<1993>/ Adesso, negli indici dei prezzi, ci si comporta al rovescio: si lasciano variare i prezzi e si mantengono costanti le quantità. Gli indici dei prezzi sono medie ponderate dei prezzi dei diversi beni: la ponderazione è necessaria per tener conto che, supponiamo, il prezzo dell'acciaio, in un'economia moderna, è più importante del prezzo del legno, semplicemente perché l'acciaio è più usato del legno. Dunque la ponderazione, negli indici dei prezzi, riflette le quantità usate dei vari beni, quantità che devono restare fisse durante i calcoli, altrimenti non si capirebbe più se una variazione dell'indice è imputabile ai prezzi o alle quantità. Se non che tenere fisse le quantità (secondo l'uso iniziale o quello finale, durante il periodo di tempo considerato: ecco rinascere la distinzione tra Laspeyres e Paasche) è un espediente di calcolo, non una realtà storica. In conclusione, se tutti questi inconvenienti sono di minima importanza quando confrontiamo due valori della ricchezza a breve distanza di tempo, essi diventano gravi nel lungo termine. Anzi, nel lungo termine ci si deve rassegnare alla impossibilità di misurare con precisione le variazioni reali della ricchezza. Certo, siamo più ricchi se abbiamo di più di tutto: ma di solito cambia la composizione qualitativa della ricchezza, abbiamo di più di qualcosa, di meno di qualcos'altro. Forse, se è la medesima persona a dare il giudizio, si riesce a dire che preferiamo psicologicamente la ricchezza attuale (o quella passata), ma senza misurare meglio l'aumento (o la diminuzione) di utilità. La ricchezza moderna è, in un certo senso, più "democratica" dell'antica: essa non ci permette di vivere, per quanto ricchi si diventi, come il più modesto signorotto medievale, che poteva disporre di numerosi servitori. In una società di eguali, in cui tutti fossero miliardari, nessuno farebbe il servitore di un altro, poiché per farlo chiederebbe tutto il guadagno dell'altro, che non potrebbe darglielo. Il reddito. In economia, la ricchezza è il concetto di base, il reddito è un concetto derivato. Il reddito è semplicemente l'incremento di ricchezza in valore monetario, che interviene in un intervallo di tempo. Se la nostra ricchezza vale inizialmente 100, e dopo un anno vale 105, noi diciamo che il nostro reddito annuo è stato 5, differenza tra la ricchezza finale e quella iniziale. Tale reddito possiamo anche esprimerlo in forma percentuale: 5% della ricchezza iniziale. E a patto che non si faccia confusione, possiamo anche chiamarlo interesse del 5%, qualunque sia il genere di ricchezza che l'ha fruttato. Queste definizioni hanno bisogno di una sola precisazione, che riguarda il consumo. Può darsi che durante l'anno noi abbiamo consumato una parte della nostra ricchezza, parte che quindi non è più disponibile alla fine dell'anno, ma che ci ha dato lo stesso una soddisfazione in termini di utilità. Ebbene, quel consumo rientra nel reddito. Di tanto in tanto compaiono rami industriali completamente nuovi mentre cessano vecchie produzioni superate. Il progresso tecnologico è anche il progresso merceologico, per cui devono cambiare abitudini i consumatori, oltre che i produttori, i lavoratori. Inutile dire che, se senza sviluppo economico saremmo rimasti fermi all'età della pietra, con lo sviluppo economico dobbiamo affrontare una serie di cambiamenti e di innovazioni, che rendono più instabile la nostra vita. Il fenomeno della disoccupazione, che tante preoccupazioni suscita ai nostri giorni, trae origine anche dal progresso tecnico: i lavoratori sono costretti a cambiar mestiere, a imparare cose nuove, a "riqualificarsi" e non tutti sono in grado di farlo, o di farlo subito. C'è il timore che le macchine soppiantino gli uomini, anche se la storia ha dimostrato che a lungo andare le macchine creano lavoro, anziché distruggerlo. Milioni e milioni di lavoratori sono migrati dalle zone rurali alle zone cittadine industrializzate, da dove le macchine non c'erano, o erano poche, a dove erano molte. Tuttavia, le stesse migrazioni non avvengono senza patimenti sociali, di cui bisogna tener conto. Spetta, fra l'altro, alla pubblica amministrazione lenire i disagi del cambiamento sociale, imposti dallo sviluppo economico, senza però impedire il progresso. Si tratta di trovare un buon compromesso tra le esigenze della stabilità e quelle dell'innovazione. Alcune nazioni, in un certo momento della loro storia, preferiscono la stabilità (sovente illusoria), altre preferiscono l'innovazione. Se non che la questione è assai complessa. Da un lato, la stabilità non basta volerla per ottenerla: il mondo cambia, ci piaccia o non ci piaccia, e il desiderio di star fermi quando tutto si muove intorno a noi significa sovente avere il massimo di inconvenienti e il minimo di vantaggi. Dall'altro lato, nemmeno l'innovazione basta volerla per ottenerla. Vi sono nazioni per qualche tempo fertili di invenzioni, nazioni semplicemente imitatrici delle invenzioni straniere, e infine nazioni conservatrici loro malgrado o per propria scelta. A volte la storia ci fa assistere a un ciclo, per cui a un