/<1993>/ Pezzi di parete di tana, biascicati dalle bocche dei ragni. Poi mette delle pietre in modo che lui solo possa riconoscere il posto, e va via frustando i cespugli con la cinghia del cinturone. La via del ritorno è per i beudi, i piccoli canali sopra il fossato con una stretta linea di pietre per camminarci. Pin andando trascina la coda del cinturone nell'acqua della cunetta e fischia per non sentire quel gracidio di rane che sembra s'amplifichi di momento in momento. Poi ci sono gli orti e le immondizie e le case: e arrivando lì Pin sente delle voci non italiane che parlano. C'è il coprifuoco ma lui spesso gira lo stesso di notte perché è un bambino e le pattuglie non gli dicono niente. Ma Pin questa volta ha paura perché forse quei tedeschi sono lì a cercare chi ha sparato. Vengono verso di lui e Pin vorrebbe scappare, ma quelli già gli gridano qualcosa e lo raggiungono. Pin s'è rattrappito in un gesto di difesa con la cinghia del cinturone come una frusta. Ma ecco che i tedeschi guardano proprio la cinghia del cinturone, vogliono quella; e tutt'a un tratto lo prendono per la collottola e lo portano via. Pin dice moltissime cose: preghiere, lamenti, insulti, rna i tedeschi non capiscono nulla; sono peggio, molto peggio delle guardie municipali. Nel vicolo ci sono addirittura delle pattuglie tedesche e fasciste armate, e della gente presa ed arrestata, anche Miscèl il Francese. Pin viene fatto passare in mezzo salendo per il vicolo. C'è buio; solo in cima ai gradini c'è un punto illuminato da un lampione guercio per l'oscuramento. Alla luce del lampione guercio, in cima al carrugio, Pin vede il marinaio con la grassa faccia imbestialita che punta un dito contro di lui. I tedeschi sono peggio delle guardie municipali. Con le guardie, se non altro, ci si poteva mettere a scherzare, dire: - Se mi lasciate libero vi faccio andare a letto gratis con mia sorella. Invece i tedeschi non capiscono quello che si dice, i fascisti sono gente sconosciuta, gente che non sa nemmeno chi è la sorella di Pin. Sono due razze speciali: quanto i tedeschi sono rossicci, carnosi, imberbi, tanto i fascisti sono neri, ossuti, con le facce bluastre e i baffi da topo. Nel comando tedesco, al mattino, il primo a essere interrogato è Pin. Di fronte a lui sono un ufficiale tedesco con la faccia da bimbo e un interprete fascista con la barbetta. Poi, in un angolo, il marinaio e, seduta, la sorella di Pin. Tutti hanno l'aria seccata: a quanto pare il marinaio, per una pistola rubata, deve aver montato tutta una storia, forse perché non l'incolpino d'essersela lasciata prendere, e deve aver raccontato molte cose false. Sul tavolo dell'ufficiale c'è il cinturone, e la prima domanda rivolta a Pin è: come mai avevi in mano questo? Pin è mezzo addormentato: hanno passato la notte sdraiati sul pavimento d'un corridoio e Miscèl il Francese s'è messo vicino a lui e ogni volta che Pin stava per prender sonno Miscèl gli dava una gomitata forte da fargli male, e gli diceva in un soffio: - Se parli ti facciamo la pelle. Quando Pin si sveglia vede i ritagli di cielo tra i rami del bosco, chiari che quasi fa male guardarli. E' giorno, un giorno sereno e libero con canti d'uccelli. L'omone è già in piedi accanto a lui e arrotola la mantellina che gli ha tolto di dosso. - Andiamo, presto che è giorno, - dice. Hanno camminato quasi tutta la notte. Sono saliti per oliveti, poi per terreni gerbidi, poi per oscuri boschi di pini. Hanno visto gufi, anche; ma Pin non ha avuto paura perché l'omone col berrettino di lana l'ha sempre tenuto per mano. - Tu caschi dal sonno, ragazzo mio, - gli diceva l'omone, tirandoselo dietro, - non vorrai mica che ti porti in braccio? Difatti Pin faticava a tener gli occhi aperti, e si sarebbe volentieri lasciato andare nel mare di felci del sottobosco, fino ad esserne sommerso. Era quasi mattina quando i due sono arrivati allo spiazzo d'una carbonaia e l'omone ha detto: - Qui possiamo