/<1983>/ Il carabiniere, senza punto smuoversi, lo acciuffò pulitamente per il naso (era un nasone spropositato, che pareva fatto apposta per essere acchiappato dai carabinieri), e lo riconsegnò nelle proprie mani di Geppetto; il quale, a titolo di correzione, voleva dargli subito una buona tiratina d'orecchie. Ma figuratevi come rimase quando, nel cercargli gli orecchi, non gli riuscì di poterli trovare: e sapete perché? Perché, nella furia di scolpirlo, si era dimenticato di farglieli. Allora lo prese per la collottola, e, mentre lo riconduceva indietro, gli disse tentennando minacciosamente il capo: - Andiamo a casa. Quando saremo a casa, non dubitare che faremo i nostri conti! Pinocchio, a questa antifona, si buttò per terra, e non volle più camminare. Intanto i curiosi e i bighelloni principiavano a fermarsi lì dintorno e a far capannello. Chi ne diceva una, chi un'altra. - Povero burattino! - dicevano alcuni, - ha ragione a non voler tornare a casa! Chi lo sa come lo picchierebbe quell'omaccio di Geppetto!... E gli altri soggiungevano malignamente: - Quel Geppetto pare un galantuomo! ma è un vero tiranno coi ragazzi! Se gli lasciano quel povero burattino fra le mani, è capacissimo di farlo a pezzi!... Insomma, tanto dissero e tanto fecero, che il carabiniere rimise in libertà Pinocchio e condusse in prigione quel pover'uomo di Geppetto. Il quale, non avendo parole lì per lì per difendersi, piangeva come un vitellino, e nell'avviarsi verso il carcere, balbettava singhiozzando: - Sciagurato figliolo! E pensare che ho penato tanto a farlo un burattino per bene! Ma mi sta il dovere! Dovevo pensarci prima!... Quello che accadde dopo, è una storia da non potersi credere, e ve la racconterò in quest'altri capitoli. La storia di Pinocchio col Grillo-parlante, dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noia di sentirsi correggere da chi ne sa più di loro. Vi dirò dunque, ragazzi, che mentre il povero Geppetto era condotto senza sua colpa in prigione, quel monello di Pinocchio, rimasto libero dalle grinfie del carabiniere, se la dava a gambe giù attraverso ai campi, per far più presto a tornarsene a casa; e nella gran furia del correre saltava greppi altissimi, siepi di pruni e fossi pieni d'acqua, tale e quale come avrebbe potuto fare un capretto o un leprottino inseguito dai cacciatori. Giunto dinanzi a casa, trovò l'uscio di strada socchiuso. Lo spinse, entrò dentro, e appena ebbe messo tanto di paletto, si gettò a sedere per terra, lasciando andare un gran sospirone di contentezza. Ma quella contentezza durò poco, perché sentì nella stanza qualcuno che fece: - Crì - crì - crì! - Chi è che mi chiama? - disse Pinocchio tutto impaurito. - Sono io! Pinocchio si voltò e vide un grosso Grillo che saliva lentamente su su per il muro. - Dimmi, Grillo: e tu chi sei? - Io sono il Grillo-parlante, ed abito in questa stanza da più di cent'anni. - Oggi però questa stanza è mia, - disse il burattino, - e se vuoi farmi un vero piacere, vattene subito, senza nemmeno voltarti indietro. - Io non me ne andrò di qui, - rispose il Grillo, - se prima non ti avrò detto una gran verità. - Dimmela e spicciati. E senza indugiare un minuto riprese a correre per il bosco a carriera distesa. E gli assassini sempre dietro. E dopo una corsa disperata di quasi due ore, finalmente tutto trafelato arrivò alla porta di quella casina e bussò. Nessuno rispose. Tornò a bussare con maggior violenza, perché sentiva avvicinarsi il rumore dei passi e il respiro grosso e affannoso dei suoi persecutori. Lo stesso silenzio. Avvedutosi che il bussare non giovava a nulla, cominciò per disperazione a dare calci e zuccate nella porta. Allora si affacciò alla finestra una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un'immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muovere punto le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall'altro mondo: - In questa casa non c'è nessuno. Sono tutti morti. - Aprimi almeno tu! - gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi. - Sono morta anch'io. - Morta? e allora che cosa