/<1994>/ Ma una donna nell'FBI!... Per attenuare lo scandalo, il capo dell'FBI aveva lasciato filtrare la notizia secondo la quale Leila Aluja era un travestito. Essendo il direttore irriducibilmente misogino, Leila era stata registrata in seno all'FBI con il nome maschile di Lee Aluja e a quel nome erano intestati gli assegni. Le fotografie sui documenti del fascicolo personale erano state truccate, con i capelli tagliati e un'acconciatura che la facevano assomigliare assai a un macellaio. Ma era stato necessario, visto che il direttore aveva detto e ripetuto in mille occasioni che non si sarebbe mai servito di una donna (né professionalmente né personalmente), e il direttore non sbagliava mai. Leila era al quarto mese di servizio nell'FBI, in fase di addestramento, quando tutte le Agenzie americane di pubblica sicurezza erano state "privatizzate". Il Presidente, inorridito, era stato costretto ad aumentare le tasse ai ricchi per poter garantire un minimo di servizi sociali agli elettori, operazione d'importanza vitale se voleva sperare di essere rieletto. Di conseguenza, piuttosto che tagliare le spese militari, aveva preferito privatizzare gli organismi che si occupavano della sicurezza nazionale affidandoli ad agenzie investigative qualificate e la Haselgrove Organization aveva vinto la gara d'appalto. Era nello stile americano, ma sulle prime i mass media, quasi tutti i "patagoniani" e tutte e quattro le opposizioni politiche avevano espresso forti riserve e timori motivati all'idea di un esecutivo che potesse disporre di un KGB privato. Il presidente si era rivolto direttamente alla gente, affermando che bisognava tracciare una linea di demarcazione ben netta. Cinquantasei fra le più grosse corporazioni nazionali, inclusa la mafia, pagarono 372 spot televisivi di tre minuti l'uno, per spiegare al popolo che l'America era l'America (che Dio la benedica); che era la Patria della libera iniziativa e che la Haselgrove Organization aveva investito una montagna di denaro in quella iniziativa; che la vecchia CIA e il vecchio FBI erano stati "non americani" e persino socialisti, forse addirittura comunisti, perché a loro nessuno aveva chiesto mai di produrre un profitto, mentre avevano dilapidato somme incalcolabili di pubblico denaro. Quella campagna mise a tacere ogni protesta. In aggiunta al suo favoloso quartier generale, nascosto tra le Montagne Rocciose, la Haselgrove aveva affittato l'immensa struttura della National Security Agency di Forst George Meade, nel Maryland. In quella sola base la Haselgrove impegnava 11.539 civili e 8.217 militari ventiquattr'ore su ventiquattro. E la NSA era stata riorganizzata per realizzare il sogno accarezzato dal governo di una rete di registrazioni e schedature, in un primo tempo domestica, poi internazionale che, grazie ai preziosissimi transistor, avrebbero potuto tenere sotto controllo il 54 per cento delle conversazioni che si svolgevano nel paese. La maggior parte di questo immane lavoro era completamente selettivo; si comprende quindi facilmente l'immenso lavoro che veniva a ricadere sulle spalle degli operatori di computer della Haselgrove Organization. Quelle intercettazioni dovevano servire come campioni rivelatori dell'opinione pubblica americana e, naturalmente, come prove ai processi, quando si fosse rivelato necessario proteggere la nazione dalle minacce del comunismo. E la nazione tutta sperava che nel volgere di tre anni il sistema di registrazione e schedature di massa si potesse estendere a tutta l'Europa e a tutta l'America Latina. I centri d'intercettazione trasmettevano tutti i campioni di schedature ai raccoglitori multipli della NSA, formanti una catena lunga trecento metri e larga centosettanta. I centri erano in grado di analizzare tutte le intercettazioni delle conversazioni dei capi politici stranieri, tranne quelle del Primo ministro israeliano, ma questa era una condizione soggetta a negoziati continui. Le intercettazioni venivano inserite in modelli avanzatissimi del Cray Y-MP C90, un tipo di computer studiato apposta per tradurre in linguaggio ufficiale il gergo dei politici stampandolo su fogli A4 al ritmo di ventidue metri di documenti al minuto. Le registrazioni venivano trasmesse dalla rete del computer alle schedature automatiche di cinque centri di raccolta diversi e separati (diversi e separati come lo sono il distretto centrale degli Adirondack dalle terre della Grande Curva giù nel Texas). I supercalcolatori erano in grado di smaltire un miliardo di operazioni al secondo, ossia un «gigaflop». Il marchio e portafortuna della Shannon, una specie di ofella di platino, faceva bella mostra al centro della lucida scrivania. Il capo dei quadri era un florido cantonese dall'espressione sarcastica che alternava occhiate bieche a sogghigni in un miscuglio che pareva sottintendere la sua conoscenza dell'impenetrabile. Grazie all'intenso addestramento, Josef Shqitonja riconobbe subito la perpetua espressione ostentata, senza eccezione alcuna, da tutti i produttori cinematografici che guadagnavano da 1.634.782 dollari in su, ogni anno. «Joe, sedete» gli disse l'ometto. «Eccoci qua, finalmente.» Josef si accomodò e il capo spinse verso di lui, con il piede calzato in una scarpa di coccodrillo e posato senza tante cerimonie sulla scrivania, una grossa scatola di sigari. Josef accettò un sigaro, fatto con foglie di cavolo e di oricello, ma sapientemente