/<1987>/ Dove, ed in quali circostanze, nacque Oliviero Twist. Fra i pubblici edifici di una certa città, che per varie ragioni stimo prudente non nominare, e a cui non voglio assegnare un nome fittizio, ve n'è uno da gran tempo comune a quasi tutte le città, sia grandi sia piccole, ed è il ricovero dei poveri. In esso nacque, in data che non cito perché, almeno per ora, di nessuna importanza, il briciolo d'umanità il cui nome sta in testa a questo capitolo. Da lungo tempo dopo che il medico condotto l'aveva introdotto in questo misero mondo, assai si dubitò se il neonato sarebbe giunto a portare un nome qualsiasi, nel qual caso ritengo queste memorie non sarebbero mai state pubblicate, o tutt'al più, ridotte ad un paio di pagine, avrebbero avuto il merito inestimabile d'essere la più fedele e concisa biografia che esista nella letteratura d'ogni epoca e paese. Pur non volendo sostenere che nascere in tale ambiente sia per una creatura umana la circostanza più felice ed invidiabile, affermo tuttavia che nel caso speciale di Oliviero Twist fu per lui la massima ventura. Solo con gran difficoltà fu anzitutto indotto a respirare operazione noiosa, ma tuttavia necessaria alla nostra esistenza. Per un poco rimase steso e boccheggiante su di un materassino di borra, e decisamente più di là che di qua. Se in quel breve periodo Oliviero avesse avuto intorno a sé nonne prudenti, zie ansiose, infermiere esperte ed abilissimi medici, sarebbe certo stato subito ammazzato. Ma non essendo presente che una povera vecchia, un po' confusa da una insolita razione di birra, ed un medico condotto legato da un contratto, Oliviero e Natura dibatterono fra loro la questione col risultato che dopo qualche sforzo Oliviero respirò, starnutì, ed informò i ricoverati del nuovo carico imposto alla parrocchia con gli strilli più acuti che si potevano attendere da un maschietto, venuto da non più di tre minuti ed un quarto in possesso di quell'utile accessorio che è la voce. Mentre dava la prima prova di libera azione dei suoi polmoni, la copertina di stracci gettata a caso sul letto di ferro si mosse, il volto pallido d'una giovane s'alzò debolmente dal cuscino, ed una voce fioca articolò a stento: Voglio vedere il bimbo, e morire. Udendo quella voce, il medico che seduto dinanzi al fuoco si stava scaldando le mani, s'alzò ed accostandosi al letto disse con più dolcezza che da lui si sarebbe attesa: Ma no, non dovete parlar di morire ora. No, benedetta intervenne l'infermiera, cacciandosi in tasca una bottiglia verde il cui contenuto stava gustando soddisfatta in un angolo, benedetta lei; quando sarà vecchia come me, e avrà avuto tredici figli tutti morti meno due che son qui ricoverati con me, non se la prenderà così a cuore, l'agnellino mio, e penserà come è bello esser madre. Non parve che quelle confortanti prospettive materne producessero l'atteso effetto; la malata scosse il capo, e tese le braccia al bimbo. Il medico ve lo depose; ella lo baciò in fronte con passione, si passò le mani sul volto, con sguardo disperato, rabbrividì, ricadde sul guanciale, e spirò. Le frizionarono petto, mani, tempie, ma il sangue non circolava più; le parlarono di speranza, di conforto, ma da troppo tempo la poveretta ne era priva. E' andata, infermiera, disse alfine il medico. Eh sì, poverina, fece quella, raccattando il tappo della bottiglia che era caduto sul guanciale, mentre s'era chinata a prendere il bimbo. Non occorre chiamarmi se il piccolo strilla, proseguì quello, rimettendosi i guanti; probabilmente sarà noiosino; se mai, una pappina d'avena. Si mise il cappello, e nell'uscire si fermò accanto al letto: Bella ragazza, disse, di dove veniva? L'hanno portata iersera, rispose la vecchia, per ordine dell'ispettore; l'avevano trovata stesa sulla via. Veniva da lontano, perché aveva le scarpe in pezzi. Ma nessuno sa di dove venisse, o dove andasse. Il medico, chino sulla salma, le sollevò la mano sinistra: Solita storia, e scosse il capo, non ha anello. Buona notte. Uscì e se n'andò a cena; l'infermiera, dopo un altro buon sorso dalla bottiglia sedette su di una seggiolina accanto al fuoco, per vestire il piccino. Ottimo esempio di quanto può il vestito! Avvolto nella coperta che era stata fino ad allora suo unico riparo, il piccolo Oliviero Twist poteva essere figlio d'un nobilone o d'un mendico; neppure il più altero passante avrebbe potuto designarli il suo posto nel mondo. Ma ora, col vestitino di cotonina ingiallito dal lungo uso, era marcato, etichettato per quel che era - bimbo a carico della parrocchia, orfano d'asilo, servetto umile, sempre affamato, che tutti potevano picchiare, spinger di qua e di là - disprezzato da tutti, da nessuno compatito. Oliviero strillava forte. Se avesse saputo che era un orfano, affidato alle buone grazie di ispettori e fabbricieri, forse avrebbe strillato ancor più forte. Come Oliviero crebbe e fu educato e nutrito Nei successivi otto o dieci mesi, Oliviero fu vittima di sistematici tradimenti ed inganni. La miseria, la fame dell'orfanello furono debitamente riferite dalle autorità dell'asilo a quelle della parrocchia; queste