fai costì alla finestra? - Aspetto la bara che venga a portarmi via. Appena detto così, la bambina disparve, e la finestra si richiuse senza far rumore. - O bella bambina dai capelli turchini, - gridava Pinocchio, - aprimi per carità! Abbi compassione di un povero ragazzo inseguito dagli assass... Ma non poté finir la parola, perché sentì afferrarsi per il collo, e le solite due vociaccie che gli brontolarono minacciosamente: - Ora non ci scappi più! Il burattino, vedendosi balenare la morte dinanzi agli occhi, fu preso da un tremito così forte, che nel tremare, gli sonavano le giunture delle sue gambe di legno e i quattro zecchini che teneva nascosti sotto la lingua. - Dunque? - gli domandarono gli assassini, - vuoi aprirla la bocca, sì o no? Ah! non rispondi?... Lascia fare: ché questa volta te la faremo aprir noi!... E cavato fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi, "zaff..." gli affibbiarono due colpi nel mezzo alle reni. Ma il burattino per sua fortuna era fatto d'un legno durissimo, motivo per cui le lame, spezzandosi, andarono in mille schegge e gli assassini rimasero col manico dei coltelli in mano, a guardarsi in faccia. - Ho capito, - disse allora uno di loro, - bisogna impiccarlo! Impicchiamolo! - Impicchiamolo, - ripetè l'altro. Detto fatto, gli legarono le mani dietro le spalle e passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande. Poi si posero là, seduti sull'erba, aspettando che il burattino facesse l'ultimo sgambetto: ma il burattino, dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti, la bocca chiusa e sgambettava più che mai. Annoiati finalmente di aspettare, si voltarono a Pinocchio e gli dissero sghignazzando: - Addio a domani. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la garbatezza di farti trovare bell'e morto e con la bocca spalancata. E se ne andarono. Intanto s'era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e mugghiando con rabbia, sbatacchiava in qua e in là il povero impiccato, facendolo dondolare violentemente come il battaglio di una campana che suona a festa. E quel dondolio gli cagionava acutissimi spasimi, e il nodo scorsoio, stringendosi sempre più alla gola, gli toglieva il respiro. - A mezzanotte passerà di qui il carro che ci deve prendere e condurre fin dentro ai confini di quel fortunatissimo paese. - Che cosa pagherei che ora fosse mezzanotte!... - Perché? - Per vedervi partire tutti insieme. - Rimani qui un altro poco e ci vedrai. - No, no: voglio ritornare a casa. - Aspetta altri due minuti. - Ho indugiato anche troppo. La Fata starà in pensiero per me. - Povera Fata! Che ha paura forse che ti mangino i pipistrelli? - Ma dunque, - soggiunse Pinocchio, - tu sei veramente sicuro che in quel paese non ci sono punte scuole?... - Neanche l'ombra. - E nemmeno maestri?... - Nemmen'uno. - E non c'è mai l'obbligo di studiare? - Mai, mai, mai! - Che bel paese! - disse Pinocchio, sentendo venirsi l'acquolina in bocca. - Che bel paese! Io non ci sono stato mai, ma me lo figuro!... - Perché non vieni anche tu? - E' inutile che tu mi tenti! Oramai ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo di giudizio, e non voglio mancare alla parola. - Dunque addio, e salutami tanto le scuole ginnasiali!... E anche quelle liceali, se le incontri per la strada. - Addio, Lucignolo: fai buon viaggio, divertiti e rammentati qualche volta degli amici. Ciò detto, il burattino fece due passi in atto di andarsene: ma poi, fermandosi e voltandosi all'amico, gli domandò: - Ma sei proprio sicuro che in quel paese tutte le settimane siano composte di sei giovedì e di una domenica? - Sicurissimo. - Ma lo sai di certo che le vacanze abbiano principio col primo di gennaio e finiscano coll'ultimo di dicembre? - Di certissimo! - Che bel paese! - ripetè Pinocchio, sputando dalla soverchia consolazione. Poi, fatto un animo risoluto, soggiunse in fretta e furia: - Dunque, addio davvero: e buon viaggio. - Addio. - Fra quanto partirete? - Fra due ore! - Peccato! Se alla partenza mancasse un'ora sola, sarei quasi quasi capace di aspettare. - E la