/<1990>/ Nonostante la tendenza del flusso genico a rendere geneticamente omogenea una popolazione, la moderna teoria sintetica del gradualismo filetico continuò questa tradizione di estrapolazione dalle popolazioni locali e si servì del modello dell'adattamento alle modificazioni ambientali, la graduale sostituzione allelica indirizzata dalla selezione naturale, come di un paradigma per spiegare l'origine della specie (Gould, 1982, p. 134). (Il termine allele viene usato per definire un insieme di geni). Questo processo è stato definito continuità simpatrica. Mayr (1963) tuttavia riconobbe che la speciazione poteva avvenire più rapidamente ed efficacemente in piccole popolazioni isolate. Una piccola popolazione che si allontana dagli altri individui della stessa specie non è sottoposta al flusso genico della popolazione ancestrale. Ma questo modello aderisce al principio del gradualismo filetico dell'isolamento periferico. Un processo di speciazione efficace può essersi verificato perché le piccole variazioni adattive nel corso di numerose generazioni hanno avuto un effetto cumulativo. Il vantaggio dell'isolamento è dovuto solo alla diminuzione dell'effetto del flusso genico nell'ambito di una piccola popolazione. 1.3. Equilibri punteggiati Eldredge e Gould svilupparono una teoria di speciazione allopatrica secondo la quale una nuova specie viene alla luce solo quando una piccola popolazione viene isolata al margine del territorio occupato dalle specie d'origine. Questo fenomeno viene definito isolamento periferico. Le popolazioni isolate evolvono in nuove specie se i meccanismi d'isolamento si sviluppano in modo da prevenire l'effetto del flusso genico, qualora la popolazione, così costituita, incontri nuovamente i suoi antenati. La conseguenza della teoria allopatrica prevede che le nuove specie non originino nel luogo in cui hanno vissuto i loro antenati (1972:94). Eldredge e Gould (1972) hanno proposto che lo sviluppo di una nuova specie in isolamento periferico si verifichi in un tempo breve in relazione al periodo di sopravvivenza della specie e, se c'è emigrazione verso il territorio degli antenati, le due specie coesisteranno simpatricamente senza incrociarsi. Questo è dimostrato dalle testimonianze fossili. Così, lunghi periodi di stasi evolutiva possono essere interrotti da eventi episodici di speciazione allopatrica. Questa è l'ipotesi degli equilibri punteggiati. Come precedentemente detto, il gradualismo filetico dipende dalle mutazioni unitarie dei geni le quali, se adattative e consecutive, sono gradualmente accumulate per selezione in lunghi periodi di tempo. La teoria alternativa degli equilibri punteggiati propone che modificazioni cromosomiche più estese possono determinare variazioni del genoma in grado di condurre alla speciazione nell'arco di poche generazioni di una popolazione in isolamento periferico. Perciò la speciazione può dipendere dalla regolazione o dalla riorganizzazione genica piuttosto che dalle classiche mutazioni puntiformi che producono nuovi geni. Inoltre, grandi modificazioni fenotipiche possono derivare da modificazioni della sincronizzazione dei geni regolatori, i quali potrebbero causare la produzione di nuove specie (Bush et al., 1977). Carson ha proposto: Una serie di catastrofici, stocastici eventi genetici può avere innescato il processo di speciazione e compiuto importanti mutazioni geniche a favore della formazione della specie... eventi iniziati quando interviene un'insolita, forzata riorganizzazione dei super-geni epistatici del sistema chiuso di variabilità... Propongo che questo ciclo di disorganizzazione e riorganizzazione sia visto come l'essenza del processo di speciazione (l975:88). Questa proposta dell'origine "saltazionale" della specie non è in linea con il classico gradualismo filetico dove il processo di selezione è visto come il fattore critico nel controllo delle mutazioni puntiformi casuali. L'isolamento riproduttivo con le sue rapide modificazioni genetiche precede la diversificazione e non è adattativo. Gould (1982) sostiene che, sebbene la formazione "saltazionale" della specie fornisca la materia prima per la selezione, c'è una differenza diametralmente opposta tra le due teorie alternative di speciazione. Secondo il gradualismo filetico, le mutazioni puntiformi portano a sostituzioni alleliche che sono sequenziali, lente e adattative attraverso