arrotolato secondo la tecnica evidentemente carpita da qualche agente segreto all'Avana, e lo accese. «Ragazzo, non sei certo uno scemo» disse il capo. «Sei stato il migliore di tutto il vostro corso, di tutta la scuola.» «Io sono uno Shqitonja, e gli Shqitonja ce la mettono tutta, sempre» replicò Josef, stringendosi modestamente nelle spalle. «Sì, così va bene. Parti domani. Entrerai dal Guatemala, e uscirai da qui» aggiunse il capo, ruotando la poltrona per puntare il ditino esile su Tijuana, Messico, sulla carta appesa alla parete. «Hai tempo cinque settimane per sistemarti con una delle tre più grosse agenzie, dopo di che la sola strada che ti resta da seguire è quella di fare carriera... e noi staremo qui a guardare.» «Abbiamo notizie di una agenzia qualsiasi che abbia un grande nome, ma magari uno scarso giro d'affari?» «Bella domanda, ragazzo mio. Il nome di quell'agenzia è Shannon & Pusch. Hanno una buona clientela, ma Shannon gioca a golf, manco fosse Eisenhower, e Pusch gioca alle corse come se fosse Pittsburgh Phil. Forse con nove bigliettoni, se ci sai fare, potresti anche rilevare tutta la baracca, compreso il rivestimento in legno di quercia. Ma prima devi entrare: devi impadronirti bene di tutta la trafila dei loro affari e poi, appena sarai pronto, incomincerai a infiltrare i tuoi compagni prima di togliere dai piedi Shannon e Pusch per poter tenere in piedi la baracca e sviluppare l'attività. Afferrato?» «Questo posso farlo. E poi?» «Poi sviluppa gli affari sino a farne l'agenzia di talenti più importante nel campo, e quella sarà la vostra copertura. Una copertura per trecento infiltrati organizzati con tanto di soggetti intercambiabili: tanti ometti con piccole ventiquattrore, con bizzarre acconciature, capelli flosci di feltro... gente che si possa confondere tra gli americani, ragazzo, anche perché parleranno sempre di affari e nessuno li ascolterà. Capito?» Josef annuì solennemente. «Ne lascerai una trentina dei meno svegli a mandare avanti l'agenzia e gli altri circa duecentosettanta faranno il lavoro che ci interessa.» «E niente Referentura? Nessun interno? Oppure l'interno dovrò essere io?» «Ragazzo, come puoi essere tu interno, se sarai in prima linea?» «E allora quale sarà il mio ruolo?» «Sei ambasciatore, ecco il tuo incarico, il tuo ruolo.» Josef era confuso e fissava muto il capo dei quadri con il volto in fiamme, e un groppo alla gola di fronte a quell'affermazione perentoria quanto inattesa. Quando poté riprendersi, mormorò: «Volete dire che mi viene conferito il rango di ambasciatore?». Il capo si scomodò per cercare di calmarlo e tolse i piedi da sopra la scrivania. «Cerca di rilassarti, ragazzo. Il cuore ha i suoi diritti. E non venire a dirlo a noi come si fa a svaligiare un treno.» «Dopo tutto il mio lavoro? Dopo la qualificazione alla IRI? State scherzando.» «Calmati e smettila di sudare, ragazzo» replicò il piccolo cinese. «Hai il talento giusto. Avrai il rimborso spese. Sei grande e grosso, e i più grossi finiscono sempre in prima linea.» «Chi è l'interno?» «Non fare domande a vanvera. Lo saprai quando verrà il momento» replicò il capo, sorridendo. «Tutto sarà dato a chi sa aspettare. Tu conosci come funziona, la Referentura e come funziona il Servizio Informazioni; saprai che entrambe devono rimanere sotto il controllo politico, e tu sei un diplomatico. Vai, e trascina sotto processo l'intera amministrazione municipale. Sei con noi?» Josef annuì cupamente. «Basta così, ragazzo mio» esclamò il capo, soddisfatto. «Io voglio vedere quello che vedo.» «Mark Haselgrove si è innamorato dell'altra faccia, dell'altro corpo mio. Può darsi che te ne innamori anche tu.» «Mai!» «Caro, è soltanto un modo come un altro di vedere le stesse cose.» «Ma adesso cosa dobbiamo fare?» «Io sono la sola, all'infuori della tua famiglia che è in Albania, che sappia chi sei e come sei attualmente, la sola che possa riconoscerti. Dopo che mi ero innamorata di te, ho distrutto la pagina di quell'album, con quella foto, sicché sono la sola persona al mondo, oltre a te naturalmente, che sappia chi sei e come sei. Nemmeno Pechino lo sa. E la Seguirmi ti ha già dimenticato nel tuo aspetto giovanile.» «Ma tu... Cosa facciamo con te? Loro ti conoscono. Ti conoscono così come sei, e sanno anche com'eri!» « E' facile. Ho la mia faccia originale in quella valigia nell'entrata. Adesso mescolerò i due Travestimenti Permanenti: il mento e gli occhi di Isabel Clifford Fuller, il naso e gli zigomi di Leila Aluja. Aumenterò la statura di sei centimetri, dieci chili di peso in più. Capelli tinti di rosso e parlata con accento inglese della Sheerbourne School e della Università di Exeter.» «Sei meravigliosa! Sono convinto che hai pensato a tutto... Come faremo a sfuggire a quelli della Haselgrove e dove trascorreremo il resto della nostra vita?» «Ho qualche idea...» «Ma cosa dobbiamo fare? Dove andremo? E la mia eredità? Non voglio nemmeno pensare all'idea che tu modifichi il tuo aspetto» disse lui. «Sarebbe una sconosciuta quella che prenderebbe in mano i miei sogni. Ogni volta che penso di fare qualcosa, è sempre con te, soltanto con te che sogno di farla.» «Non cambia nulla, tranne il nostro aspetto, e tu il tuo lo hai già cambiato. Joe, io ti amo. Ti amo più di quanto Elosia abbia mai amato Abelardo, più di quanto Ingrid amasse Bogie. Questa notte stessa andremo a Rio con due aerei diversi.» «Non ti avevo accennato di quei