Fata?... - Oramai ho fatto tardi!... E tornare a casa un'ora prima o un'ora dopo, è lo stesso. - Povero Pinocchio! E se la Fata ti grida? - Pazienza! La lascerò gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà. Intanto si era già fatta notte e notte buia: quando a un tratto videro muoversi in lontananza un lumicino... e sentirono un suono di bubboli e uno squillo di trombetta, così piccino e soffocato, che pareva il sibilo di una zanzara! - Eccolo! - gridò Lucignolo, rizzandosi in piedi. - Chi è? - domandò sottovoce Pinocchio. - E' il carro che viene a prendermi. Dunque, vuoi venire, sì o no? - Ma è proprio vero, - domandò il burattino, - che in quel paese i ragazzi non hanno mai l'obbligo di studiare? - Mai, mai, mai! - Che bel paese!... che bel paese!... che bel paese!... Dopo cinque mesi di cuccagna, Pinocchio, con sua grande maraviglia, sente spuntarsi un bel paio d'orecchie asinine e diventa un ciuchino, con la coda e tutto. Finalmente il carro arrivò: e arrivò senza fare il più piccolo rumore, perché le sue ruote erano fasciate di stoppa e di cenci. E senza dir altro, Pinocchio prese in mano la candela, e andando avanti per far lume, disse al suo babbo: - Venite dietro a me, e non abbiate paura. E così camminarono un bel pezzo, e traversarono tutto il corpo e tutto lo stomaco del Pescecane. Ma giunti che furono al punto dove cominciava la gran gola del mostro, pensarono bene di fermarsi per dare un'occhiata e cogliere il momento opportuno alla fuga. Ora bisogna sapere che il Pescecane, essendo molto vecchio e soffrendo d'asma e di palpitazione di cuore, era costretto a dormire a bocca aperta: per cui Pinocchio, affacciandosi al principio della gola e guardando in su, poté vedere al di fuori di quell'enorme bocca spalancata un bel pezzo di cielo stellato e un bellissimo lume di luna. - Questo è il vero momento di scappare, - bisbigliò allora voltandosi al suo babbo. - Il Pescecane dorme come un ghiro: il mare è tranquillo e ci si vede come di giorno. Venite dunque, babbino, dietro a me e fra poco saremo salvi. Detto fatto, salirono su per la gola del mostro marino, e arrivati in quell'immensa bocca cominciarono a camminare in punta di piedi sulla lingua; una lingua così larga e così lunga, che pareva il viottolone d'un giardino. E già stavano lì lì per fare il gran salto e per gettarsi a nuoto nel mare, quando, sul più bello, il Pescecane starnutì, e nello starnutire, dette uno scossone così violento, che Pinocchio e Geppetto si trovarono rimbalzati all'indietro e scaraventati nuovamente in fondo allo stomaco del mostro. Nel grand'urto della caduta la candela si spense, e padre e figliolo rimasero al buio. - E ora?... - domandò Pinocchio facendosi serio. - Ora ragazzo mio, siamo bell'e perduti. - Perché perduti? Datemi la mano, babbino, e badate di non sdrucciolare!... - Dove mi conduci? - Dobbiamo ritentare la fuga. Venite con me e non abbiate paura. Ciò detto, Pinocchio prese il suo babbo per la mano: e camminando sempre in punta di piedi, risalirono insieme su per la gola del mostro: poi traversarono tutta la lingua e scavalcarono i tre filari di denti. Prima però di fare il gran salto, il burattino disse al suo babbo: - Montatemi a cavalluccio sulle spalle e abbracciatemi forte forte. Al resto ci penso io. Appena Geppetto si fu accomodato per bene sulle spalle del figliolo, Pinocchio, sicurissimo del fatto suo, si gettò nell'acqua e cominciò a nuotare. Il mare era tranquillo come un olio: la luna splendeva in tutto il suo chiarore e il Pescecane seguitava a dormire di un sonno così profondo, che non l'avrebbe svegliato nemmeno una cannonata. Finalmente Pinocchio cessa d'essere un burattino e diventa un ragazzo. Mentre Pinocchio nuotava alla svelta per raggiungere la spiaggia, si accorse che il suo babbo, il quale gli stava a cavalluccio sulle spalle e aveva le gambe mezze nell'acqua, tremava fitto fitto, come se al pover'uomo gli battesse la febbre terzana. Tremava di freddo o di paura? Chi lo sa? Forse un po' dell'uno e un po' dell'altro. Ma Pinocchio, credendo che quel tremito fosse di paura, gli