/<1987>/ D'Artagnan va a Parigi. Davanti alla locanda del Franco Mugnaio c'era una grande agitazione; una piccola folla si era riunita, sulla via polverosa, e assisteva a una animata rappresentazione. Era uno dei primi giorni di aprile del 1625. Il luogo dell'azione, Meung, una tranquilla cittadina non lontana da Parigi. Poco prima era giunto al Franco Mugnaio uno strano tipo, che montava un cavallo ancor più strano. L'uomo era un giovane magro, alto, scuro di pelle, con un viso dall'espressione energica e un tantino arrogante. Vestiva come un gentiluomo spiantato: giubba scolorita, stivaloni frusti, berretto ornato di una piuma appassita; una lunga spada pendente da un cinturone di pelle. L'animale era ancor più notevole: un ronzino con la coda spelacchiata, le gambe decorate di vesciche, il mantello di un incredibile color giallo carota. Il nostro giovanotto era diretto a Parigi, in cerca di fortuna, cioè gloria e quattrini: méta d'obbligo per un gentiluomo di campagna, per di più un guascone. In tasca portava una preziosa lettera del padre per il signor de Tréville, capo dei moschettieri del re. Smontando davanti alla locanda, il giovane d'Artagnan questo era il suo nome notò a una finestra del pianterreno un gentiluomo di bell'aspetto, dall'aria altera, che parlava rivolto a due persone. Queste lo ascoltavano con deferenza, e ogni tanto scoppiavano a ridere. D'Artagnan osservò che il gentiluomo parlava tenendo d'occhio il suo cavallo; e capì che era esso l'oggetto delle osservazioni, e delle relative risate. Il giovane guascone prendeva fuoco per molto meno; perciò si fece sotto la finestra, una mano sull'elsa della spada, l'altra sul fianco, la faccia feroce: imitava una di quelle pose provocatorie che allora si imparavano a corte, e che egli aveva visto assumere, in Guascogna, da qualche signore di passaggio. Ehi, signore esclamò con voce dura ditemi di che ridete, e rideremo insieme! Il gentiluomo portò lentamente lo sguardo dal cavallo al cavaliere; rimase per un poco in silenzio, poi disse, con tono ferocemente soave: Non parlo con voi, signore. Io, però, parlo con voi! esclamò d'Artagnan, esasperato da quella gelida insolenza. Lo sconosciuto lasciò la finestra, uscì dalla locanda, e lentamente si venne a mettere a due passi da d'Artagnan, di fronte al cavallo. Si fece silenzio. La folla dei villici assisteva speranzosa. Il gentiluomo ignorò d'Artagnan, considerò il cavallo, poi si volse agli amici affacciati alla finestra. Questo colore disse con voce tranquilla e sufficientemente alta finora l'avevo visto soltanto nelle carote; nei cavalli mai. Gli amici, e gli spettatori, sghignazzarono. D'Artagnan esclamò furibondo: Chi ride del cavallo, non oserebbe ridere del cavaliere! Signore, replicò l'altro con tono quasi annoiato io non rido spesso. Ma non intendo rinunciare al privilegio di ridere quando mi pare e piace. E io replicò d'Artagnan non voglio che si rida quando mi dispiace! Davvero, signore? L'altro parlava sempre con calma esasperante. Ebbene, avete perfettamente ragione. Voltò le spalle al giovanotto e si avviò verso la porta della locanda. D'Artagnan, a questo punto, aveva perso il controllo di sé. Estrasse la spada dal fodero e inseguì l'uomo. Voltatevi, signor insolente disse con voce strozzata perché non voglio colpirvi alle spalle! L'altro si fermò, si volse con calma, e guardò d'Artagnan, più stupito che sprezzante. Colpire me? Via via, voi siete pazzo, giovanotto. Non aveva ancor terminato di parlare che d'Artagnan gli allungò una violenta stoccata; se non avesse dato un gran balzo indietro, quelle probabilmente sarebbero state le sue ultime parole. Lo sconosciuto, rapido, estrasse la spada, e si mise in guardia. Ma nello stesso momento, i suoi amici e l'oste si avventarono su d'Artagnan, impugnando mazza, paletta e attizzatoio. D'Artagnan fece subito fronte a quell'attacco in forze. Lo sconosciuto rinfoderò la spada, e rimase ad assistere allo scontro. Peste ai guasconi! borbottò. Rimettetelo sul suo cavallo color carota, e che se ne vada. Non prima di avervi ucciso, codardo! urlò d'Artagnan, mentre teneva testa agli avversari che lo tempestavano di colpi; ma fu un programma che non riuscì a realizzare perché, pochi secondi dopo, una mazzata gli spezzò in due la spada e, subito dopo, un colpo alla testa lo stordì. Barcollò, e cadde mezzo svenuto. Accorse gente. L'oste, aiutato dai garzoni, sollevò il ferito, e lo trasportò in cucina. Il gentiluomo, intanto, era tornato alla finestra, e lì lo raggiunse l'oste, che veniva a informarsi della sua salute. Che ne è del nostro giovanotto? chiese il gentiluomo. Sta meglio, si è già ripreso... Ma chi sarà quel bravaccio. Sembrava il diavolo in persona! No, eccellenza disse l'oste con una smorfia di disprezzo direi che è un povero diavolo, piuttosto. Mentre era svenuto lo abbiamo perquisito; ha soltanto una camicia e dodici scudi. E nella tasca della giubba c'era una lettera indirizzata al signor de Tréville, capitano dei moschettieri reali... Lo sconosciuto si fece attento. Per il signor de Tréville? Sì, Eccellenza. Il gentiluomo tornò a guardare fuori dalla