cinque milioni di dollari?» «Quali cinque milioni di dollari?» «Eredità di mia zia. Mi ha lasciato quasi cinque milioni di dollari, ma per poterli incassare devo trasformarmi in investigatore e frugare in seno alla famiglia per trovare la formula dello yogurt del mio bisnonno, perché a giudizio di tutti è lo yogurt più buono che si sia mai fatto.» «Yogurt?» «Mio padre dovrebbe conoscerla, ma questo significa che devo tornare in Albania.» «Joe, io non posso entrare in Albania. E' territorio "rosso", quello. Haselgrove non mi permetterebbe più di rimettere piede negli Stati Uniti.» «Ma proprio a questo volevo alludere! Tu mi aspetti qui. Mi ci vorrà al più qualche mese per ritrovare quella formula, tornare a New York con un altro nome e con un altro passaporto, incassare quei cinque milioni. Dopo ci risposeremo una seconda volta.» «Haselgrove ti darà la caccia dappertutto. Non c'è verso di sfuggirgli, a meno che non riusciamo a convincerlo che è meglio che si dimentichi di te.» «E come pensi di riuscirci?» «Ci ho pensato su... Tu, una volta, mi hai detto che tuo padre ha relazioni potentissime con l'Unione Sovietica.» «Sì.» «E lo stesso discorso vale anche per i suoi rapporti con Breznev?» «Sì.» «Pensi che sia abbastanza influente per poter convincere Breznev a privatizzare il KGB e la polizia militare che controlla le Forze Armate dell'Unione Sovietica? Pensi che lo potrebbe convincere ad affidarne l'organizzazione a Mark Haselgrove rispettando le regole del libro mercato?» «Io credo... sì.» «Allora siamo salvi!! Offriremo il controllo della sicurezza dell'Unione Sovietica a Mark Haselgrove. Glielo offriremo su un piatto d'argento, e lui trasformerà quella polizia in una macchina per fare quattrini! I russi potranno risparmiare le spese del bilancio attuale e magari ottenere una percentuale sugli utili dell'intera operazione. Mark Haselgrove ne sarà così entusiasta che dimenticherà persino di aver conosciuto il tuo nome.» «Ehi!... Ma è fantastico.» «Torna a casa, ora. Dì a tuo padre che incominci a darsi da fare con Mosca. Trova la formula dello yogurt di tuo bisnonno... Ragazzo, possiamo considerarci già liberi.» «Se riusciremo a metterci d'accordo con Haselgrove, tu cosa pensi di fare, dopo? Non puoi continuare a lavorare per lui.» «Io ho studiato legge. Metterò su uno studio legale. Papà ha molti amici che possono sistemarmi.» L'arresto e l'incarcerazione di oltre trecento agenti e dipendenti della Notorious Shannon fu un asso nella manica di Mark Haselgrove, anche se paralizzò quasi interamente l'industria cinematografica e degli spettacoli in genere. Dopo la retata, erano rimasti sul mercato soltanto tre agenti, tre personaggi capaci di scoprire talenti, di organizzare la produzione, stipulare contratti, ottenere i tavoli giusti nei ristoranti e leggere i copioni, che fossero capaci di aiutare un attore a leggere e capire la lettera che gli aveva scritto la mamma, oppure a scrivergliene una... Insomma, soltanto tre persone che sapessero come si fa per produrre un film. Il che spiega perché e come fossero apparsi, proprio in quel periodo, film come Ishtar, Hudson Hawk e Howard the Duck e ci sarebbero voluti parecchi anni prima che si potessero colmare i vuoti. Al vecchio padre di Joe Reynard gli ci erano voluti appena quattro giorni per convincere Breznev a privatizzare il KGB e la Polizia Militare Sovietica. Dopo aver parlato con Joe, che era ancora a Tirana, Leila impiegò ben nove giorni, attraverso i canali normali, per ottenere un abboccamento con Mark Haselgrove. Alla fine si incontrarono nella rimessa per barche del Glenmore Hotel che era andato distrutto in un incendio alcuni anni prima, lassù sul lago Big Moose, nello Stato di New York. Per l'occasione Haselgrove si era travestito da vecchio boscaiolo: barbaccia grigia e incolta, scarponi con suola di gomma e, addosso, puzzo di pesce d'acqua dolce. Leila gli fece la proposta procedendo con molta cautela. Gli disse semplicemente che lei amava suo marito e che il padre di Joe aveva certe conoscenze al Cremlino grazie alle quali suo marito era riuscito a ottenere certi accordi, di cui lui avrebbe potuto profittare, bastava che, appena pronto, accettasse di far tornare Joe dall'Albania negli Stati Uniti. Seguì una scenata tempestosa. Haselgrove la implorò, poi minacciò fuoco e fiamme se lei lo avesse piantato in asso per un "topo da fogna d'un comunista". Per lui, la fuga di Joe non solo era un tradimento da parte della donna amata, ma una palese perdita di prestigio, il che, forse, gli bruciava ancora di più. Minacciò di spedirla in esilio nell'avamposto più sperduto del mondo di cui disponeva l'Organizzazione, laggiù nella Terra del Fuoco, a dar la caccia ai ladri di bestiame per aiutare la Polizia Territoriale Argentina, di cui aveva assunto l'amministrazione. Leila lo lasciò sfogare ben bene, poi sferrò il colpo e gli fece la sua proposta: «Markie, ascolti» gli disse «il padre di mio marito ha relazioni molto solide a Mosca. Servendosi delle sue conoscenze, è riuscito a procurarle il controllo delle operazioni, della organizzazione del KGB e della Polizia Militare Sovietica. Cosa gliene sembra?». «Cosa?!» «Ha capito benissimo.» «Il KGB?! Ma è tremendo! Non sarà una qualche specie di scherzo?» Leila guardò l'orologio. «Fra dodici minuti da questo momento, in quell'emporio lì, proprio davanti a noi, giungerà una telefonata di Leonid Breznev, che la inviterà a