il processo di selezione. Secondo l'ipotesi degli equilibri punteggiati, l'origine "saltazionale" di nuove specie è discontinua e non adattativa ed è solo secondariamente soggetta a selezione. Potrebbe verificarsi la produzione "saltazionale" di un carattere estremo, che dà origine a ciò che viene ironicamente definito un "mostro pieno di speranza". Il processo di selezione può determinare la sopravvivenza del "mostro pieno di speranza", ma il primo vincolo a cui la sua genesi è sottoposta risiede nell'ontogenesi ereditata, non nel processo di rimodellamento operato dalla selezione (Gould, 1982, p. 142). Lo studio continuò per molti anni, fornendo un resoconto sugli individui di questo gruppo, ciascuno identificato da un nome. I neonati crescono e diventano giovani sotto la cura continua delle madri in un sistema puramente matriarcale. La paternità è sconosciuta in questa società promiscua e, in ogni caso, gli scimpanzé non sono coscienti del fatto che l'accoppiamento dà luogo alla gravidanza e alla nascita di un piccolo. Come accade per l'uomo, lo scimpanzé neonato è molto indifeso dopo la nascita, sebbene le dimensioni del suo cervello siano circa il 60% rispetto a quelle dell'adulto, a differenza del neonato umano in cui la percentuale è del 26% (Tabella 5.2). La madre ha il difficile compito di tenere il suo piccolo scimpanzé mentre salta tra gli alberi e mentre costruisce una tana. Ben presto il piccolo impara a tenersi al pelo materno. Tuttavia, fino a 5 mesi non impara a salire sulla schiena della madre. Nel frattempo, a circa due mesi, ha appreso a riconoscere gli oggetti e a raggiungerli, molto prima di quanto faccia un neonato umano. A 3 mesi ha una discreta coordinazione motoria, a 5 mesi impara a fare i primi passi ed inizia ad arrampicarsi, ancora una volta molto più precocemente rispetto ad un neonato umano. Un'altra attività che il piccolo scimpanzé impara presto è la costruzione di un giaciglio dove trascorrere la notte. A 8 mesi egli tenta già di imparare questa importante tecnica, ma per alcuni anni non sarà ancora in grado di costruire una tana. Si tratta di un gioco, come avviene nei bambini. In questo periodo di crescita la madre è l'insegnante principale, ma, quando il piccolo comincia ad aggirarsi da solo, apprende imitando altri membri del gruppo, tentando persino a 8 mesi l'accoppiamento con una femmina impubere. Più tardi a 3 anni, la madre gli insegna ad usare il suo primo oggetto, l'inserzione di bastoncini nei termitai per estrarre le larve di termiti e mangiarle. Ma il giovane vive sotto le cure materne fino a 1 o 2 anni dopo lo svezzamento, che termina all'età di 5 anni. Nel frattempo lo scimpanzé impara molti comportamenti, vivendo con gli altri giovani e con gli adulti, subendo spesso attacchi da parte dei maschi anziani. Ma la madre è ancora pronta ad assisterlo. Gli episodi raccontati da Jane Goodall ci fanno vedere come l'adolescenza dello scimpanzé non sia molto diversa dall'adolescenza dell'uomo che vive nelle società primitive attuali. La differenza sostanziale è che nelle società umane primitive i maschi, soprattutto il padre, partecipano all'allevamento dei piccoli. Gli scimpanzé, invece, finché non inizia il periodo della pubertà, verso i 7-8 anni, non lasciano la madre; quando ciò accade tentano di unirsi ai gruppi di maschi anziani, che però non accolgono bene i giovani e si limitano a tollerarli. I giovani devono avere un atteggiamento di sottomissione e fare affidamento sull'intervento materno se l'aggressione è troppo violenta. E' una società complessa con intense emozioni ma raramente si arriva a gravi danni. Infine, a circa 15 anni, i maschi sono completamente maturi e si impegnano in combattimenti per stabilire la loro supremazia. Contemporaneamente, a 8-9 anni di età, le femmine raggiungono la maturità sessuale ed hanno una vita sessuale molto attiva partorendo i primi neonati all'età di 12-13 anni. L'adolescenza degli scimpanzé non è cosi lunga come quella degli uomini; tuttavia, la sua sorprendente durata è una testimonianza dei lunghi processi di apprendimento che avvengono in una società complessa. Gli individui interagiscono mediante una vasta gamma di gesti ed almeno 14 modi identificabili di richiami e pianti. Pare che nell'ambito della comunità ogni individuo riconosca gli altri solo dalle voci (Goodall, 1971). Tuttavia, i richiami e le grida fanno