far tappa. Pin s'è sdraiato sul terreno fuligginoso e come in un sogno ha visto l'omone coprirlo con la sua mantellina, poi andare e venire con dei legni, spaccarli, e accendere il fuoco. Ora è giorno, e l'omone sta pisciando sulle ceneri spente; anche Pin si alza e si mette a pisciare vicino a lui. Intanto guarda l'uomo in faccia: non l'ha ancora visto bene alla luce. Man mano che le ombre diradano dal bosco e dagli occhi ancora appiccicati dal sonno, Pin continuerà a scoprire in lui qualche particolare nuovo: è più giovane di quello che sembrava e anche di proporzioni più normali; ha i baffi rossicci e gli occhi azzurri, e un'aria da mascherone per quella grande bocca maldentata e quel naso spiaccicato sulla faccia. - Di qui a un po' ci siamo, - dice a Pin ogni tanto, camminando attraverso il bosco. Non sa fare dei lunghi discorsi, e a Pin non dispiace camminare insieme a lui in silenzio: in fondo ha un po' di soggezione di quest'uomo che gira la notte da solo ad ammazzare la gente, ed è così buono con lui e lo protegge. La gente buona ha sempre messo in imbarazzo Pin: non si sa mai come trattarli e si ha voglia di far loro dei dispetti per vedere come reagiscono. Ma con l'omone dal berrettino di lana è differente: perché è uno che chissà quanta gente ha ammazzato e può permettersi d'esser buono senza rimorsi. Non sa parlare altro che della guerra che non finisce mai e di lui che dopo sette anni di alpino è costretto a girare ancora con le armi addosso, e finisce col dire che le uniche a star bene di questi tempi sono le donne, e che lui ha girato tutti i paesi e ha capito che sono la razza più cattiva che ci sia. Questo genere di discorsi non interessa Pin, sono le solite cose che tutti dicono di questi tempi; però delle donne Pin non ha mai sentito parlare così: non è uno come Lupo Rosso che non s'interessa delle donne: sembra che le conosca bene ma che ci abbia un qualche fatto personale. Hanno abbandonato i pini e adesso vanno sotto i castagni. alla canzone, ch'è al suo punto più drammatico: Che dite mia Godea son io vostro figliol. Che dite mia Godea son io vostro figliol. La fiammata ormai è troppo alta: bisognerebbe togliere legna dal fuoco, non aggiungercene ancora se non si vuole che s'incendi il fieno del piano di sopra. Ma i due continuano a passarsi stecchi di mano in mano. Perdonami figliolo se parlai mal di te. Perdonami figliolo se parlai mal di te. Pin suda dal calore, trema tutto dallo sforzo, l'ultimo acuto è stato così alto che nel buio vicino al tetto si sente un battere d'ali e un verso rauco: è il falchetto Babeuf che s'è svegliato. La spada tirò fuori la testa le tagliò. La spada tirò fuori la testa le tagliò. Mancino tiene le mani sulle ginocchia, adesso. Sente il falchetto che s'è svegliato e s'alza per dargli da mangiare. La testa fece un salto in sala se n'andò. La testa fece un salto in sala se n'andò. Il cuoco ha un sacchetto sempre con sé dove tiene le viscere degli animali macellati. Ora ha il falchetto posato su un dito e con l'altra mano lo imbecca di pezzi di rognone rosso sangue. In mezzo a quella sala ci nascerà un bel fior. In mezzo a quella sala ci nascerà un bel fior. Pin tira il fiato per l'ultimo colpo. S'è avvicinato ai due e ormai grida quasi ai loro orecchi: Il fiore d'una mamma uccisa da un figliol. Il fiore d'una mamma uccisa da un figliol. Pin si butta per terra: è esausto. Tutti scoppiano in applausi, Babeuf starnazza. In quel momento un grido si leva dagli uomini che dormono di sopra. - Il fuoco! Il fuoco! La fiamma è diventata un falò e crepita propagandosi nel fieno che copre la graticciata di rami. - Si salvi chi può! - C'è un parapiglia d'uomini che arraffano armi, scarpe, coperte, che inciampano in altri coricati. Il Dritto è balzato in piedi e ha riacquistato il dominio di se stesso: - Sgombrare presto! Prima via le armi automatiche, le munizioni, poi i moschetti. Da ultimo i sacchi e le coperte. I viveri, prima ancora