Mosca per discutere l'accordo.» «Dodici minuti da adesso?!... Breznev?!... Gesù! Ma è straordinario!... Muoviamoci!» Haselgrove partì per Mosca dall'aeroporto di Utica alle 5.27 del mattino successivo a bordo del prototipo suo personale dello Stealth, il bombardiere invisibile, immatricolato con la sigla Police Force One. Prima di partire, comunque, aveva accettato di buon grado, di fronte a quattro testimoni estranei all'organizzazione e del tutto indipendenti, di mettere per iscritto l'amnistia più totale e incondizionata per Josef Shqitonja-Reynard e, quale gesto di cortesia verso Leila che gli aveva manifestato l'intenzione di aprire uno studio legale, aveva ordinato alla sua macchina pubblicitaria di mettere in grande risalto la sua opera, che l'aveva portata a rischio della vita, per assicurare alla giustizia una pericolosissima, numerosissima cellula sovversiva comunista. Agli occhi del popolino, influenzato dai mezzi d'informazione di massa, Leila diventò un'eroina, la donna che aveva salvato il popolo americano dal pericolo di essere fagocitato e oppresso, reso schiavo dagli albanesi. La gratitudine degli americani si espresse non soltanto con le lodi e con la notorietà, ma in denaro sonante. Alla serata di gala partecipava la crème dell'alta società washingtoniana che deteneva il potere. Bellezze di entrambi i sessi erano state convogliate lì da Hollywood noleggiando gli aerei necessari, i grandi sarti erano stati reclutati a camionate da New York, gli artefici della grande politica americana vi erano convenuti a schiere per essere parte di una causa che stava così a cuore al Presidente. Tutti quelli che contavano davvero erano lì, bardati e vestiti in pompa magna e giostravano, al meglio delle capacità di ciascuno, per apparire sul lato sinistro delle fotografie che un reggimento di fotografi scattava senza tregua. Un gran numero di grandi chef, da tutte le regioni, aveva contribuito alla realizzazione di un buffet formato da autentici piatti curdi: ravioli farciti di fegato d'oca e carne d'anatra saltati in una salsa di salvia e burro fuso, bresaola tagliata sottile come un foglio di carta insaporita con una spolveratina di funghi shiitake e verdure. Le pietanze venivano servite su piatti d'ottone brunito e lucidato, in quella sala che trasudava potere ed eleganza. Le sale dei ricevimenti di Stato erano più eleganti e sfarzose, a dir poco, delle sale di Versailles, o di quelle della Cecil B. DeMille. Leila indossava un abito da sera di velluto nero, la riproduzione di un modello stile 1930 di Madame Vionnet, con un bordo di ermellino largo trenta centimetri, diritto come una colonna dorica. I capelli le ricadevano sulle spalle incorniciando il viso. Arrivò alle 23.45 e si ritrovò ferma a un'estremità della grande sala affollata, gli occhi fissi sul suo terzo ex marito che entrava dall'ingresso opposto. Quell'apparizione le strappò un sogghigno involontario, ma poi si voltò e si mise in fila per andare a servirsi a una tavola apparecchiata. Dopo nemmeno un secondo fu avvicinata dal dottor Jim Nolan. Leila lo guardò con un'espressione interrogativa quando lui la salutò chiamandola per nome, e Nolan si presentò una seconda volta: «Sono quel tale che le è stato raccomandato dal Vicepresidente Hazman, pregandola di presentarmi a qualcuno della NGA e della Barkers Hill Enterprises. Ricorda?». «Oh sì!...» «Sono Jim Nolan.» «Certo! Certo! Il dottor Nolan...» Nolan era più alto di lei, il che non nuoceva, pensò. Carswell era più basso di lei, e in sua compagnia Leila si era sentita sempre a disagio, tranne che a letto. Il dottor Nolan aveva una bella carnagione, bei capelli e bei denti; e se soltanto fosse riuscita ad abituarsi a quell'abbigliamento che suggeriva chissà quali e quante ricerche per risparmiare dieci dollari, anziché farselo confezionare da uno di quegli odiosi grandi sarti inglesi che si facevano pubblicità due volte all'anno su «Barneyis», sarebbe riuscita ad ammettere che anche così era elegante e che la figura slanciata, mascolina, spiccava egregiamente. Nolan era alto, ma non dinoccolato, e quei capelli biondo cenere le piacevano: cosa sorprendente, si disse, perché di solito detestava i capelli biondi... Vero che quello non era proprio biondo, ma biondiccio, e in più possedeva un corpo degno di un atleta... La conseguente definizione di «atleta sessuale» le balenò improvvisa nella mente, ma no, in verità lei non ne voleva sapere. Eppure, pensava, era da un pezzo che non si portava a letto un uomo, o che un maschio non se la portava a letto. Joe era diventato nient'altro che un ricordo vago di un tempo felice scomparso per sempre, a meno che lui non riuscisse davvero a reperire quell'intruglio per lo yogurt per poter incassare l'eredità di sua zia. Non le era stato difficile astenersi tanto a lungo perché ogni volta che le veniva fatto di pensare al sesso, il ricordo di Ellsworth Carswell bastava a disgustarla. E tuttavia, se ponderava l'idea astratta di un intercorso con quell'uomo così piacente, non provava il benché minimo senso di repulsione, i conati di vomito non venivano a darle fastidio. Anzi, accadeva esattamente il contrario. «Le piace la torta di noci?» domandò così, senza riflettere. «Sì, mi piace molto... Vuole che gliene procuri?» «No! No! Chiedevo giusto... così!» Ci sarebbe stata tutta la gloriosa, vecchia gang. Avrebbero sfoggiato le loro armi da fuoco e le munizioni, i cannocchiali