/<1986>/ Come vestirsi e cosa portare con sé. La quota e la stagione sono elementi determinanti - com'è ovvio - della scelta. In generale, meglio dire subito che la mancanza di difficoltà alpinistiche e la quota non sempre elevata della maggior parte dei percorsi non devono far prendere sottogamba le montagne d'Abruzzo. D'estate può essere proprio la quota modesta a creare problemi sconosciuti per gli habitués dell'escursionismo alpino: il sole picchia sodo e può fare dei danni gravi. In questo caso gli occhiali da sole, un berretto, una borraccia costituiscono precauzioni elementari e necessarie. Per l'abbigliamento in senso stretto, non vi sono in questo caso grossi problemi. A nessuno verrà in mente di camminare d'estate sui colli del Teramano in pantaloni di lana e mutandoni: attenzione però, pur camminando in calzoncini corti, a non dimenticare qualcosa per coprire meglio le gambe (bastano un paio di calzoni della tuta da ginnastica o da jogging). Altrimenti, i rovi possono lasciare tracce difficili da dimenticare in fretta. Alle quote più alte, i problemi possono essere di segno opposto. Nonostante la quota non elevatissima, le dorsali maggiori dell'Appennino (e quindi tutte le vette al disopra dei 1400-1500 metri) costituiscono un ambiente di vera montagna. D'estate può far caldo, ma il vento e la nebbia possono far abbassare rapidamente la temperatura. D'inverno, più in alto della quota citata, la montagna è di solito innevata da novembre a maggio inoltrato. In tutte le stagioni, quindi, è necessario un abbigliamento da montagna: una giacca a vento, un paio di guanti, un berretto o un passamontagna di lana. D'inverno poi, occorrerà avere una piccozza, un paio di ramponi, integrati in qualche caso da una corda: va però sottolineato che questo materiale a nulla serve, quando non si sia in grado di utilizzarlo in maniera corretta. Anche in mancanza di difficoltà vere e proprie (ed a volte ci sono pure queste), l'Appennino d'inverno richiede una buona esperienza alpinistica. Gli itinerari a carattere alpinistico del Gran Sasso richiedono - almeno per i meno esperti - di avere del materiale adeguato (corda, cordini, qualche moschettone). In tutte le gite, ad eccezione delle più brevi passeggiate, occorre avere uno zaino: borse a tracolla o tascapani sbilanciano e rendono il camminare faticoso. Qualche osservazione ulteriore la meritano le calzature: delizia o tortura (e basta poco a fare la differenza) dell'escursionista. Fino a pochi anni or sono, il mercato non lasciava possibilità intermedie. Per camminare si utilizzavano scarpe da ginnastica leggere, oppure pesanti scarponi. Soluzione abbastanza comoda la prima, dolorosa però sul terreno sassoso e foriera di pericoli e disagi in caso di pioggia o di neve. Dal canto loro gli scarponi, pur proteggendo il piede, potevano creare fatica, dolori se troppo rigidi, sudorazione eccessiva. Da qualche anno, numerose case hanno posto in commercio pedule da escursionismo di nuova concezione, abbastanza alte e resistenti da sorreggere il piede, ma traspiranti e di peso contenuto: calzature di questo genere sono spesso la soluzione migliore specie alle quote più basse, dove il clima è di solito caldo e il terreno quasi inevitabilmente sassoso. Le scarpe da jogging, specie quelle con la suola più spessa, possono comunque essere utilizzate là dove vi sono meno sassi da pestare. Gli scarponi, a loro volta, restano insostituibili in caso di neve. Nei periodi piovosi, sentieri e carrarecce sono spesso pieni di fango: molto utile, in questi casi, camminare con un paio di stivali di gomma. Badare però, in questo caso, a scegliere un modello con la suola sufficientemente scolpita, per evitare scivoloni. Per chi ha in mente alte vie di più giorni (ci sono molti suggerimenti in questo senso, nella guida), è naturalmente necessario avere con sé una tenda leggera (il mercato offre un'ampia scelta di tipi e di prezzi), un fornello (a gas o a mèta), un sacco a pelo e