily ha vissuto un'esistenza impossibile in tutti questi anni, e ha deciso di finirla.» «Avrà molti problemi con la mia famiglia» disse Hugh. «Vuoi dire con Augusta.» Aveva avuto la stessa reazione di Maisie. «Emily lo sa. Ma possiede una certa ostinazione che dovrebbe esserle utile.» «Ha un innamorato?» «Sì. Ma non vuole diventare la sua amante. Non so perché si faccia tanti scrupoli. Edward passa tutte le notti in un bordello.» Hugh le sorrise: un sorriso triste, pieno d'amore. «Una volta ti dimostrasti molto scrupolosa anche tu.» Maisie comprese che alludeva alla notte di Kingsbridge Manor, quando aveva chiuso a chiave la porta della stanza per non lasciarlo entrare. «Ero sposata con un brav'uomo, e io e te stavamo per tradirlo. La situazione di Emily è molto diversa.» Hugh annuì. «Tuttavia, capisco cosa si provi. E' la menzogna che rende vergognoso l'adulterio.» Maisie non era d'accordo. «Si dovrebbe cogliere al volo la felicità, quando è possibile. Si vive una volta sola.» «Ma quando si coglie al volo la felicità si corre il rischio di perdere qualcosa di più prezioso... l'integrità.» «Per me è un ragionamento troppo astratto» disse Maisie in tono sbrigativo. «Lo fu senza dubbio per me, quella notte in casa di Kingo, quando avrei tranquillamente tradito la fiducia di Solly se tu me l'avessi permesso. Ma ha acquistato concretezza con il passare degli anni. Ora credo di poter porre l'integrità al di sopra di tutto.» «Ma cos'è questa integrità?» «Si metta nei panni di una serva nubile» disse Maisie al governatore, e represse un sorrisetto quando lui la fissò sorpreso. «Pensi alle conseguenze, se diventasse madre: perderebbe il lavoro e la casa, resterebbe senza mezzi di mantenimento e il bambino non avrebbe un padre. Penserebbe allora "Oh, ma posso partorire nell'ospedale della signora Greenbourne a Southwark, quindi tanto vale"? No, naturalmente. Il mio ospedale non incoraggia le giovani donne a comportarsi in modo immorale. Si limita a salvarle dal pericolo di partorire in mezzo a una strada.» Il fratello di Maisie, Dan, seduto all'altro fianco della sorella, intervenne: « E' un po' come il disegno di legge sulle banche che ho proposto al Parlamento, e che le obbligherebbe a contrarre un'assicurazione nell'interesse dei piccoli risparmiatori». «Lo so» disse il governatore. Dan continuò: «I miei detrattori sostengono che incoraggerebbe la bancarotta perché renderebbe meno pesanti le conseguenze. Ma è assurdo. Nessun banchiere vorrebbe fallire, in nessun caso». «Questo è vero.» «Quando un banchiere stipula un accordo, non pensa che con la sua avventatezza potrebbe rovinare una vedova di Bournemouth... si preoccupa soltanto della propria ricchezza. Allo stesso modo, far soffrire i bambini illegittimi non contribuisce a scoraggiare gli uomini senza scrupoli dal sedurre le serve.» «Capisco il suo punto di vista» disse il governatore con un'espressione sofferta. « E' un paragone molto... ehm... molto originale.» Maisie concluse che l'avevano tormentato abbastanza e lo lasciò libero di dedicarsi alla pernice di montagna. Dan le disse: «Hai notato che le parìe vengono sempre accordate agli individui sbagliati? Guarda Hugh e suo cugino Edward. Hugh è onesto, capace, lavoratore mentre Edward è sciocco, pigro e inutile... eppure Edward è conte di Whitehaven, e Hugh non è altro che il signor Pilaster». Maisie si sforzava di non guardare Hugh. Sebbene l'invito le avesse fatto piacere, la rattristava vederlo al centro della famiglia. La moglie, i figli, la madre e la sorella formavano una cerchia chiusa che la escludeva. Sapeva che il matrimonio con Nora era infelice: lo si capiva dal modo in cui si parlavano senza mai toccarsi, senza sorridere, senza manifestare il minimo affetto. Ma non era una consolazione. Formavano una famiglia, e lei non ne avrebbe mai fatto parte. Sarebbe stato meglio se non fosse venuta al matrimonio. Un lacchè si accostò a Hugh e annunciò a voce bassa: «C'è una telefonata per lei dalla banca, signore». «Ora non posso» disse Hugh. Dopo qualche minuto uscì il maggiordomo. «Signore, c'è al telefono il signor Mulberry della banca, e chiede di lei.» «Ora non posso!» ribatté Hugh, irritato. «Sta bene, signore.» Il maggiordomo fece per allontanarsi. «No, un momento» ci ripensò Hugh. Mulberry sapeva che era impegnato per il pranzo di nozze. Era un uomo intelligente e responsabile, e non avrebbe insistito per parlargli se non fosse successo qualcosa di grave. Qualcosa di molto grave. Hugh fu scosso da un brivido di paura. «Sarà meglio che gli parli» disse. Si alzò. «Scusami, mamma... Vostra Grazia... devo sbrigare una cosa urgente.» Uscì in fretta dal tendone, attraversò il prato ed entrò in casa. Il telefono era in biblioteca. Prese il ricevitore e disse: «Parla Hugh Pilaster». Sentì subito la voce del suo collaboratore. «Sono Mulberry, signore. Mi dispiace disturbarla...» «Cos'è successo?» «Un telegramma da New York. E' scoppiata la guerra nel Cordova.» «Oh, no!» Era una notizia catastrofica per Hugh, la sua famiglia e la banca. Non poteva esserci di peggio. «Una guerra civile, per l'esattezza» continuò