da cecchini e tutto l'armamentario esposto in 161 stand, dalla polvere senza fumo alle imbottiture antirinculo, dai puntatori laser a quelli a grandangolo. I soci avrebbero potuto ammirare e provare le munizioni CCI, le pallottole a testa di freccia e le munizioni per armi di calibro minimo, le pallottole Brenneke e tutti i possibili congegni di ricaricamento automatico. Sarebbe stato come ai bei vecchi tempi con i vecchi compagni di allora: un carnevale di pistole a tamburo ottagonale, di affilalame marca Lansky, di fondine e cinturoni, una mostra di vecchie armi, caricatori di velocità e, soprattutto, ci sarebbero state pile e pile della famosa rivista «Il Soldato Mercenario». E ci sarebbero state ore di seminari sulle armi da fuoco: quarantadue gruppi di discussione in cinque giorni. Carswell avrebbe sentito la mancanza del Gun Collectors' Committee Meeting, della sessione sulle armi portatili da caccia e delle armi da duello e del seminario di tre ore sulle tecniche di caricamento, un hobby così gratificante. Con rammarico si disse che avrebbe dovuto rinunciare anche alla riunione del Fondo per il Museo delle Armi Nazionali, che quell'anno avrebbe dovuto discutere sulle armi che avrebbero usato Andy Warhol e Pablo Picasso se fossero stati costretti a sostenere i loro diritti di sparare in base al dettato del Secondo Emendamento. Carswell sospirò al pensiero che avrebbe dovuto rinunciare al dibattito intitolato Le celebrità del mondo intero difendono la costituzione, durante il quale avrebbero preso la parola celebrità del mondo della grande soap opera, seguito da un discorso di un'ora o due, ricco di saggi e dignitosi consigli sul diritto di tenere e portare armi, tenuto da Charlton Heston. Le armi da fuoco erano una compagnia di gran lunga preferibile a quella delle donne (fatta eccezione per Leila), così pensava Carswell. Un uomo se ne poteva andare per conto suo in una qualche foresta selvaggia, assieme a qualche amico fidato portandosi appresso quaranta o cinquanta scatole di munizioni, oppure mettersi a caccia di obiettivi di primaria importanza nelle città, così come Dio e la Costituzione prevedono che l'uomo si svaghi. Lui, però, aveva tutt'altro lavoro da sbrigare. Stipò ben bene di cocaina un grosso barattolo di polvere dentifricia. Sulla base dell'esperienza personale e seguendo i buoni consigli di certi soci della NGA, che in materia la sapevano lunga, Carswell aveva ristretto la produzione di foglia di coca, che era la sua attività preferita, alla regione degli altipiani intorno a Cochabamba, in Bolivia. Lassù, a 2.500 metri di altitudine, si riscontravano le condizioni ideali per la coltivazione delle foglie migliori, stando alle affermazioni dei tecnici del cartello di Medellìn, sostenitori solidi e fidati della NGA. Carswell andò all'armeria, che copriva un buon terzo di una parete lunga quasi dieci metri del suo studio molto spazioso, nella quale conservava un vasto assortimento di fucili sportivi e da caccia, mitra e un superbo assortimento di pistole. Se tutto fosse andato come sperava, avrebbe potuto sparare stando al coperto dietro un boschetto che circondava l'arena; si sarebbe trattato soltanto di sgattaiolare via dal tavolo della presidenza mentre il senatore teneva il suo discorso così interessante. Perché il senatore aveva fiato da sprecare e polmoni capaci e poteva continuare per ore senza riprendere fiato, e lui avrebbe avuto tempo in abbondanza per nascondersi e sparare con comodo. Subito dopo, avrebbe potuto facilmente riunirsi alla folla confusa e vociante, ma prima avrebbe messo in funzione il suo messaggio preregistrato che doveva immettersi negli altoparlanti dell'anfiteatro. Carswell decise di servirsi del fucile automatico PSG1 della Heckler & Koch, una fabbrica della Germania Occidentale veramente affidabile. L'arma aveva un calibro di 7,62 millimetri e un peso davvero eccezionale di otto chili con un serbatoio per 20 caricatori. La velocità alla bocca, pari a 860 metri al secondo, sarebbe stata sufficiente per staccare la testa al senatore. In ogni caso, se per un motivo qualunque non fosse stato possibile sparargli all'aperto, Carswell sarebbe stato costretto a sparargli nell'appartamento che aveva preso in un albergo. Come in sogno, Leila ascoltava, nel suo ufficio, una voce dal timbro impersonale che le parlava al telefono e le diceva che Ellsworth Carswell, arrestato, era trattenuto sotto l'accusa di omicidio plurimo e chiedeva di notificarle che l'aveva scelta come proprio difensore e la pregava di recarsi immediatamente nel carcere cittadino. «Io non capisco» rispose Leila. «Lei non è Leila Aluja, avvocato nello studio legale Schwartz, Blacker & Moltonero?» «Sì.» «Sono il sergente John Lahr, del carcere cittadino.» «Sì?» «Stiamo trattenendo il signor Carswell, che è un suo cliente, prima di trasferirlo al Lorton Reformatory sulla Interstatale Novantacinque.» «E su quali accuse?» «Tentato omicidio plurimo.» «Omicidio plurimo! Chi? Ellsworth Carswell! E' impossibile. Fatemi parlare con il mio cliente.» Seguì una pausa prolungata mentre i poliziotti liberavano la destra del prigioniero, incatenata alla caviglia, perché potesse prendere il ricevitore del telefono. «Salve, tesoro» disse Ellsworth, tentando di apparire tranquillo, tradendo nella voce la più nera disperazione. «Ellsworth, che storia è questa?» «Be'...» «La voce mi sembra soffocata. Ti senti bene?» «Be'...» «Stai