via elencando. Per precauzione, non dovrebbero mancare nello zaino un piccolo pronto soccorso, e un telo «spaziale» da bivacco. Carte, bussole, orientamento. La guida descrive gli itinerari in maniera completa, dilungandosi in dettagli nelle zone dove l'orientamento è più complicato. Ad eccezione delle passeggiate più brevi, però, dev'essere utilizzata, necessariamente, insieme ad una carta topografica della zona in cui ci si muove. Le cartine schematiche che forniamo nel testo hanno, ovviamente, una funzione di riferimento, possono aiutare a «leggere» il panorama che si ha di fronte, e dare qualche coordinata minimale. Per orientarsi davvero, però, bisogna usare le carte IGM 1:25.000: Principale limite di queste carte, oltre ad una minima difficoltà di lettura per i meno esperti, è lo scarso aggiornamento: alcune carte risalgono a trent'anni fa, e sono quindi completamente superate, sul terreno, dal proliferare di strade e stradine, lottizzazioni e recinzioni. In montagna, ovviamente, anche le carte più antiche hanno un'attendibilità sufficiente. L'ambiente. Molto di quanto si è detto poc'anzi a proposito del Velino vale anche per il Sirente e le cime vicine. La vicenda - a volte triste, a volte grottesca - del Parco regionale è comune ai due gruppi, d'altronde vicini. L'aspetto fisico, però, è notevolmente diverso. Dicevamo nell'introduzione della differenza tra i due versanti del Sirente: roccioso e ripido quello che scende sui Prati del Sirente e i boschi intorno alle «pagliare» di Fontecchio e di Tione; dolce, carsico e ondulato quello che declina sul Fucino. Se l'interesse di quest'ultima zona è dato quindi essenzialmente dalle rocce (le Gole di Celano, il carsismo del versante Sud est del Sirente), a nord sono i grandi boschi a farla da padroni. Fitte faggete, abbarbicate ad un terreno ripido ed impervio, di difficile accesso: non a caso, i caprioli che vi sono stati reintrodotti hanno trovato un habitat soddisfacente, mentre sempre più numerose e convincenti si sono fatte, dal 1981 a questa parte, le segnalazioni della presenza di almeno una coppia di orsi. Oltre a un nutrito popolo di abitanti di minori dimensioni, le rocce severe ospitano almeno un altro animale d'eccezione: l'aquila reale, che nidifica sulle grandi pareti e sorveglia, con i suoi larghi giri concentrici, i boschi e le praterie del Sirente. L'uomo. Siamo al centro dell'Abruzzo, altra considerazione che vale anche per il Velino. Eppure, i borghi del Sirente sono da sempre al margine, fuori dei traffici e dai flussi di denaro maggiori. Sul versante del Fucino, il borgo di Aielli è la Fontamara di Silone, il paese preso ad emblema delle dure, disperate condizioni di lavoro dei contadini della Marsica tra le due guerre. A nord, il massiccio del Sirente conta il numero di paesi e borghi abbandonati più elevato d'Abruzzo. Come per tutte le montagne abruzzesi, i grandi pascoli del versante meridionale del Sirente e della Valle dei Curti sono stati intensamente utilizzati fin da tempi lontani. L'atmosfera desertica di oggi è ben diversa da quella di un tempo. Al di là del crinale, i boschi tra Rocca di Mezzo a Secinaro sono invece teatro di una antica e redditizia attività forestale. La presenza più originale, però, è quella delle «pagliare» di Tiene e di Fontecchio. Si tratta di gruppi di edifici utilizzati d'estate per immagazzinare i foraggi, e in realtà di veri e propri «alpeggi» a cui salivano, d'estate, molti abitanti dei paesi della Valle dell'Aterno, bassa e soffocata dalla calura. Oggi, i complessi delle «pagliare» di Tione e di Fontecchio sono raggiungibili in auto per due ripide strade dal versante dell'Aterno; dall'altopiano delle Rocche (Terranera) e dai Prati del Sirente vi si può arrivare soltanto, invece, per facili ed interessanti sentieri, che seguono il tracciato delle antiche mulattiere. Il restauro e il ripristino delle «pagliare» è uno dei progetti più stimolanti connessi al progettato Parco del Velino-Sirente.