i viveri! Gli uomini, in parte già scalzi e coricati, sono presi subito dal panico e arraffano la roba a caso, pigiandosi contro la porta. Pin si caccia tra le gambe e s'apre un varco per l'esterno, e corre a cercarsi un posto donde ammirare l'incendio: è uno spettacolo magnifico! Il Dritto ha tirato fuori la pistola: - Nessuno se ne vada prima d'aver portato tutto in salvo. Portate la roba fuori e tornate; al primo che vedo allontanarsi, sparo! Le fiamme già lambiscono i muri, ma gli uomini hanno superato già il panico e si cacciano in mezzo al fumo e al fuoco per salvare le armi e le provviste. Il Dritto entra anche lui, dà ordini tossendo in mezzo al fumo, torna fuori a chiamare altra gente e a impedire che scappino. Trova Mancino già in un cespuglio col falchetto in ispalla e tutti i suoi bagagli e lo rispedisce nel casone con un calcio, a ricuperare la marmitta. - Guai a chi non vedo tornar dentro a prendere qualcosa! - dice. La Giglia gli passa vicino, calma. - E dove vuoi che vada? - dice Giglia. - Mettiti la sottana e va' in un paese, alle donne non faranno niente. Dritto, digli che se ne vada, che non può restare qui, sola. Il Dritto non ha mangiato castagne, dirige i preparativi degli uomini, quasi senza parole, a bavero rialzato. Non alza il capo e non risponde subito. - No - dice. - Meglio che resti qui. La Giglia dà un'occhiata al marito come per dire «Vedi?» e finisce per scontrarsi con Cugino che senz'alzare nemmeno lo sguardo, fa: - Togliti dai piedi. - Lei torna sui suoi passi e rientra in casa, a dormire. Anche Pin sta tra i piedi agli uomini, come un cane da caccia che vede il padrone fare i preparativi. « La battaglia, - pensa, cercando d'eccitarsi. - Adesso c'è la battaglia». - Allora, - fa a Giacinto. - Quale piglio? Il commissario gli bada appena: - Cosa? - dice - Quale piglio, fucile? - dice Pin - Tu? - fa Giacinto. - Tu non vieni. - Sì, che vengo. - Lévati. Non è momento di portarci dietro i bambini. Dritto non vuole. Lévati. Pin ora è pieno di rabbia, andrà dietro a loro disarmato, facendo dispetti, finché non gli spareranno. - Dritto, Dritto, è vero che non vuoi che venga? Il Dritto non risponde, sta tirando piccole boccate da un mozzicone, come se lo mordesse. - Ecco, - fa Pin. - Mondoboia, ha detto che non è vero. «Adesso mi arriverà uno scapaccione fra capo e collo», pensa. Ma il Dritto non dice niente. - Posso andare in azione, Dritto? - fa Pin. Il Dritto fuma. - Il Dritto ha detto che posso venire, hai sentito Giacinto? - dice Pin. Adesso il Dritto dirà: «Finiscila! Resta qui!» dirà. Invece non dice niente; come mai? Pin dice, molto forte: - Allora vengo. E va verso il posto dove sono rimaste le armi libere, a passi lenti, fischiando, in modo di attirare l'attenzione su di sé. Sceglie il moschetto più leggero. - Allora prendo questo, - dice forte. - E' di qualcuno, questo? Nessuno gli risponde. Pin ritorna sui suoi passi, facendo dondolare il moschetto avanti e indietro per la cinghia. Si siede per terra, proprio davanti al Dritto, e si mette a controllare l'otturatore, l'alzo, il grilletto. Canticchia: - Io ho il fucile! Io ho il fucile! Qualcuno gli dice: - Zitto! Diventi scemo? Gli uomini si stanno mettendo in fila, squadra per squadra, nucleo per nucleo, i portamunizioni si dividono i turni. - Allora siamo intesi, - dice il Dritto. - Il distaccamento sarà di postazione tra il pilone del Pellegrino e la seconda gola. Cugino prenderà il comando. Lì avrete ordini dal battaglione. Ora ha tutti gli occhi degli uomini su di sé, occhi assonnati e torbidi, traversati da ciuffi di capelli. - E tu? - gli chiedono. Il Dritto ha un po' di cispa sulle ciglia abbassate. - Io sono malato, - dice. - Io non posso venire. Ecco, ora tutto vada come vuole. Gli uomini non hanno detto ancora niente. «Sono un uomo finito» pensa il Dritto. Ora tutto vada come vuole. E' terribile che gli uomini non dicano niente, non protestino: vuol dire che l'hanno già