/<1987>/ Alice cominciava a essere stufa di rimanere seduta sull'argine, accanto alla sorella, senza avere nulla da fare. Per un paio di volte aveva dato un'occhiatina al libro che la sorella stava leggendo; ma in quel libro non c'erano né illustrazioni né dialoghi. A che serve un libro senza illustrazioni e senza dialoghi? si chiese Alice. Nella sua mente ragionava (come meglio poteva perché a causa dell'afa si sentiva vuota e assonnata), e si chiedeva se per il passatempo di mettersi a intrecciare una corona di margheritine valesse la pena di alzarsi per raccogliere quei fiorellini; ma giusto in quel momento le passò accanto un coniglio bianco con gli occhi color rosa. Non era un fatto straordinario e Alice non si meravigliò neanche quando sentì il coniglio parlare da solo: Ahimè, ahimè, arriverò troppo tardi. (Alice, ripensando poi a questo, ammise che avrebbe dovuto trovarlo stranissimo; ma in quel momento le era sembrato assolutamente normale). Quando però il coniglio cavò dal taschino del gilet un orologio e lo consultò e scappò via in tutta fretta, Alice scattò in piedi, perché un lampo le passò nella mente che le fece considerare di non aver mai veduto un coniglio che portasse un gilet con un orologio nel taschino; e allora, spinta dalla curiosità, gli corse dietro per la campagna e arrivò giusto in tempo per vederlo che si cacciava in una grande tana di coniglio sotto una siepe. Un attimo dopo Alice si infilò appresso a lui senza pensare neppure per un istante come avrebbe poi fatto per uscire. La tana, per un certo percorso, correva orizzontalmente verso una qualche meta, come un tunnel, ma poi, tutto all'improvviso sprofondava, tanto all'improvviso che Alice non ebbe neanche un momento di tempo per pensare a fermarsi e si trovò che precipitava in qualcosa che sembrava un pozzo profondissimo. I casi erano due: o il pozzo era profondo all'infinito, o lei cadeva molto lentamente, poiché nell'andar giù ebbe tutto il tempo di guardarsi intorno e vedere che mai stesse succedendo. Per prima cosa cercò di sbirciare in basso per scoprire dove stava arrivando; c'era, però, troppo buio e quindi non si vedeva nulla. Guardò le pareti del pozzo e notò che erano piene di scaffali e vassoi, e qua e là c'erano anche carte geografiche e quadri appesi a ganci. Essa, nel passare, prese un barattolo da uno scaffale; c'era l'etichetta con su MARMELLATA DI ARANCE, ma, con sua grande delusione, era vuoto. Alice non volle buttar giù il barattolo per tema di colpire qualcuno nel fondo e perciò lo abbandonò su uno dei vassoi. Bene, pensò, dopo una caduta simile, se mai dovessi ruzzolare per le scale mi sembrerà uno scherzo. Come mi crederanno coraggiosa in famiglia! Io non racconterò di questo neanche se dovessi cadere giù dal terrazzo di casa. (Il che non era del tutto improbabile). Giù, giù, giù. E' possibile che questa caduta non debba finire mai? Chissà quanti chilometri avrò già fatto finora, disse a voce alta. Certamente starò andando in qualche posto vicino al centro della Terra. Calcoliamo: sarebbero seimila e più chilometri, mi pare. Come vedete Alice nelle sue lezioni scolastiche aveva imparato diverse cosette del genere, e, nonostante quella fosse un'occasione non troppo opportuna per esibire la sua cultura, perché non c'era nessuno che l'ascoltasse, le servì per fare ripetizione. Sì, questa è approssimativamente l'esatta distanza; ma ora, quale sarà la latitudine e quale la longitudine a cui sono arrivata? (Alice non aveva la minima idea di ciò che fossero la latitudine e la longitudine; sentiva però nel pronunciarle che suonavano come parole belle e importanti). E ricominciò a parlare tra sé: Chissà se addirittura non attraverserò il Mondo! Sarebbe davvero interessante arrivare tra gli uomini che vivono a testa in giù! Credo che si chiamino "gli antipatici". Stavolta fu lieta che non ci fosse nessuno ad ascoltarla, perché la definizione non le sembrava esatta. Ma io domanderò a loro stessi come si chiama il paese. Per favore, signore, siamo in Nuova Zelanda o in Australia? (e nel parlare cercava di fare la riverenza; strana idea quella di tentare un inchino mentre si sta cadendo nel vuoto. Credete che ci si possa riuscire?) E che ragazzina ignorante mi crederanno se farò domande simili! No, non lo domanderò affatto; forse lo vedrò scritto su un muro. E giù, giù, giù. Alice non aveva nient'altro da fare che continuare a discorrere tra sé. Dina stanotte sentirà molto la mia mancanza! (Dina era la gatta). Spero che si ricorderanno del suo piattino di latte all'ora del tè. Dina cara, come vorrei che fossi con me quaggiù. Credo che quaggiù non vi siano topi, ma tu potresti acchiappare un pipistrello. A queste parole Alice cominciò ad avere sonno. I pipistrelli somigliano molto ai topi, ma non so se i gatti mangiano i pipistrelli. Il torpore aumentava e lei si trovava in una specie di dormiveglia e continuava a ripetere: i gatti mangiano i pipistrelli... I gatti non mangiano i pipistrelli... I pipistrelli mangiano i gatti? Perché, vedete bene, siccome lei non poteva rispondere a nessuna domanda, la maniera come le faceva non aveva nessuna importanza. Si accorse che si appisolava e cominciò