finestra. Sembrava preoccupato. Dopo un poco si volse all'oste, che attendeva in silenzio. Vediamo un po', albergatore. Non mi sbarazzereste di quell'invasato? Non posso ucciderlo, ma ho bisogno che se ne vada fuori dai piedi... Dove si trova ora? Nella camera di mia moglie. E le sue cose? La sua giubba? E' tutto in cucina. Sta bene. Ora andate, preparatemi il conto, e avvertite il mio lacché che si parte. L'oste uscì. Il gentiluomo rimase di fronte alla finestra, pensieroso. Milady sarà qui fra poco mormorò e bisogna che quel rompiscatole non la veda... E io devo conoscere il contenuto di quella lettera per Tréville... Con decisione improvvisa, il gentiluomo si diresse verso la cucina. Nel frattempo, l'oste era salito nella camera della moglie, dove era stato trasportato d'Artagnan. Il giovanotto, con la testa fasciata, era ancora stordito, ma in piedi, e stava riassumendo l'espressione torva. Sorretto dall'oste, scese traballando la scala, entrò in cucina. E qui, attraverso la porta che dava sulla strada, vide il suo provocatore: stava sulla predella di una pesante carrozza e conversava con una donna, affacciata al finestrino. D'Artagnan era sorpreso e turbato; ma notò subito che la donna era giovane, e molto bella: grandi occhi azzurri, lunghi capelli biondi che le ricadevano sulle spalle. Rimase immobile, e riuscì a udire alcune parole dei due. ...sua Eminenza il cardinale vi ordina di tornare immediatamente in Inghilterra, e di avvertirlo se il duca di Buckingham dovesse partire per la Francia. In questa scatola ci sono le sue istruzioni. Bene disse la donna. E voi, che cosa farete? Tornerò a Parigi, e... D'Artagnan si fece avanti e lo interruppe. Sono qui, signore! Vediamo se alla presenza di una donna oserete fuggire! I due lo guardarono sorpresi. Andate, amico mio esclamò la donna, il minimo ritardo può essere fatale! Avete ragione rispose il gentiluomo: ciascuno per la sua strada! Corse al cavallo, che stava a pochi passi di distanza, saltò in sella e partì al galoppo. Intanto, la carrozza si muoveva e si allontanava con fragore in direzione opposta. Vigliacco! Finto gentiluomo! urlò d'Artagnan. Inseguì il cavaliere nella polvere, barcollando, ma fatti pochi passi cadde sulle ginocchia, piangendo per la rabbia. L'oste accorse, e lo aiutò a trascinarsi alla locanda, a raggiungere una camera, a mettersi a letto. L'indomani, alle cinque del mattino, il giovanotto si presentò in cucina. Chiese vino, olio, rosmarino, e altri ingredienti; e con essi confezionò un balsamo toccasana, secondo una ricetta che gli aveva insegnato la madre. Sarà stato il balsamo, sarà stata la portentosa capacità della giovinezza, oppure l'assenza del medico; fatto si è che a sera d'Artagnan si sentiva di nuovo in forma. Il mattino dopo, si preparò a partire. Ma al momento di pagare, nella saccoccia trovò solo i dodici scudi; la preziosa lettera per il signor de Tréville non c'era. Il giovanotto venne preso da un nuovo accesso di furore. Minacciò di fracassare ogni cosa nella locanda, e di infilzare i suoi occupanti se la lettera non fosse saltata fuori (dimenticando che della spada gli rimaneva un moncone lungo poche dita). Dopo una inutile ricerca che mobilitò tutti, l'oste trovò a un tratto la spiegazione. Quella lettera non è smarrita, signore disse a d'Artagnan. No? No. E' stata presa dal gentiluomo di ieri. Ne siete sicuro? Certamente. Quando gli ho detto che la signoria vostra aveva una lettera per l'illustre gentiluomo, è rimasto molto colpito; mi è sembrato preoccupato, anzi. Ed è andato subito in cucina, dove sapeva che c'era la vostra giubba. Ed è rimasto solo... Già disse cupo d'Artagnan. Me ne dorrò con il signor de Tréville, e il signor de Tréville se ne dorrà con il re. Poi pagò mestosamente i due scudi del conto, e risalì sul cavallo color carota che lo condusse, senz'altri incidenti, a Parigi. Qui, il giovanotto girò un poco fin che non ebbe trovato un alloggio adeguato alle sue magre risorse: una specie di soffitta in vie Des Fossoyeurs, non lontano dal palazzo del signor de Tréville. Parigi! La città dove, senza il minimo dubbio, avrebbe avuto gloria, quattrini, amori! Capitolo II Il signor de Tréville e i tre moschettieri Nell'alloggio parigino, d'Artagnan dormì del suo sonno pesante, ancor totalmente provinciale. Il mattino si ripulì, si rassettò e, verso le dieci, il cuore pieno di speranza, si recò al palazzo Tréville. Il signor de Tréville era il terzo personaggio del regno, dopo il re Luigi XIII e il cardinale Richelieu (anche se molti davano al cardinale il primo posto nella classifica dei potenti). Uomo audace, coraggioso, persino onesto, fedele a oltranza del re, che aveva per lui un vero affetto; affetto di re, egoistico, ma sempre affetto. Tréville comandava i moschettieri, il potente corpo di bravacci d'alto bordo, devoti alla corte fino al fanatismo. Sotto questo aspetto, il secondo personaggio di Francia, il potentissimo Armand-Jean Duplessis, duca di Richelieu, non era da meno del re; anch'egli poteva contare su un corpo di fedeli guardie (oltre che di spioni e tirapiedi a Corte e in tutta la Francia, e anche fuori del regno).