condannato, sono contenti che abbia rifiutato l'ultima prova, forse si aspettavano questo da lui. Eppure non capiscono. Pin viene avanti quasi senza guardarla, parla rauco: - Non cominciare a angosciarmi. Sono stato dove mi pareva. Ne hai fatto da mangiare? La Nera fa la materna: - Aspetta che ti preparo. Siediti. Come devi esser stanco, povero Pin. Sei fortunato che mi trovi in casa. Non ci sono più quasi mai. Ora abito all'hotel. Pin ha cominciato a masticare del pane e una cioccolata tedesca fatta di nocciole. - Ti trattano bene, vedo. - Pin, quanto son stata in pensiero per te! Cos'hai fatto tutto questo tempo? il vagabondo, il ribelle? - E tu? - fa Pin. La Nera sta spalmando della marmellata tedesca al malto su delle fette di pane, e gliele passa. - E adesso, Pin, cosa vuoi fare? - Non lo so. Lasciami mangiare. - Di', Pin, dovresti badare a metter la testa a partito. Di': nel posto dove lavoro io hanno bisogno di ragazzi in gamba come te e li fanno star bene. Non c'è da lavorare: solo da girare mattina e sera e vedere cosa fa la gente. - Di', Rina, ne hai di armi? - Io? - Sì, tu. - Ben, ho una pistola. La tengo perché non si sa mai, di questi tempi. Me l'ha regalata uno della brigata nera. Pin alza gli occhi e inghiotte l'ultimo boccone: - Me la fai vedere, Rina? La Nera s'alza: - Cosa t'ha preso con le pistole? Non ne hai basta d'aver rubata quella al Frick? Questa somiglia giusto a quella del Frick. Eccola qui, guardala. Povero Frick, l'hanno mandato sull'Atlantico. Pin guarda affascinato la pistola: è una P. 38, la sua P. 38! - Chi te l'ha data? - T'ho detto: un milite della brigata nera, un biondino. Era tutto raffreddato. Avrà avuto indosso, non esagero, sette pistole tutte differenti. Cosa ne fai di tante? gli ho chiesto. Regalamene una. Ma non voleva neanche a pregarlo. La mania delle pistole, aveva. Ha finito per regalarmi questa perché era la più scassata. Però funziona lo stesso. Cosa mi dai, gli ho detto, un cannone? Lui ha detto: così resta in famiglia. Chissà cosa voleva dire. Pin non ascolta nemmeno più: gira e rigira la sua pistola tra le mani. Alza gli occhi sulla sorella stringendosi la pistola al petto come fosse una bambola: - Stammi a sentire, Rina, - dice, rauco, - questa pistola è mia! La Nera lo guarda cattiva: - Che ti piglia: cosa sei diventato, un ribelle? Pin butta una seggiola per terra: - Scimmia! - grida, con tutte le sue forze. - Cagna! Spia! Si ficca la pistola in tasca ed esce sbattendo la porta. Fuori è già notte. Il vicolo è deserto, come quando lui è venuto. Le impannate delle botteghe sono chiuse. A ridosso dei muri hanno costruito antischegge di tavole e sacchi di terra. Pin prende la via del torrente. Gli sembra d'essere tornato alla notte in cui ha rubato la pistola. Ora Pin ha la pistola, ma tutto è lo stesso: è solo al mondo, sempre più solo. Come quella notte il cuore di Pin è pieno d'una domanda sola: che farò? Pin cammina piangendo per i beudi. Prima piange in silenzio, poi scoppia in singhiozzi. Non c'è nessuno che gli venga incontro, ora. Nessuno? Inventerà scherzi e smorfie così nuove da ubriacarsi di risate, tutto per smaltire la nebbia di solitudine che gli si condensa nel petto le sere come quella. Ma nell'osteria gli uomini sono un muro di schiene che non s'apre per lui; e c'è un uomo nuovo in mezzo a loro, tutto magro e serio. Gli uomini smicciano Pin che entra, poi smicciano lo sconosciuto e dicono qualche parola. Pin vede che tira aria diversa; ragione di più per farsi avanti a mani in tasca e dire: - Mondoboia, la faccia che ha fatto il tedesco dovevate vedere. Gli uomini non rispondono con le solite uscite. Si voltano piano, a uno a uno. Miscèl Francese prima lo smiccia come se non lo avesse mai visto, poi dice, lento: - Sei una sporca carogna di ruffiano. Il volo di vespe sulla faccia di Pin ha un guizzo subito spento, poi Pin parla calmo, ma con gli occhi piccoli: - Poi mi dici perché. Il Giraffa volta un po' il