disse per confortarlo: - Coraggio babbo! Fra pochi minuti arriveremo a terra e saremo salvi. Non gli restavano che due modi per potersi sdigiunare: o chiedere un po' di lavoro, o chiedere in elemosina un soldo o un boccone di pane. A chiedere l'elemosina si vergognava: perché il suo babbo gli aveva predicato sempre che l'elemosina hanno il diritto di chiederla solamente i vecchi e gl'infermi. I veri poveri, in questo mondo, meritevoli di assistenza e di compassione, non sono altro che quelli che, per ragione d'età o di malattia, si trovano condannati a non potersi più guadagnare il pane col lavoro delle proprie mani. Tutti gli altri hanno l'obbligo di lavorare: e se non lavorano e patiscono la fame, tanto peggio per loro. In quel frattempo, passò per la strada un uomo tutto sudato e trafelato, il quale da sé tirava con gran fatica due carretti carichi di carbone. Pinocchio, giudicandolo dalla fisionomia per un buon uomo, gli si accostò e, abbassando gli occhi dalla vergogna, gli disse sottovoce: - Mi fareste la carità di darmi un soldo, perché mi sento morire dalla fame? - Non un soldo solo, - rispose il carbonaio, - ma te ne dò quattro, a patto che tu m'aiuti a tirare fino a casa questi due carretti di carbone. - Mi meraviglio! - rispose il burattino quasi offeso, - per vostra regola io non ho fatto mai il somaro: io non ho mai tirato il carretto!... - Meglio per te! - rispose il carbonaio. - Allora, ragazzo mio, se ti senti davvero morire dalla fame, mangia due belle fette della tua superbia e bada di non prendere un'indigestione. Dopo pochi minuti passò per la via un muratore, che portava sulle spalle un corbello di calcina. - Fareste, galantuomo, la carità d'un soldo a un povero ragazzo, che sbadiglia dall'appetito? - Volentieri; vieni con me a portare calcina, - rispose il muratore, - e invece d'un soldo, te ne darò cinque. - Ma la calcina è pesante, - replicò Pinocchio, - e io non voglio durar fatica. - Se non vuoi durar fatica, allora, ragazzo mio, - divertiti a sbadigliare, e buon pro ti faccia. In meno di mezz'ora passarono altre venti persone, e a tutte Pinocchio chiese un po' d'elemosina, ma tutte gli risposero: - Non ti vergogni? Invece di fare il bighellone per la strada, va' piuttosto a cercarti un po' di lavoro, e impara a guadagnarti il pane! Finalmente passò una buona donnina che portava due brocche d'acqua. - Vi contentate, buona donna, che io beva una sorsata d'acqua alla vostra brocca? - disse Pinocchio, che bruciava dall'arsione della sete. - Bevi pure, ragazzo mio! - disse la donnina, posando le due brocche in terra. Quando Pinocchio ebbe bevuto come una spugna, borbottò a mezza voce, asciugandosi la bocca: - La sete me la sono levata! Così mi potessi levar la fame!... La buona donnina, sentendo queste parole, soggiunse subito: - Se mi aiuti a portare a casa una di queste brocche d'acqua, ti darò un bel pezzo di pane. Pinocchio guardò la brocca, e non rispose né sì né no. - E insieme col pane ti darò un bel piatto di cavolfiore condito coll'olio e coll'aceto, - soggiunse la buona donna. Pinocchio dette un'altra occhiata alla brocca, e non rispose né sì né no. - E dopo il cavolfiore ti darò un bel confetto ripieno di rosolio. - Alle seduzioni di quest'ultima ghiottoneria, Pinocchio non seppe più resistere e, fatto un animo risoluto, disse: - Pazienza! Vi porterò la brocca fino a casa! La brocca era molto pesante, e il burattino, non avendo forza da portarla colle mani, si rassegnò a portarla in capo. Arrivati a casa, la buona donnina fece sedere Pinocchio a una piccola tavola apparecchiata e gli pose davanti il pane, il cavolfiore condito e il confetto. Pinocchio non mangiò, ma diluviò. Il suo stomaco pareva un quartiere rimasto vuoto e disabitato da cinque mesi. Calmati a poco a poco i morsi rabbiosi della fame, allora alzò il capo per ringraziare la sua benefattrice; ma non aveva ancora finito di fissarla in volto, che cacciò un lunghissimo "ohhh!"... di maraviglia e rimase là incantato, cogli occhi spalancati, colla forchetta per aria e colla bocca piena di pane e di cavolfiore.