forse... Non importa. Cosa sono queste sciocchezze dell'omicidio plurimo?» «Be', forse sarebbe meglio se tu venissi qui.» Leila riappese e rimase a fissare il telefono come se l'apparecchio l'avesse tradita. Brontolò qualcosa all'interfonico e, attraversato l'ufficio, indossò cappotto e cappello, prese la sua cartella e uscì. Ellsworth Carswell era stato arrestato nell'edificio del Campidoglio nel momento in cui stava entrando, sicuro e spavaldo, nell'ala dove il Comitato Giudiziario del Senato era in procinto di dichiarare aperta la quarta giornata delle discussioni sulla proposta di legge antiporto d'armi contenente emendamenti proposti dalla National Gun Carriersi Association. Quel Comitato era forse il più solenne, il più equilibrato e il più imparziale per quel che potevano permetterlo la gratitudine per le generose contribuzioni e le tresche dei comitati per l'azione politica infiltrati in tutto il sistema, ed era uno dei più suscettibili fra tutti gli organismi d'indagine di tutti i sistemi politici del mondo intero quando si riuniva per fare giustizia (secondo i princìpi e gli interessi dei suoi sostenitori). Carswell era stato citato per testimoniare nella sua qualità di teste oculare. Era arrivato in Campidoglio sulla limousine della NGA e aveva fatto il suo ingresso stranamente gonfiato e appesantito. L'aveva fermato sulla soglia dell'aula delle udienze una guardia insospettita da quella corpulenza che vistosamente dipendeva dalla giacca. Senza nemmeno chiedergli i documenti d'identità e a dispetto delle sue proteste fragorose, l'avevano condotto in una saletta e l'avevano perquisito: gli avevano trovato addosso tre Desert Eagle israeliane calibro 357, mitragliette lunghe ventisei centimetri, pesanti 1,6 chilogrammi (da scariche, che non erano, perché ogni arma era caricata con nove caricatori per il tiro automatico) e, come se non bastasse, nelle tasche dei pantaloni e della giacca aveva nascoste tre bombe a mano. Dopo che i tre agenti del servizio di sicurezza erano riusciti a calmarsi dall'isteria che la vista di quelle armi aveva scatenato in loro, più che giustificate se si considerava il calibro dei personaggi che correvano pericolo (l'incidente era scoppiato quasi subito dopo che il Comitato aveva risolto un contenzioso piuttosto aspro, con tutta la solennità che è propria di quei consessi quando si riuniscono per fare giustizia), e dopo aver pestato ben bene Carswell per strappargli ogni possibile informazione concernente le sue intenzioni, uno di essi era riuscito a strappargli il portafogli, nascosto nella tasca posteriore destra dei pantaloni e, data appena un'occhiata ai documenti che conteneva, si era dato freneticamente da fare per sottrarre il malcapitato alle grinfie dei suoi colleghi: «Oh Gesù! No! No! Aspettate!» si era messo a urlare. Gli altri avevano smesso di pestare Carswell, ma avevano continuato a stringerlo ben forte per non lasciarselo scappare. « E' Ellsworth Carswell, il presidente della National Gun Carriersi. Persona insospettabile.» «E con questo?» «Con questo, dev'essere con ogni probabilità nella lista dei testimoni. Quelle armi le avrà portate per mostrarle al comitato.» «Tre mitragliette come quelle? E le bombe a mano?» «Eddie, ma è il capo della NGA! Tutto il Parlamento e la Casa Bianca e il Senato ci salteranno addosso per quello che abbiamo fatto. Come minimo, ci trasferiranno a Guam.» «Merda!» Era stato una specie di miracolo che si fossero incontrati visto che, almeno in apparenza, i loro mondi erano così lontani. Il loro incontro avrebbe potuto verificarsi forse in uno dei film musicali con Fred Astaire e Ginger Rogers prodotti da Pandro S. Bernan e diretti da Hermes Pan secondo un intreccio che vedeva Miss Rogers nei panni di una bella ereditiera milionaria che segretamente nel suo cuore, o nei suoi cuori, desiderava più di ogni altra cosa al mondo fare la professoressa in una scuola quando, grazie a una serie di circostanze fortuite e incredibilmente felici incontrava un collega professore che, come ballerino, era davvero un portento. Il Pentagono si era accordato con la Columbia University per un regalo che doveva essere una sorpresa per Leila: una laurea honoris causa di Dottore in Pedagogia, da conferirle nel giorno del suo compleanno, in giugno, al termine dell'anno scolastico. Leila l'aveva fatto sapere a quanti avevano orecchie per ascoltarla che lei desiderava, sopra ogni altra cosa al mondo, dare una mano per forgiare i giovani americani e il loro futuro senza tener conto del sacrificio che le sarebbe costato. Un giorno, finito il suo lavoro e depositata la Medaglia Presidenziale per la Libertà in una cassetta di sicurezza assieme, diciamo, con altri dieci milioni di dollari, avrebbe finito per trovare impiego in una piccola scuola in qualche angolino di quell'immenso paese che è il nostro per alitare un nuovo significato nei libri di lettura di McGuffy scritti per i bimbi ansiosi di imparare. Leila doveva ricevere la sua laurea ad honorem in pedagogia quel giorno stesso in cui l'uomo che non aveva ancora incontrato, ma che avrebbe sposato com'era scritto nel destino, doveva essere premiato con la Daithi Hanly Medal for Gaelgoiri istituita dalla Kilmoganny Foundation. Leila si era spalmata abbondantemente con profumo di tuberosa, il cui olezzo, senza che lei lo sapesse, respingeva gli uomini mentre lei, che trovava piacevoli i suoi fumi, pensava che li