collo verso di lui e fa: - Vai via, noi con chi se la fa coi tedeschi non abbiamo nulla da spartire. - Va a finire, - dice Gian l'Autista, - che diventerete pezzi grossi del fascio, tu e tua sorella, con le vostre relazioni. Pin cerca di fare la faccia di quando li prende in giro. - Poi mi spiegate il significato, - dice. - Io col fascio non ci ho mai avuto niente da spartire, nemmeno coi balilla, e mia sorella va con chi le pare e non dà fastidio a nessuno. Miscèl si gratta un po' la faccia: - Quando viene il giorno che cambia tutto, mi capisci? tua sorella la facciamo girare rasata e nuda come una gallina spennata... E per te... per te studiamo un servizio che non te lo sogni neppure. Pin non si scompone ma si vede che dentro ci soffre e si morde le labbra: - Quando viene il giorno che diventate più furbi, - dice, - vi spiegherò come stanno le cose. Primo, che io con mia sorella non sappiamo niente l'uno dell'altro e il ruffiano lo andate a fare voi se ne avete voglia. Secondo, che mia sorella non va coi tedeschi perché tiene coi tedeschi, ma perché è internazionale come la crocerossa e alla maniera che va con loro poi andrà con gl'inglesi, i negri e tutti i sacramenti che verranno dopo -. (Questi son tutti discorsi che Pin ha imparato ascoltando i grandi, magari quelli stessi che ora parlano con lui. Perché ora tocca a lui spiegarlo a loro?) - Terzo, che io col tedesco tutto quel che ho fatto è stato scroccargli delle gran sigarette, e in cambio gli ho fatto degli scherzi come quello di quest'oggi che ormai m'avete fatto girar l'anima e non ve lo racconto più. Ma il tentativo di sviare il discorso non attacca. Gian l'Autista dice: - Tempo di scherzare! Io sono stato in Croazia e lì bastava che uno scemo di tedesco andasse per donne in un paese che non se ne trovava più manco il cadavere. Miscèl dice: - Un giorno o l'altro te lo facciamo trovare in un tombino, il tuo tedesco. Lo sconosciuto che è stato tutto il tempo zitto, senz'approvare né sorridere, lo tira un po' per una manica: - Non è il caso di parlar di questo adesso. Ricordatevi quel che v'ho detto. Gli altri annuiscono e guardano ancora Pin. Che cosa possono volere da lui? - Di', - fa Miscèl, - hai visto che pistola ha il marinaio? - Un boia di pistola, ha, - risponde Pin. - Ben, - fa Miscèl, - tu ci porterai quella pistola. - E come faccio? - fa Pin. - T'arrangi. E non posso bere vino e avrei tanta voglia di prendere sbornie per una settimana di seguito. Pin, il codice penale è sbagliato. C'è scritto tutto quello che uno non può fare nella vita: furto, omicidio, ricettazione, appropriazione indebita, ma non c'è scritto cosa uno può fare, invece di fare tutte quelle cose, quando si trova in certe condizioni. Pin, mi stai a sentire? Pin lo guarda nella faccia gialla, pelosa come quella di un cane, sente il suo fiato ansimargli sul viso. - Pin, io morirò. Tu devi giurarmi una cosa. Devi dire giuro a quello che dirò. Giuro che per tutta la mia vita combatterò perché non ci siano più prigioni e perché sia rifatto il codice penale. Di': lo giuro. - Lo giuro, - dice Pin. - Te ne ricorderai, Pin? - Sì, Pietromagro, - dice Pin. - Adesso aiutami a togliermi dei pidocchi, - dice Pietromagro, - che ne son pieno. Li sai schiacciare? - Sì, - dice Pin. Pietromagro si guarda nell'interno della camicia, poi ne dà un lembo a Pin. - Guarda bene nelle cuciture, - dice. Togliere i pidocchi a Pietromagro non è una cosa divertente, ma Pietromagro fa pietà, così con le vene piene di piscio giallo e forse avrà poco tempo da vivere, ormai. - La bottega, come va la bottega? - chiede Pietromagro. Né il padrone né il garzone hanno mai amato molto il lavoro, ma adesso cominciano a discorrere del lavoro rimasto arretrato, del prezzo del cuoio e dello spago, di chi aggiusterà le scarpe al vicinato, ora che sono dentro tutti e due. Stanno seduti sulla paglia in un angolo della cella, schiacciando i pidocchi, e parlando di risuolature, di