momento di rapida inventività, che porta una nazione al successo, segue un momento di stasi: la nazione "dorme sugli allori". La decadenza economica (sovente relativa, non assoluta) costituisce uno studio tanto interessante, per gli economisti, quanto quello dello sviluppo. La rivoluzione industriale britannica servì a strappare all'Olanda il primato economico; ma nella seconda metà dell'Ottocento la Gran Bretagna rallentava già il passo e si faceva raggiungere, poi sorpassare, dagli Stati Uniti. Oggi è il Giappone che sembra intenzionato a conquistare la prima posizione economica. E ogni volta che cambia la classifica mondiale, cambia la struttura economica prevalente. L'ascesa del Giappone, per esempio, è legata all'aumento dell'elettronica, come è noto. Ma un po' dovunque si parla di economia post-industriale, di economia dei servizi, di economia terziaria (i servizi sono considerati il terzo grande settore, dopo l'agricoltura e l'industria), come economia del futuro prossimo. Il futuro più lontano è totalmente incognito, e gli economisti non sono profeti. I fattori non garantiti sono invece: d) l'imprenditorialità; e) il capitale di rischio (vale a dire il capitale dei soci di una impresa o del proprietario). Questi due fattori vengono remunerati in maniera indistinta attraverso l'utile di esercizio eventualmente realizzato dall'impresa. Se si realizza un utile c'è remunerazione, altrimenti no. Ma cos'è l'utile di esercizio? E' un valore residuale espresso dal cosiddetto Conto economico aziendale, il quale è un prospetto che riepiloga: - tutti i ricavi (valore dei beni o servizi ceduti); - tutti i costi (valore di tutti i beni consumati); - tutte le rimanenze (valore di tutti i beni prodotti ma ancora non ceduti). La somma algebrica di questi elementi può essere positiva o negativa; nel primo caso l'impresa ha realizzato un utile, nell'altro una perdita. Tra i costi di un conto economico sono comprese le remunerazioni dei fattori: - capitale di terzi (interessi); - beni naturali (affitti); - lavoro (salari e stipendi). Non sono invece comprese le remunerazioni del capitale di rischio e della imprenditorialità; alla remunerazione di questi due fattori dovrebbe provvedere l'utile di esercizio, se c'è. In definitiva, l'utile di esercizio remunera contemporaneamente due fattori: l'imprenditorialità e il capitale di rischio (del proprietario unico o dei soci a seconda delle forme giuridiche dell'impresa). Il profitto ci sarà se l'utile avrà dimensioni tali da eccedere gli interessi sul capitale investito dai soci. In caso contrario, pur essendoci un utile, i soci avranno ricevuto una remunerazione del loro capitale inferiore a quella media di mercato. Un esempio chiarirà meglio il concetto. Supponiamo di avere un'impresa in cui vi è anche un capitale di rischio di un miliardo; supponiamo inoltre che la remunerazione media del capitale sia, sul mercato, del 15%. Cosa succede se si realizza un utile di 200 milioni o di 100 milioni? Per rispondere a queste domande dobbiamo innanzitutto calcolare qual è l'interesse che spetterebbe mediamente al capitale di rischio. Sapendo che il capitale investito è di un miliardo e che l'interesse corrente è del 15%, tale interesse dovrebbe essere di 150 milioni. Orbene, se l'utile realizzato è di 200 milioni, il profitto reale che remunera l'imprenditorialità è di 50 milioni (200 milioni di utile - 150 milioni di interessi sul capitale investito); se l'utile è di 100 milioni, non è stato realizzato alcun profitto e i soci hanno avuto una remunerazione del proprio capitale inferiore alla media corrente. Si potrebbe dire addirittura che il profitto realizzato è negativo. La Consob prescrive che le venga comunicato il progetto di bilancio di esercizio e, una volta approvato, lo stesso bilancio unitamente alle relazioni degli amministratori e del collegio sindacale e con gli allegati previsti dall'art. 2424 c.c. Affinché potesse esercitare un effettivo controllo preventivo sui bilanci comunicati, la Consob ha raccomandato, alle società che ricadono sotto la sua competenza, di evitare di concentrare le assemblee negli ultimi giorni antecedenti la scadenza del termine previsto dall'art. 2364 c.c. e cioè allo scadere del quarto mese successivo alla chiusura dell'esercizio. Tale raccomandazione è rimasta poco ascoltata dalle società, basta, infatti, dare uno sguardo a "Il Sole 24 Ore" nei giorni di maggio per vedere il numero di assemblee di cui vengono riportati i dati delle assemblee di bilancio. La Consob, inoltre, ha raccomandato di integrare la pubblicità dell'avviso di convocazione con la pubblicazione, su almeno due quotidiani a diffusione nazionale di cui uno economico, dell'avviso stesso redatto in ogni caso secondo le modalità viste in precedenza. Uno dei profili più importanti, per ciò che riguarda l'informazione societaria relativa ai bilanci di esercizio, concerne la redazione della relazione semestrale e la sua trasmissione alla Consob. Gli amministratori delle società soggette ai controlli Consob, entro tre mesi dalla fine del primo semestre di esercizio, devono trasmettere al