sempre parte dei due livelli di linguaggio più bassi (Figura 4.1), vale a dire l'espressione di stati emotivi e di segnali per indicare il cibo, i predatori o altri gruppi di animali. E' un tipo di comunicazione molto povera rispetto a quella del più primitivo Homo sapiens attuale, che si lascia andare ad una conversazione eccessivamente superficiale e dettagliata su episodi ed azioni. Kummer (Kummer e Goodall, 1985) ha proposto che gli ominidi si sono evoluti dagli ominoidi perché, come gli scimpanzé attuali, essi erano piuttosto carenti nei comportamenti istintivi. L'elasticità mentale e l'apprendimento acquistavano grande importanza per la sopravvivenza ed ogni miglioramento di queste capacità costituiva un vantaggio evolutivo. Gli studi effettuati sugli scimpanzé lasciati liberi nel loro ambiente naturale necessariamente non possono avvalersi di procedure sperimentali. Gli studi effettuati da Menzel (1984) sugli scimpanzé giovani sono complementari a quelli di Goodall. Gli animali venivano lasciati girare in recinti abbastanza ampi coperti di fronde. In alcuni esperimenti, gli sperimentatori portavano in giro i giovani scimpanzé all'alterno di casse simulando così il trasporto sulla schiena della madre. Gli animali dimostrarono di avere una buona memoria sia per gli oggetti, sia per i luoghi, facendo attenzione a qualsiasi oggetto che veniva spostato. E' come se gli animali avessero imparato e ricordassero da un giorno all'altro i luoghi e le posizioni precise di ogni particolare situato nel recinto, sia che questi fossero stati o no associati a un qualsiasi rinforzo, come ad esempio il cibo (Menzel, 1984: 513). Esso rende la creatività umana una questione di puro caso. Senza dubbio esiste un elemento casuale in essa. Tuttavia, la teoria che la creazione di parole, l'arte o la musica possano, in ultima analisi, essere spiegate in termini di chimica o fisica mi sembra assurda. Fino ad ora la creatività musicale può essere spiegata almeno in parte in termini di influenza da parte di altra musica (la quale stimola anche la creatività del musicista); e, ancor più importante, in termini di struttura interiore, di leggi interne e di restrizioni che giocano un tal ruolo nella musica e in tutte le altre attività del Mondo 3 - leggi e restrizioni, il cui apprendimento (e l'occasionale insuccesso) sono immensamente importanti per la creatività del musicista. Così la nostra libertà e in particolar modo la libertà di creare, soggiace chiaramente alle restrizioni di tutti e tre i mondi. Per esempio, Beethoven, sordo dalla nascita, sarebbe potuto difficilmente diventare un compositore. Come compositore subordinò la sua libertà alle restrizioni strutturali del Mondo 3. Il Mondo 3 era il mondo in cui egli eseguì le sue più grandi e genuine scoperte, libero di scegliere la sua strada come un alpinista sull'Himalaya, ma frenato dalla via cosi scelta e dalle restrizioni del mondo che si accingeva a scoprire (1982: 128). 10.5.3. LIBERTA' DELLA VOLONTÀ' E RESPONSABILITÀ' MORALE Nel Capitolo 8 si è discusso dell'attivazione precoce dell'area supplementare motoria (ASM) durante un movimento volontario eseguito da una scimmia (Figura 8.3) o da un uomo (Figura 8.4). La Figura 8.5 illustra come una intenzione mentale volontaria agisce sul "cervello di collegamento", l'area supplementare motoria (ASM) (Eccles, 1982b). Deecke e Kornhuber (1978) mostrano questa risposta nel "potenziale di preparazione" della ASM in risposta ad una semplice azione volontaria. La Figura 10.4 si riferisce all'uomo ma differisce dalla Figura 8.5 poiché è rappresentato un nucleo centrale che corrisponde all'Io e alla Volontà. Solitamente si considera la Volontà come operativa su un movimento volontario le cui conseguenze morali sono valutate dall'Io. Così un'azione volontaria comporta una responsabilità morale. Allo scopo di illustrare questo concetto con uno schema, le frecce provenienti dalle "Intenzioni" (Figura 10.4) raggiungono il "Cervello di Collegamento" attraverso la Volontà e non direttamente come nel caso di un'azione volontaria priva di considerazioni morali come nel caso degli animali. Quando discute sul libero arbitrio, Searle (1984: 92) lo definisce come «il credere che noi avremmo potuto agire in modo differente da come ci siamo realmente comportati. Questa convinzione, a sua volta, coincide con le convinzioni sulla responsabilità morale e sulla