Mulberry. «Una rivolta. I Miranda hanno attaccato Palma, la capitale.» Il cuore di Hugh batteva all'impazzata. «Si ha un'idea delle loro forze?» Se la ribellione fosse stata repressa rapidamente ci sarebbe stata ancora qualche speranza. «Il presidente Garcia è fuggito.» «Diavolo!» Dunque la situazione era grave. Hugh maledisse Micky ed Edward. «Si sa altro?» « E' arrivato anche un telegramma dalla nostra sede cordovana, ma lo stanno decifrando.» «Mi richiami appena avranno finito.» «Sì, signore.» Hugh girò la manovella, parlò all'operatore e diede il nome dell'agente di cambio di cui si serviva la banca. Attese che venisse all'apparecchio. «Danby, sono Hugh Pilaster. Come vanno i titoli cordovani?» «Li offriamo a metà del valore nominale, ma nessuno li compra.» La casa era fredda. Augusta non era il tipo da nascondersi, ma per ogni eventualità Hugh cercò in tutte le stanze. Il piano terreno era deserto. Salì al primo piano e controllò la camera da letto. Ciò che vide lo sorprese. Le ante del guardaroba erano socchiuse, i cassetti aperti, e sul letto e sulle poltrone erano stati gettati diversi abiti. Non era nello stile di Augusta, solitamente molto ordinata e meticolosa. In un primo momento pensò che la casa fosse stata saccheggiata dai ladri. Poi fu colpito da un altro pensiero. Salì correndo al piano della servitù. Ai tempi in cui viveva in quelle stanze, diciassette anni prima, le valige e i bauli venivano tenuti in un ampio ripostiglio. La porta era aperta. C'erano poche valige, e il grande baule era sparito. Augusta se n'era andata. Controllò in fretta le altre stanze. Come aveva previsto, non trovò nessuno. Nelle camere della servitù e nelle camere degli ospiti regnava già la stantia atmosfera dell'abbandono. Quando guardò in quella che era stata la camera dello zio Joseph, si stupì nel vedere come fosse rimasta esattamente uguale a un tempo, anche se l'arredamento del resto della casa era stato cambiato diverse volte. Stava per uscire quando lo sguardo si posò sulla vetrinetta laccata che aveva custodito la preziosa collezione di tabacchiere. Era vuota. Hugh aggrottò la fronte. Sapeva che le tabacchiere non erano state consegnate alla casa d'aste. Augusta aveva impedito che si rimuovesse la sua roba. Quindi le aveva portate con sé. Valevano centomila sterline. Con quella somma avrebbe potuto vivere agiatamente per il resto della sua esistenza. Ma le tabacchiere non erano sue. Appartenevano al consorzio. Hugh decise di inseguirla. Scese correndo la scala e uscì sulla strada. Pochi metri più avanti vi era una fermata di vetture di piazza. I vetturini chiacchieravano tra loro e battevano i piedi per scaldarsi. Hugh li raggiunse. «Qualcuno ha accompagnato in qualche posto lady Whitehaven questo pomeriggio?» domandò. «Sì, siamo andati in due» disse un vetturino. «Uno ha portato i bagagli!» Gli altri risero. La deduzione di Hugh aveva trovato conferma. «Dove l'avete accompagnata?» «Alla Waterloo Station a prendere il treno dell'una, il treno per il traghetto.» Il treno per il traghetto andava a Southampton, il porto di partenza di Micky. I due erano sempre stati intimi amici. Micky la circondava di premure, le baciava la mano, le faceva mille complimenti. Nonostante i diciotto anni di differenza, formavano una coppia plausibile. «Però il treno l'hanno perso» spiegò il vetturino. «L'hanno perso?» chiese Hugh. «C'era qualcuno con lei?» «Un vecchio su una sedia a rotelle.» Evidentemente non era Micky. Ma allora, chi era? Nessun membro della famiglia era così debole da dover ricorrere alla sedia a rotelle. «Hanno perso il treno, ha detto. Sa quando parte il prossimo?» «Alle tre.» Hugh controllò l'orologio. Erano le due e mezzo. Avrebbe fatto in tempo a raggiungerlo. «Mi porti alla Waterloo Station» disse, e salì in vettura. Arrivò alla stazione appena in tempo per fare il biglietto e prendere il treno. Era un convoglio con le carrozze comunicanti, e quindi era possibile controllare da un capo all'altro. Mentre uscivano dalla stazione e attraversavano i quartieri modestissimi della Londra meridionale, Hugh si mise alla ricerca di Augusta. Non dovette andare lontano. Era nella seconda carrozza. Le lanciò un'occhiata e si affrettò a passare oltre per non farsi vedere. Micky non era con lei. Doveva essere partito con un treno precedente. Nello scompartimento c'era solo un'altra persona, un vecchio con un plaid sulle ginocchia. Hugh andò a sedere nella carrozza vicina. Non aveva senso affrontare subito Augusta. Era possibile che non avesse con sé le tabacchiere: potevano essere in una delle sue valige, nel bagagliaio. Se le avesse parlato ora l'avrebbe insospettita. Era meglio attendere che il treno arrivasse a Southampton. Allora sarebbe balzato a terra, avrebbe cercato un poliziotto e avrebbe bloccato Augusta mentre venivano scaricate le valige. E se Augusta avesse negato di avere le tabacchiere? Hugh avrebbe dovuto insistere perché la polizia le perquisisse il bagaglio: avevano l'obbligo di indagare quando veniva segnalato un furto, e più Augusta avesse protestato e più si sarebbero insospettiti.