attraesse. Si era trattato di uno degli scherzi più simpatici di madre natura, perché il dottor Neil, compagno di banco di Leila, detestava quel profumo ancor più di tanti uomini. Con tanto di tocco e di toga il professore e l'aspirante docente se ne stavano seduti, gomito a gomito, ben in alto, all'estremità della settima fila della tribuna che era stata eretta in modo che fosse possibile identificare facilmente gli onorandi in quella specie di anfiteatro all'aperto, eretto nel campus, contornato da panorami artificiali. Leila e Neil si erano trovati di fronte tutta la schiera dei laureandi scortati dalle famiglie, loro due separati, e nessuno aveva pensato di presentarli. Gli assistenti di Leila le avevano detto che l'uomo che si sarebbe trovata accanto era di assai piacevole e istruttiva conversazione. Come se il destino avesse pensato di metterci le mani, era accaduto qualcosa che nessuno avrebbe potuto prevedere, prima ancora che i due avessero avuto modo di presentarsi da soli: il professor Neil era caduto giù dalla tribuna. Era semplicemente scomparso lasciando accanto a Leila un vuoto ancora più vasto di prima solo perché, nauseato da quel profumo, aveva continuato a spostarsi per allontanarsene più che poteva, sino al momento in cui gli era venuta a meno la panca ed era precipitato. Leila aveva appena deciso che sarebbe stato un gesto simpatico, o almeno tale da attenuare la tensione, far mostra di essersi accorta della presenza di Neil accanto a sé, e di fare la stessa cosa con quello che le sedeva dall'altro lato, il geologo John Jackson, il quale l'aveva cordialmente salutata. Si era voltata per rimediare, e solo allora si era accorta che il dottor Neil era scomparso, e lei non riusciva a capacitarsi come, perché, sedendo in fondo alla fila, avrebbe dovuto passarle davanti per andarsene. Era stata una caduta piuttosto brutta, da un'altezza che superava i quattro metri. La cerimonia era già iniziata, Leila si era ormai convinta di aver sentito gemere debolmente da un qualche punto proprio sotto di lei. Mentre faceva del suo meglio per conservare un'espressione di deferente attenzione al rito che si svolgeva sotto i suoi occhi, era scivolata pian piano all'estremità della fila e, sbirciando sotto, aveva scorto il povero dottor Neil ancora semisvenuto, che si sforzava per rimettersi seduto, ma a ogni tentativo ricadeva pietosamente riverso. Il volto di Mungo si stinse lentamente di ogni colore. Prima aveva l'abbronzatura del sole e del vento del deserto: poi si fece grigio, infine verde dalla bile e mentre Van Slyke lo fissava chiedendosi cos'avesse, divenne bianco come un muro dipinto a calce. Mungo fece per parlare, e non ci riuscì. Afferrato il bicchiere colmo d'acqua che aveva davanti, lo tracannò d'un fiato e finalmente ritrovò la voce, roca, flebile, ma capace di reggere per quel che doveva dire: «Un dentista sportivo? Con ambulatorio nella Cinquantasettesima strada?» domandò cupamente. «Beh, sì... Mi fa piacere che lei lo conosca.» Leila posò una mano sul braccio di Mungo, nel tentativo di frenarlo, ma fu un gesto inutile. «Depravato figlio di una puttana» Mungo gli urlò, dritto in faccia. «Adesso ti rompo tutte le ossa che ti rimangono!» La mascella inferiore del dentista s'afflosciò come se volesse cadere a terra. Lui guardò Leila spaventato e domandò, balbettando: «Ma è lo stesso che...». Allungata la sinistra, Mungo lo afferrò per il bavero della giacca e lo sollevò per colpirlo più forte di destro quando Leila, chinataglisi all'orecchio, gli sussurrò in fretta: «Mungo, pensa ai giornali, ai titoli di domani: UN GENERALE DELL'ESERCITO PRENDE A PUGNI UN INVALIDO IN UN RISTORANTE SVEDESE-HAWAIANO. Pensa al tuo stato di servizio. La situazione è insostenibile». Nell'attimo in cui si era reso conto dell'identità dell'uomo che aveva di fronte, in Mungo non era esplosa soltanto la collera più cieca. Ogni pensiero tenero per Pujan Kobdo era scomparso di colpo quando si era trovato sotto gli occhi quel porco depravato di un dentista. Non che avesse dimenticato la sua fidanzata mongola, ma adesso era lì, in quella giungla chiamata New York, nella città dove quel depravato pervertito aveva sedotto la donna che lui amava, dopo averla resa incapace di opporsi chissà con che razza di sporco anestetico di quelli che usano i mediconzoli come lui. La sua donna, aveva sedotto quel miserabile schifoso... su una grottesca poltrona da dentista! E lui, come aveva potuto essere così cieco, tutti quei mesi, da non capire come lavorano quei degenerati? Gas arcani, iniezioni sedative... La donna è impotente e allora sporchi individui come quello lì ne approfittano per farne ciò che vogliono. Violenza carnale professionale!... E cosa diavolo importava a lui di un dannatissimo stato di servizio militare? Non era nel maledettissimo esercito, lui! Di quel seduttore da strapazzo se ne sarebbe servito per spazzare il pavimento e non gliene importava un accidente di quel che avrebbero detto i giornali il giorno dopo. «Mungo!» esclamò Leila, che, rapida come il fulmine, aveva intuito cosa doveva passargli per la testa. «Lascia che guarisca, che si rabberci un osso dopo l'altro, poi vi rivedrete a quattr'occhi» gracchiò, calcando disperatamente su ogni sillaba. Mungo lasciò gli abiti che stringeva saldamente e con una spinta fece ripiombare Van Slyke sulla sua sedia. «E va bene. Per te, sporco cascamorto» ringhiò. «Esci da qui. Rimettiti