subito a sognare che stava passeggiando con Dina, tenendosi per mano e le diceva con la maggior serietà di questo mondo: Dina, dimmi la verità, hai mangiato un pipistrello? Improvvisamente, però, piombò di botto su un mucchio di sterpi e foglie secche. E così il gran capitombolo ebbe fine. Alice non si fece male e in un istante saltò in piedi. Guardò in alto, al di sopra della sua testa; tutto era buio. Davanti a lei un altro tunnel, nel quale, ben in vista, correva il Coniglio Bianco. Non c'era un momento da perdere; Alice corse come il vento appena appena in tempo per sentire che, nel voltare l'angolo, il coniglio diceva: Oh, per le mie orecchie e per i miei baffi! Quanto tempo mi ci vuole! Alice, dopo aver girato l'angolo pensava che l'animale doveva essere a pochissima distanza; ma il Coniglio era sparito ed essa si ritrovò in un salone lungo, con le pareti basse e illuminato da una fila di lampadine pendenti dal soffitto. Nelle pareti, tutt'intorno, vi erano porte, ma erano chiuse e Alice, quando ebbe percorso interamente prima un lato e poi l'altro fermandosi a ogni porta, si chiese se avrebbe mai potuto venir fuori di lì. Improvvisamente vide un tavolino di vetro a tre gambe; sopra di esso non v'era che una minuscola chiavetta d'oro e la prima idea di Alice fu quella che doveva essere la chiave di una delle porte del salone; ma, ahimè, i buchi erano troppo larghi e la chiavetta era troppo sottile per poter essere la chiave di una delle porte del salone. Infine, nel fare il secondo giro di ricerche, vide una cortina bassa che non aveva notato prima e dietro ad essa scoprì una porticina alta un mezzo metro. Provò la chiavetta nella toppa e con immensa gioia vide che andava bene. Aperta quella porticina, Alice constatò che immetteva in un piccolo corridoio largo non più di un buco di topo; si mise in ginocchio e spiando lungo il cunicolo fu sorpresa di vedere il più delizioso giardino che potete immaginare. Figuratevi come si struggesse di poter uscire da quel posto buio per andare a spasso tra le aiuole di quei splendidi fiori e tra quelle fresche fontanelle; ma non riusciva neanche a far passare la testa attraverso la soglia della porta. E anche se la mia testa vi passasse, pensò la povera Alice, mi servirebbe ben poco senza le spalle. Oh, come mi piacerebbe potermi rinfoderare come un cannocchiale! Credo che lo potrei, se almeno sapessi come cominciare. Voi capirete che le erano successe troppe cose fuori del comune in così poco tempo, sicché aveva cominciato a credere che le cose realmente impossibili erano ben poche. Le sembrò inutile starsene lì accanto alla porta e perciò ritornò al tavolino con una mezza speranza di trovarvi un'altra chiave o, per lo meno, un manuale di istruzioni per far rinfoderare la gente come un cannocchiale. Questa volta vi trovò, invece, una fialetta (che con certezza prima non c'era) e intorno al collo della fialetta c'era un'etichetta di carta con la parola BEVIMI stampata in belle lettere grandi. E' facile a dirsi: bevimi; ma Alice, ragazzina molto saggia, non avrebbe bevuto così in fretta. No, prima voglio guardare, si disse, e vedere se c'è scritto veleno o no, perché lei aveva letto molte storielle di bambine che si erano bruciate e poi erano state divorate da animali selvaggi e simili spaventevoli cose, e tutto perché non si erano ricordate delle semplici istruzioni impartite dai loro amici: come per esempio che tenendo in mano una spranga di ferro rovente vi brucerà e che se vi fate un taglio con il coltello il dito vi sanguinerà, e che, lei non lo aveva mai dimenticato, se si beve molto da una bottiglia su cui c'è scritto veleno è quasi certo che prima o poi bisognerà pentirsene. Ma quella bottiglina non era contrassegnata con la parola veleno e perciò Alice si azzardò ad assaggiarla e avendola trovata molto gradevole (era infatti di un sapore misto di torta di ciliege, crema di lattemiele, ananasso, tacchino arrosto, panna di burro e crostini imburrati) se la bevve tutta. Che strana sensazione! disse Alice. Sento che mi sto rinfoderando come un cannocchiale. E infatti era proprio così. Ora era ridotta a non più di trenta centimetri di altezza e il suo viso si illuminò al pensiero che ormai la sua statura era adatta per attraversare la porticina e arrivare nel giardino. Per prima cosa, però, attese qualche minuto per vedere se mai dovesse continuare a rimpicciolirsi e questo pensiero la spaventò un poco; perché, vedete, poteva andare a finire che si consumasse come una candela. E allora, che cosa sarebbe sembrata? E cercava di immaginare cosa sembra una candela consumata perché non aveva mai visto una cosa simile. Dopo un po', sicura che ormai non le sarebbe successo altro, decise di andare nel giardino; ma ahimè, povera Alice, quando arrivò alla porta si accorse di aver dimenticato la chiavetta sul tavolino di vetro e quando tornò per prenderla vide che non ci arrivava più. Ne era testimone anche lo specchio che la rifletteva. Essa fece del suo meglio per arrampicarsi su per una gamba del tavolino che, però, era troppo scivolosa e riuscì soltanto a stancarsi in quei tentativi; poi, la poverina, si sedette per terra e si mise a piangere