cuciture, di brocchette, senza inveire contro il loro lavoro, cosa mai successa in vita loro. - Di', Pietromagro, - fa Pin, - perché non mettiamo un laboratorio da ciabattino nella prigione, per fare le scarpe ai carcerati? Pietromagro non ci aveva mai pensato, una volta andava volentieri in prigione perché poteva mangiare senza far niente. Ma ora la cosa gli piacerebbe, forse se potesse lavorare non si sentirebbe nemmeno tanto malato. - Si può provare a far la domanda. Tu ci staresti? Sì, Pin ci starebbe, il lavoro fatto così sarebbe una cosa nuova, una cosa scoperta da loro, divertente come un gioco. E anche stare in prigione non sarebbe spiacevole, insieme a Pietromagro che non lo picchierebbe più e cantare canzoni ai carcerati e ai secondini. In quella un secondino apre la porta e fuori c'è Lupo Rosso che indica lui, Pin, e dice: - Sì, è quello il tipo che dico io. Allora il carceriere lo chiama fuori e chiude la cella con dentro Pietromagro solo. Pin non capisce cosa vogliano. - Vieni, - dice Lupo Rosso, - mi hai da dare una mano per portare giù un barile d'immondizie. Difatti poco distante nel corridoio c'è un barile di ferro, pieno di rifiuti. Pin pensa che è una crudeltà mettere Lupo Rosso così mal conciato dalle busse a fare i lavori pesanti, e anche farlo aiutare da lui che è un bambino. Il barile è alto che arriva al petto di Lupo Rosso e pesante che si fa fatica a spostarlo. Mentre son lì che lo soppesano Lupo Rosso gli sfiora l'orecchio con le labbra in un sussurro: - Sta' in gamba che è la volta buona - poi, forte: - T'ho fatto cercare per tutte le celle, ho bisogno del tuo aiuto. Questa è una cosa magnifica, che Pin non osava sperare. Però Pin s'affeziona presto agli ambienti e anche la prigione è un posto che ha le sue attrattive. Il Dritto è un giovane magro, figlio di meridionali emigrati, con un sorriso malato e palpebre abbassate dalle lunghe ciglia. Di professione fa il cameriere; bel mestiere perché si vive vicino ai ricchi e una stagione si lavora e l'altra si riposa. Ma lui preferirebbe starsene sdraiato tutto l'anno al sole, con le sue braccia tutte nervi sotto la testa. Invece, suo malgrado, ha una furia che lo tiene sempre in moto e gli fa vibrare le narici come antenne, e gli mette addosso un sottile piacere a maneggiare le armi. Al comando di brigata hanno delle prevenzioni contro di lui perché sono arrivate informazioni poco buone sul suo conto dal comitato, e perché nelle azioni vuole sempre fare di sua testa e gli piace troppo comandare e poco dare l'esempio. Però quando vuole è di fegato e comandanti ce ne sono pochi: così gli han dato quel distaccamento su cui non si può fare grande assegnamento, e serve più per tenere isolati degli uomini che potrebbero rovinare gli altri. Il Dritto è offeso di questo con il comando, e fa un po' per conto suo e batte la fiacca; ogni tanto dice che è malato e passa le giornate sdraiato sul letto di felci fresche del casolare, con le braccia sotto la testa e le lunghe ciglia abbassate sugli occhi. Per farlo rigar diritto ci vorrebbe un commissario di distaccamento che sapesse il fatto suo: ma Giacinto, il commissario, è stremato dai pidocchi che s'è lasciato crescere addosso tanto che non può più tenerli a freno così come non sa avere autorità sul comandante né sugli uomini. Ogni tanto lo chiamano al battaglione o alla brigata e gli fanno fare la critica della situazione e studiare i sistemi per risolverla: ma è fiato sprecato perché lui torna e riprende a grattarsi mattina e sera e fa finta di non sapere quel che fa il comandante e quello che gli uomini ne dicono. Il Dritto accetta gli scherzi di Pin muovendo le narici e col suo sorriso malato, e dice che Pin è l'uomo più in gamba del distaccamento e che lui è malato e vuole ritirarsi e il comando lo possono dare a Pin, tanto le cose andranno sempre di traverso. Allora tutti attaccano a mettere in mezzo Fin, a chiedergli quand'è che viene a fare un'azione e se