nostra natura come persone». Tuttavia, egli prosegue nel sostenere: allo scopo di avere una libertà radicale, sembra di aver postulato che all'interno di ciascuno di noi esista un io capace di interferire con l'ordine causale della natura (1984: 92). Searle in questo modo rifiuta la "libertà radicale" perché e in contraddizione con le leggi della fisica. Tuttavia, nel Paragrafo 8.8 ho proposto che l'Io faccia proprio questo attraverso un'azione analoga ad un campo di probabilità della meccanica quantistica a livello dei micrositi sinaptici del cervello. Così non è necessario rinunciare a credere alla libertà della Volontà perché è contraria alle leggi della fisica. Searle (1984) conclude che: per ragioni che io non comprendo pienamente l'evoluzione ci ha dato una forma di esperienza di azione volontaria dove l'esperienza di libertà... è costruita all'interno delle reali strutture di comportamento cosciente, volontario e intenzionale. Per questa ragione la discussione non ci convincerà mai che il nostro comportamento non è libero (1984: 98). Si deve ammettere che dall'infanzia in avanti noi sperimentiamo continuamente la libertà del nostro comportamento. Se scopriamo che il nostro senso di libertà è alterato, dobbiamo sospettare di soffrire di una qualche lesione cerebrale e dovremmo consultare un neurologo! La responsabilità morale non esiste negli animali. Sebbene essi compiano movimenti volontari (Figura 8.3), non li eseguono per "Volontà"; essi non valutano le loro conseguenze sulla base di una decisione morale o immorale. 10.6. Evoluzione della natura umana L'eminente etologo David Lack ha pubblicato nel 1961 un libro intitolato Evolutionary theory and Christian belief. In questo libro egli espone un Darwinismo ortodosso, come ho cercato di fare io in questo libro, ed è critico nei confronti di coloro (cristiani ed agnostici) che tentano di spiegare l'evoluzione di strutture complesse, come l'occhio, attraverso concetti di "forza della vita" o "impulsi olistici". Egli conclude: che l'evoluzione è avvenuta ad opera della selezione naturale, significa che essa non è stata "casuale", ma è il risultato di leggi della natura. Se queste leggi abbiano determinato rigidamente il corso dell'evoluzione, e se questo corso sia stato progettato da Dio, sono problemi metafisici al di fuori degli scopi della biologia (1961: 71). Si osserva che i pazienti con lesioni del lobo temporale destro non differiscono dai soggetti normali se si considerano semplici toni o la discriminazione del ritmo. Tuttavia, le alterazioni si manifestano nell'esecuzione di due sottotipi dei test di Seashore, il test del Timbro e il test della Memoria Tonale (Milner 1972). Per esempio, nel test della Memoria Tonale, una breve sequenza, costituita da 4 o 5 note, viene suonata due volte in rapida successione e il soggetto deve riconoscere il momento in cui un tono viene cambiato durante la seconda audizione. Dopo l'intervento di lobectomia temporale destra il numero di errori aumentava, mentre la lobectomia temporale sinistra difficilmente modificava la prestazione. Ulteriori evidenze sul ruolo del lobo temporale destro nell'apprezzamento della musica sono state fornite da Shankweiler (1966) verificando il ricordo di melodie tradizionali. Dopo l'ascolto di poche battute, al soggetto veniva chiesto sia di continuare la melodia canticchiando, sia di dire il nome della melodia. Soggetti sottoposti a lobectomia temporale destra presentavano alterazioni di entrambe queste prove. Come ci si aspettava, i soggetti sottoposti a lobectomia temporale sinistra continuavano la melodia canticchiando ma, a causa della loro alterazione linguistica, non riuscivano ad eseguire il test verbale in cui si richiedeva il nome della melodia. L'importanza dell'emisfero destro per le doti musicali del cervello è dimostrata anche dai tragici risultati di un intervento di emisferectomia destra in una giovane donna musicalmente dotata (Gott, 1973). Questa donna era insegnante di musica e pianista affermata. Dopo l'intervento chirurgico si verificò la perdita delle sue doti musicali. Ella non poté più eseguire un brano musicale ma poté ripetere correttamente le parole di canzoni conosciute. Milner e collaboratori (1972, 1974) hanno anche dimostrato che le lesioni del lobo temporale destro provocano una notevole alterazione della percezione di stimoli irregolari, particolarmente