dignitosamente richiesero a quelle se non v'era in casa donna in grado di dare ad Oliviero le cure ed il nutrimento che gli occorrevano; le autorità dell'asilo umilmente risposero di no. Quindi le magnanime e caritatevoli autorità parrocchiali decisero di mandarlo in campagna, cioè assegnarlo ad altro asilo dipendente, lontano forse tre miglia, dove altri venti o trenta piccoli trasgressori delle vigenti leggi si rotolavano tutto il giorno per terra, non incomodati da troppo cibo né vestito, affidati alle materne cure d'una donna anziana, che accoglieva i colpevoli per il prezzo di sette soldoni e mezzo a testa per settimana. E' somma con cui si può nutrir bene un bambino; c'è da cavarne abbastanza da caricargli lo stomaco e farlo star male. La donna anziana era saggia ed esperta; sapeva quel che giova ai bambini, e meglio ancora quel che giovava a lei. Si appropriava quindi della maggior parte della pensione settimanale, e allevava i bimbi della parrocchia ancor più scarsamente che non fosse stato per loro provveduto; sotto un abisso ne apriva uno ancor più profondo, mentre si mostrava assai esperta in filosofia. Tutti conoscono la teoria di quel noto filosofo, affermante che un cavallo può vivere senza mangiare, che la dimostrò sì bene riducendo il cavallo fino ad uno stelo di paglia al giorno, e certo ne avrebbe fatto un focoso animale senza cibo, se esso non fosse morto alla vigilia del suo primo buon pasto d'aria pura. Disgraziatamente per la filosofia sperimentale della donna, alla cui cura e protezione era affidato Oliviero, un simile risultato accompagnava di solito il suo sistema; proprio quando era riuscita a mantenere in vita un bimbo con la minima porzione d'insipido cibo, almeno otto volte su dieci, per farle dispetto, o s'ammalava di freddo e fame, o cadeva nel fuoco per trascuratezza, o rimaneva soffocato per disgrazia, sì che la misera creatura per lo più finiva con l'andarsene ai padri che in questo mondo non aveva conosciuto. Seguiva di solito un'inchiesta piuttosto interessante, se un piccolo ricoverato fosse rimasto soffocato in letto, o scottato gravemente in giorno di bucato, caso questo rarissimo, perché più che rari erano i bucati. Talvolta allora i giurati pretendevano far domande seccanti, ed i parrocchiani ribelli formulavano e firmavano una protesta; ma erano impertinenze tosto represse dalla deposizione del medico o del custode; quegli aveva aperto il corpicino senza trovarvi dentro nulla (cosa più che probabile) questi giurava sempre quello che esigevano i devoti fabbricieri. Inoltre il consiglio si recava ogni tanto all'asilo campestre (inviando il giorno prima il custode ad avvertire) ed all'arrivo trovava i bambini sempre in ordine e puliti; che cosa si poteva desiderare di più. Non è da aspettarsi che quel sistema di coltura producesse frutti eccezionali, lussureggianti, ed il nono compleanno di Oliviero lo trovò pallido e magro, piccolo di statura, deficiente di torace. Ma natura ed eredità gli avevano inferto uno spirito vigoroso, che s'era potuto fortemente affermare, grazie allo scarso regime della fattoria, ed a questo dovette forse d'aver potuto resistere nove anni. Comunque, era il suo non compleanno, e lo stava celebrando nella carbonaia, con altri due signorini che dopo esser stati con lui ben picchiati, vi erano stati rinchiusi per aver sfacciatamente preteso d'aver fame, quando la signora Mann, la brava padrona di casa, fu stupita dell'inattesa comparsa del custode dell'asilo, signor Bumble, che cercava di aprire il cancelletto del giardino. Buon Dio, siete voi, signor Bumble? esclamò dalla finestra la signora Mann, fingendo una vera estasi di gioia. Susanna, porta su subito Oliviero e quei due marmocchi, e lavali ben bene. Oh, signor Bumble, come son felice di vedervi! Ora il custode era grasso e collerico, sì che anziché rispondere al cordiale saluto d'una anima gemella, diede al cancelletto una scossa tremenda, seguita da un vero calcio di gamba al custode. Ma pensate, esclamò la donna correndo fuori i tre bimbi erano stati intanto allontanati pensate che ho dimenticato d'aver chiuso il cancello dall'interno, per via di quei cari bimbi! Entrate, signor Bumble, entrate, vi prego. Ma sebbene l'invito fosse accompagnato da una riverenza che avrebbe commosso anche un fabbriciere, non raddolcì affatto il custode. Vi sembra condotta corretta o cortese, signora Mann, chiese brandendo il suo bastone, far aspettare al cancello un delegato della parrocchia che viene per affari parrocchiali relativi agli orfani parrocchiali? Siete conscia d'esser voi pure una specie di delegata parrocchiale, e stipendiata per giunta? Scusate, signor Bumble, stavo giusto dicendo ad un paio di cari bimbi che vi vogliono tanto bene che eravate venuto, rispose umilmente la donna. Il custode, che aveva grande opinione della sua oratoria e dignità, avendole affermate entrambe, si ammansì. Bene, bene, replicò più calmo. Sarà come dite. Fatemi entrare, vengo per affari, e devo parlarvi. La donna lo fece entrare in una stanza dal pavimento di mattoni, gli diede una sedia, e premurosa gli tolse e depose su una tavola.