in forze. Ti farò tener d'occhio, vedrai. Quando avrai ripreso ogni oncia della forza che avevi verrò a prenderti e ti romperò ancora ogni osso che ti eri già rotto per volontà del buon Dio il giorno che hai sedotto mia moglie che era inconsapevole, poi ti lascerò nel bel mezzo dei Monti Catskill così te ne ritorni a casa a piedi. Fuori!» Spingendo innanzi a sé il cavalletto con mani che tremavano visibilmente, Mario Van Slyke uscì trotterellando come meglio poteva dal ristorante. Mungo si rivolse a Leila. Le decorazioni risaltavano sul petto gonfiato, le stelle sulle spalline pareva sfolgorassero addirittura: «Mio Dio, Leila, cosa ti ho mai fatto soffrire in tutti questi mesi. Ti ho accusata e condannata in un batter d'occhio senza rendermi conto, e soltanto adesso, dopo aver guardato ben bene in faccia quel sadico violentatore di donne, ho capito quello che avrei dovuto capire sin dal primo istante... Che lui ti aveva drogata, quel pomeriggio terribile.» «Caro, tutto è bene quel che finisce bene» mormorò lei, con voce incerta. Tuttavia aveva, se non altro, quel minimo di onestà che gli permetteva di essere grato alla vittima designata, che, seppure involontariamente, gli aveva procurato quella magnifica crociera con quei cibi deliziosi e quei vini pregiati. Generalmente, i suoi "lavori" lo portavano in questa o in quella città, tutte quante una più sordida dell'altra. Udì una porta aprirsi in un corridoio. Una donna, che aveva la medesima statura di Leila e la stessa corporatura, la stessa acconciatura di capelli che Leila aveva sfoggiato quella sera, uscì sul ponte dallo stesso corridoio che portava anche all'appartamento occupato da Leila. Emerse nella luce tenue a una dozzina di passi da lui e s'avviò, senza alcuna fretta, verso prora. Harrison sorrideva deliziato, mentre si chinava per sfilare il colletto che teneva nella guaina infilata nella calza e, rialzatosi, lo lanciò con un lungo roteare del braccio sopra la spalla. La lama colpì la donna fra le scapole rovesciandola bocconi sul tavolato del ponte, dove rimase immobile, senza un gemito, muta per sempre. Freddie s'avviò senza fretta nella direzione opposta per entrare nel corridoio dalla prima porta che gli si presentò. Sì, quella volta il premio extra se l'era proprio guadagnato. L'omicidio provocò una crisi piuttosto seria nel comando del transatlantico. Il cadavere, in seguito identificato come appartenente alla signora Katherine Norman, fu scoperto dai marinai usciti di buon'ora per frettazzare il ponte. Il commodoro, il comandante in seconda e il commissario, si erano riuniti e stavano discutendo senza frutto sul modo di affrontare quel crimine che veniva a macchiare il viaggio inaugurale del transatlantico più lussuoso e costoso che fosse mai stato varato. Da quella riunione non scaturì nessuna decisione, se si eccettua il rifiuto di comunicare, per radio, l'accaduto agli armatori, nel timore che il messaggio venisse intercettato. Poi, siccome il viaggio inaugurale era caduto ormai sotto la maledizione degli dei, il giorno seguente, poco dopo l'alba, sul ponte degli sport il passeggero signor Madox Winkleman fu trovato morto, fulminato da un cecchino che, appostato in alto, aveva sparato con un fucile di precisione mentre la vittima si avvicinava, voltandogli le spalle, alla sedia a sdraio che, a quell'ora, era di solito occupata dalla arcinota magnate dell'industria alimentare signorina Leila Aluja. I camerieri che servivano sul quel ponte avevano catturato l'assassino del signor Winkleman, che in seguito era stato identificato per il passeggero Danzig Cortjgurdiew il quale, ignorando di aver colpito a morte Winkleman, esultava nella convinzione di aver colpito Miss Aluja: «Per più di quindici anni» aveva spiegato con voce arrochita agli ufficiali che lo interrogavano «ho sognato di distruggere la personificazione dell'anti-arte che ha macchiato, insozzato irrimediabilmente la recitazione al di là di ogni possibile concetto, di ogni comprensione umana. Finalmente quella donna è morta. La giustizia divina ha guidato la mia mano nel momento in cui premevo il grilletto». Il cappellano di bordo spiegò a Miss Aluja che il signor Winkleman era stato colpito dal fulmine mentre faceva quattro passi sul ponte prima di pranzo, per mettersi appetito. Il comandante e gli ufficiali avevano a malapena preso la decisione di nascondere i due cadaveri, mettendoli al sicuro da ogni curiosità nei frigoriferi di bordo, quando vennero informati, di punto in bianco, che il dottor Anson Padgett era stato assassinato con il veleno, che poteva essergli stato somministrato soltanto mentre faceva colazione nell'appartamento presidenziale occupato proprio dalla signorina Leila Aluja. Un cameriere piuttosto affaccendato aveva lasciato il vassoio con la colazione su una mensola nel corridoio ed era entrato per apparecchiare. Qualcuno, che evidentemente nutriva intenzioni criminose nei confronti della medesima signorina Aluja o verso il dottor Padgett, aveva versato cianuro sulla salsa e sulle salsicce e sulla pancetta. E lo sfortunato dottor Padgett aveva mangiato una salsiccia intera. Una delegazione formata dal commodoro, dai due capitani, dal commissario e dal medico di bordo, recatasi a far visita alla signorina Aluja, spiegò che il povero dottor Padgett era morto a causa di un infarto fulminante. Il cadavere, portato via in fretta e furia, fu infilato in un terzo frigorifero