di quelli non identificabili verbalmente. Dei tre test usati, quello del Riconoscimento delle Facce ha un'importanza particolare per il paziente. Un secondo importante test per valutare la memoria visiva non verbale è il cosiddetto test delle "Figure Senza-Senso Ricorrenti" creato da Kimura (1973), in questo test viene valutato il ricordo di disegni non familiari, geometrici o irregolarmente curvilinei. In un altro test (Milner, 1974), il soggetto deve osservare un piccolo cerchio disegnato in una determinata posizione su una linea e, successivamente, deve localizzare quel cerchio su un'altra linea con la stessa lunghezza ed orientamento mentre la prima linea viene, nel frattempo, celata alla vista. I risultati di questi test indicano che il lobo temporale destro è coinvolto principalmente nell'analisi delle caratteristiche degli stimoli visivi. In sintesi, questi test mostrano che il lobo temporale destro interviene in maniera determinante nel riconoscimento musicale, nella percezione dello spazio e nella memoria. Questo non significa che il lobo temporale destro è responsabile da solo di queste attività, ma che esso è la regione principalmente coinvolta. Sarà una nostra tesi in queste indagini sulle localizzazioni cerebrali, che le funzioni del cervello sono ampiamente distribuite negli emisferi cerebrali. Le funzioni del lobo temporale destro controbilanciano in qualche modo l'esteso coinvolgimento dei lobi parietale e temporale dell'emisfero sinistro nel linguaggio (Paragrafo 4.5). Tutte queste evidenze a favore della rappresentazione del riconoscimento della musica nell'emisfero non dominante, ottenute da pazienti con lesioni cerebrali, sono state confermate dai dati ottenuti con l'Ascolto Dicotico nei soggetti normali (Kimura, 1973). In questi test un apparecchio provvisto di cuffie viene utilizzato per far suonare simultaneamente due brevi melodie, una in ciascuno orecchio. Al soggetto viene poi chiesto di scegliere queste due melodie da un insieme di quattro melodie ascoltate normalmente in maniera sequenziale. Il riconoscimento avveniva in modo significativamente migliore per le melodie suonate nell'orecchio sinistro; questo indica una superiorità dell'emisfero destro poiché ciascun orecchio proietta all'area acustica del lobo temporale controlaterale (Figura 4.6). Quando venivano ascoltate sequenze di parole o numeri con lo stesso metodo dell'ascolto dicotico, si verificava, come prevedibile, un miglior riconoscimento da parte del lobo temporale sinistro (orecchio destro), specializzato nell'analisi e nel riconoscimento verbale. Questo veniva osservato anche per sillabe senza senso e parole pronunciate al contrario. L'emisfero sinistro è quindi coinvolto in uno stadio dell'analisi dell'informazione acustica che precede il riconoscimento semantico. Nella Figura 9.2 i punteggi relativi ai due emisferi sono stati convertiti in rapporti. Il rapporto per la dominanza dell'emisfero sinistro, relativa al riconoscimento delle parole, è 1,88 a 1,0, mentre il rapporto per la dominanza destra, relativa alle melodie, è 1,18 a 1,0. La Figura 9.2 illustra chiaramente l'asimmetria cerebrale: l'emisfero sinistro dominante per il linguaggio, quello destro per la musica. Bever e Chiarello (1974) hanno fornito un contributo molto interessante sul ruolo degli emisferi cerebrali nelle attività musicali. Essi scoprirono che esperti ascoltatori di musica riconoscevano meglio le melodie con l'orecchio destro (emisfero sinistro), mentre si verificava il contrario per ascoltatori inesperti. Inoltre, è incerto se si possa osservare qualche utilizzo sintattico nelle scimmie antropomorfe in questi linguaggi (Fouts e Rigby, 1980). A conclusione di tutti questi tentativi sperimentali di insegnare un linguaggio alle scimmie, si può dire che è stata osservata una notevole capacità di apprendere una comunicazione simbolica. Questa comunicazione è usata dalle scimmie in modo pragmatico: per fare richieste di cibo o per stabilire contatti sociali. Non è invece usata matematicamente per apprendere le caratteristiche del mondo circostante, come fanno molto efficacemente i bambini di 3 anni d'età. Non c'è dubbio che le scimmie antropomorfe siano idonee per apprendere i linguaggi simbolici del livello 2, ma è dubbio se esse riusciranno mai a raggiungere il livello 3, il linguaggio descrittivo, e naturalmente il raggiungimento del livello 4 