sarebbe capace di mirare su un tedesco e di sparargli. Pin s'arrabbia quando gli dicono queste cose, perché, in fondo, di trovarsi in mezzo agli spari avrebbe paura, e forse non si sentirebbe il coraggio di sparare addosso a un uomo. Ma quand'è in mezzo ai compagni vuol convincersi d'essere uno come loro, e allora comincia a raccontare cosa farà la volta che lo lasceranno andare in battaglia e si mette a fare il verso della mitragliatrice tenendo i pugni avvicinati sotto gli occhi come sparasse. S'eccita allora: pensa ai fascisti, a quando lo frustavano, alle facce bluastre e imberbi nell'ufficio dell'interrogatorio, ta-tatatà, ecco che tutti sono morti, e mordono il tappeto sotto la scrivania dell'ufficiale tedesco con gengive di sangue. Ecco la voglia d'uccidere anche in lui aspra e ruvida, d'uccidere pure il piantone nascosto nel pollaio, anche se è tonto, proprio perché è tonto, d'uccidere anche la sentinella triste della prigione, proprio perché è triste e tagliuzzata in faccia dal rasoio. E' una voglia remota in lui come la voglia di amore, un sapore sgradevole e eccitante come il fumo e il vino, una voglia che non si capisce bene perché tutti gli uomini l'abbiano, e che deve racchiudere, a soddisfarla, piaceri segreti e misteriosi. - Se io fossi un ragazzo come te, - gli dice Zena il Lungo detto Berretta-di-Legno, - non ci metterei tanto a scendere in città e sparare a un ufficiale, poi scappare qui di nuovo. Tu sei un ragazzo e nessuno ti baderebbe e potresti andargli fin sotto il naso. E anche scappare ti sarebbe più facile. Verso sera arrivano il comandante Ferriera e il commissario Kim. Fuori, salgono voli di nebbia come porte sbattute una dopo l'altra e gli uomini si accalcano nel casone, attorno al fuoco e ai due della brigata. I due fanno passare il pacchetto di sigarette tra gli uomini finché non si vuota. Sono di poche parole: Ferriera è tarchiato, con la barbetta bionda e il cappello alpino; ha due grandi occhi chiari e freddi che alza sempre a mezzo guardando di sottecchi; Kim è allampanato, con una lunga faccia rossiccia, e si mordicchia i baffi. Ferriera è un operaio nato in montagna, sempre freddo e limpido: sta a sentire tutti con un lieve sorriso d'assenso e intanto ha già deciso per conto suo: come si schiererà la brigata, come s'han da disporre le pesanti, quando dovranno entrare in azione i mortai. La guerra partigiana è una cosa esatta, perfetta per lui come una macchina, è l'aspirazione rivoluzionaria maturatagli nelle officine, portata sullo scenario delle sue montagne, conosciute palmo a palmo, dove può giocare d'ardire e d'astuzia. Kim è studente, invece: ha un desiderio enorme di logica, di sicurezza sulle cause e gli effetti, eppure la sua mente s'affolla a ogni istante d'interrogativi irrisolti. C'è un enorme interesse per il genere umano, in lui: per questo studia medicina, perché sa che la spiegazione di tutto è in quella macina di cellule in moto, non nelle categorie della filosofia. Il medico dei cervelli, sarà: uno psichiatra. Non è simpatico agli uomini perché li guarda sempre fissi negli occhi come volesse scoprire la nascita dei loro pensieri e a un tratto esce con domande a bruciapelo, domande che non c'entrano niente, su di loro, sulla loro infanzia. Poi, dietro agli uomini, la grande macchina delle classi che avanzano, la macchina spinta dai piccoli gesti quotidiani, la macchina dove altri gesti bruciano senza lasciare traccia: la storia. Tutto deve esser logico, tutto si deve capire, nella storia come nella testa degli uomini: ma tra l'una e l'altra resta un salto, una zona buia dove le ragioni collettive si fanno ragioni individuali, con mostruose deviazioni e impensati agganciamenti. E il commissario Kim gira ogni giorno per i distaccamenti con lo smilzo sten appeso a una spalla, discute coi commissari, coi comandanti, studia gli uomini, analizza le posizioni dell'uno e dell'altro, scompone ogni problema in elementi