non si prende neanche in considerazione. Le caratteristiche peculiari del linguaggio umano non si osservano nelle scimmie antropomorfe neanche utilizzando le procedure d'insegnamento più efficaci. Le scimmie possono utilizzare il linguaggio semanticamente, soprattutto il linguaggio LAG, ma non c'è nessuna chiara dimostrazione che le loro espressioni linguistiche abbiano una forma sintattica (Lenneberg, 1980; Brown, 1980; Bronowski e Bellugi, 1970, 1980; McNeill, 1980; Limber, 1980; Hill, 1980; Chomsky, 1980). Chomsky conclude: Gli ultimi lavori sembrano confermare, generalmente, la tradizionale e non molto sorprendente affermazione che il linguaggio umano, che si sviluppa anche a livelli molto bassi d'intelligenza e nonostante gravi ostacoli fisici e sociali, è al di fuori delle possibilità di altre specie, nelle sue proprietà più rudimentali. Questo è un concetto che negli ultimi anni, Eric Lenneberg, John Limber e altri hanno enfatizzato. Le differenze sembrano qualitative: non una questione di "più o meno", ma un tipo differente di organizzazione intellettuale. Come un distante osservatore dei protocolli di addestramento delle scimmie, ho l'impressione che le grandi speranze iniziali di comunicare con le scimmie ad un livello umano siano state deluse. Sembrava che le scimmie non avessero niente di interessante da comunicare. Era come se non avessero niente di equivalente al pensiero umano. Terrace e Bever (1980) hanno sviluppato un progetto particolarmente interessante; essi tenteranno di insegnare agli scimpanzé il concetto dell'Io. Già Gallup (1977) ha dimostrato che uno scimpanzé può riconoscersi in uno specchio. Terrace e Bever affermano: vorremmo anche enfatizzare che un concetto dell'Io, grazie al quale uno scimpanzé è in grado di concettualizzare i suoi sentimenti, le sue intenzioni e così via, in relazione ad altri individui del suo ambiente, può essere un passo cruciale nel motivare lo scimpanzé ad acquisire la competenza sintattica caratteristica del linguaggio dell'uomo. Per quanto possiamo affermare, né Sara né Lana svilupparono un concetto linguistico dell'Io; la dimostrazione nel caso di Washoe è nella migliore delle ipotesi equivoca. E' ora generalmente accettato che lo scimpanzé sia il parente a noi più vicino per quanto riguarda l'evoluzione degli ominoidi; questo giustifica la lunghezza di questo Paragrafo sui tentativi effettuati con lo scopo di sviluppare il linguaggio dello scimpanzé oltre i livelli 1 e 2. Questo serve per evidenziare l'immensa acquisizione evolutiva delle capacità linguistiche degli ominidi dai due livelli più bassi, che venivano utilizzati esclusivamente per scopi pragmatici, fino al linguaggio dell'uomo con i livelli più alti caratterizzati da una capacità descrittiva e critica e la funzione matetica interrogativa presente già nei bambini di 3 anni con il loro fiume di domande nel desiderio di comprendere il loro mondo. Le scimmie invece non fanno domande. Perciò ora ci chiediamo: «Quali sono le caratteristiche distintive delle aree cerebrali del linguaggio e quando si sono evolute?». Anatomia della corteccia cerebrale con particolare riferimento alle aree del linguaggio. Già dal secolo scorso è stato osservato che normalmente esistono due grandi aree della corteccia cerebrale sinistra (Figura 4.3) intimamente correlate al linguaggio, come è dimostrato dall'afasia che deriva dalla loro distruzione (Penfield e Roberts, 1959; Geschwind, 1972; Damasio e Geschwind, 1984). L'area posteriore del linguaggio, detta area di Wernicke, è associata in modo particolare all'aspetto ideativo del discorso. L'afasia è caratterizzata dall'incapacità di comprendere il linguaggio, sia scritto che parlato. Sebbene il paziente parli a velocità e ritmo normali e con una sintassi corretta, il suo discorso è notevolmente privo di contenuto, un gergo senza senso, privo cioè di semantica. L'afasia motoria di Broca deriva da lesioni della zona posteriore della terza circonvoluzione frontale, un'area che viene ora definita il centro anteriore del linguaggio di Broca. Il paziente in questo caso perde la capacità di parlare speditamente e fa grandi sforzi per emettere poche parole sebbene possa comprendere il linguaggio parlato. L'area di Broca si trova proprio di fronte le aree corticali che controllano i muscoli responsabili della fonazione; tuttavia, l'afasia motoria non è provocata dalla paralisi