distinti, «a, bi, ci», dice; tutto chiaro, tutto chiaro dev'essere negli altri come in lui. Ora gli uomini sono assiepati intorno a Ferriera e a Kim, e domandano novità della guerra: di quella lontana dei fronti militari, e di quella vicina e minacciosa, la loro. Ferriera spiega che non bisogna aspettarsi niente dagli eserciti alleati, sostiene che i partigiani anche da soli riusciranno a tener testa ai nemici. Poi comunica la grande novità della giornata: una colonna tedesca sta risalendo la vallata, per rastrellare tutte le montagne: sanno i posti dei loro accampamenti e incendieranno case e paesi. Ma tutta la brigata sarà appostata all'alba sulle creste dei monti, e verranno rinforzi anche dalle altre brigate. Gian guarda agro: - Non sai niente? - chiede. - No, - fa Pin. - Cosa c'è? La Bersagliera ha fatto un figlio? Gian sputa: - Io non voglio più sentir parlare di quella gente, - dice. Io mi vergogno d'esserci nato in mezzo. Erano anni che non ne potevo più, di loro, dell'osteria, della puzza di piscio del carrugio... Eppure ci restavo... Adesso ho dovuto scappare e quasi ringrazio quella carogna che mi ha fatto la spia... - Miscèl il Francese? - chiede Pin - Il Francese è uno. Ma non è lui, la carogna. Fa il doppio gioco, lui, nella brigata nera e con il gap; ancora non ha ben deciso da quale parte stare... - E gli altri?... - Hanno fatto una retata. Hanno preso tutti. Ci eravamo appena decisi a fare il gap... Giraffa l'hanno fucilato... Gli altri in Germania... Il carrugio s'è quasi vuotato... E' caduta una bomba d'aeroplano vicino alla ringhiera del forno; sono tutti sfollati o vivono nel tunnel... Qui è un'altra vita; mi sembra d'essere tornato in Croazia, solo che adesso, sediovuole, sono dall'altra parte... - In Croazia, Autista, mondoboia, che t'eri fatto in Croazia, l'amante?... E mia sorella, dimmi, è sfollata anche lei? Gian si liscia la barba giovane: - Tua sorella, - dice, - ha fatto sfollare gli altri, quella vacca. - Poi mi spieghi, - dice Pin, facendo il buffone, - sai che m'offendo, io. - Scemo! Tua sorella è nella esse-esse, e ha i vestiti di seta, e gira in macchina con gli ufficiali! E quando son venuti i tedeschi nel carrugio era lei che li guidava casa per casa, a braccetto con un capitano tedesco! - Un capitano, Gian! Mondoboia, che carriera! - Parlate di donne che fanno la spia? - Chi ha detto questo è il Cugino, sporgendo la larga faccia camusa e baffuta verso di loro. - E' mia sorella, quella scimmia, - dice Pin. - Ha sempre fatto la spia fin da bambina. C'era da aspettarselo. - C'era da aspettarselo, - dice il Cugino e guarda lontano con quella sua espressione sconsolata, sotto il berrettino di lana. - Anche da Miscèl Francese c'era da aspettarselo, - dice Gian. - Ma non è cattivo Miscèl, è solo un farabutto. - E Pelle, lo conosci quello nuovo della brigata nera: Pelle? - Pelle, - fa Gian l'Autista, - è il più cattivo di tutti. - Era il più cattivo, - dice una voce dietro a loro. Si voltano: è Lupo Rosso che arriva, tutto bardato d'armi e di nastri di mitraglia catturati ai tedeschi. Gli fanno festa: tutti sono contenti quando rivedono Lupo Rosso. - Allora, cos'è successo a Pelle? Com'è andata? Lupo Rosso dice: - E' stato un colpo dei gap, - e comincia a raccontare. Pelle alle volte andava a dormire a casa sua, non in caserma. Stava solo, in un abbaino delle case popolari e lì teneva tutto l'arsenale delle armi che si riusciva a procurare, perché in caserma gli sarebbe toccato dividerle con i camerati. Una sera Pelle va verso casa, armato come sempre. C'è uno che lo segue, in borghese, con l'impermeabile, a mani sprofondate nelle tasche. Pelle si sente sotto il tiro di una bocca da fuoco. «Meglio far finta di niente», pensa e continua a camminare. Sull'altro marciapiede c'è un altro sconosciuto con l'impermeabile che cammina a mani in tasca. Pelle volta e gli altri voltano. «Qui bisogna arrivar presto a casa, - pensa; - appena nel portone, salto dentro.