collegio sindacale una relazione sull'andamento della gestione redatta secondo i criteri stabiliti dalla Consob con il regolamento del 23 maggio 1987. La Consob vuole che la relazione sia costituita: - da prospetti contabili, da cui deve risultare la situazione patrimoniale e finanziaria, il risultato economico del semestre al lordo o al netto delle imposte e il volume di affari netto in cifre; - da un commento che deve indicare i fatti di rilievo intervenuti dopo la fine del semestre e le linee di sviluppo dell'attività per l'esercizio in corso. La relazione semestrale, corredata delle eventuali osservazioni del collegio sindacale, deve essere inviata alla Consob mediante lettera raccomandata entro quattro mesi dalla fine del primo semestre di esercizio. Entro lo stesso termine la relazione semestrale deve essere oggetto di adeguata pubblicità. E cioè: - deve essere depositata presso la sede dei soggetti tenuti alla redazione sino all'approvazione del bilancio di esercizio in corso; - chiunque ne faccia richiesta ha il diritto di riceverne una copia; - devono inoltre essere inviate copie al consiglio di Borsa e alle commissioni per il listino di tutte le Borse valori perché provvedano a consegnarle a chiunque ne faccia richiesta; - i soggetti tenuti all'obbligo della redazione della relazione semestrale devono dare immediata notizia degli avvenuti adempimenti mediante avviso da pubblicarsi su almeno due giornali, di cui uno economico, a diffusione nazionale. Sarà in tal modo possibile creare un maggior margine di redditività per i nuovi soci. Le azioni di godimento sono quei titoli che, nel caso di riduzione del capitale sociale e qualora previsto dallo statuto o dall'atto costitutivo, possono essere attribuite ai soci ai quali viene rimborsato l'ammontare del capitale corrispondente all'azione. Queste azioni consentono al possessore di continuare a partecipare alla distribuzione degli utili residui dopo il pagamento delle azioni non rimborsate di un dividendo pari all'interesse legale e, in caso di liquidazione, il socio può partecipare alla ripartizione del patrimonio sociale residuo dopo il rimborso delle altre azioni al loro valore nominale. Le azioni di godimento non danno diritto al voto a meno che nello statuto o nell'atto costitutivo non sia stabilito diversamente. Le azioni estratte vengono rimborsate ai loro possessori che però hanno il diritto di ricevere altrettante azioni di godimento, in modo da non sciogliere del tutto il loro rapporto con la società. La normativa prevede che in caso di assegnazione straordinaria di utili ai prestatori di lavoro dipendenti della società possono essere emesse, per un ammontare corrispondente agli utili stessi, speciali categorie di azioni da assegnare individualmente ai prestatori di lavoro, con norme particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento e ai diritti spettanti agli azionisti. Il capitale sociale deve essere aumentato in misura corrispondente. La legge stabilisce inoltre la possibilità, in caso di aumento del capitale, che il diritto di opzione possa esser escluso e che le azioni di nuova emissione possano essere offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società in misura non superiore al quarto del capitale sociale, o superiore se la delibera è approvata da oltre la metà del capitale sociale. Il codice civile consente alle società, in seguito a un'apposita delibera assembleare, di acquistare azioni proprie in Borsa, sulla base di utili regolarmente accertati. Spesso le aziende ricorrono a questa operazione al fine di risollevare le quotazioni dei loro titoli eccessivamente depresse da mercati in crisi. Tali azioni sono state in passato utilizzate nei modi più diversi. La Le petit le ha assegnate gratuitamente ai suoi azionisti; la Fiat le ha cedute in parte gratuitamente ai soci e in parte le ha vendute ai dirigenti e ai quadri della società; la Generali le ha utilizzate per garantire il tramutamento delle obbligazioni convertibili in azioni; altre società le hanno vendute in tutto o in parte sul mercato, altre ancora le hanno in portafoglio. L'acquisto di azioni proprie (buy back) deve essere autorizzato dall'assemblea che ne fissa le modalità, indicando il numero massimo di azioni, la durata dell'autorizzazione, il corrispettivo minimo e massimo. Il valore nominale delle azioni acquistate non può essere superiore alla decima parte del capitale. L'acquisto deve avvenire con utili distribuibili e con riserve disponibili. Dipende da un ministero che ha possibilità e il potere di tradurre in atti amministrativi le disposizioni che a volte sono contenute in modo generico nelle leggi. Tocca ai ministeri stabilire i regolamenti per la corretta applicazione delle disposizioni stesse, illustrare i molti punti oscuri, fare in modo che Parlamento e Governo non siano solo entità costituzionali ma organi efficaci nella loro azione al servizio dei cittadini. I ministri riuniti tutti insieme, sotto la guida del presidente del Consiglio, danno vita al Consiglio dei ministri, un altro organo previsto dalla Costituzione come l'espressione più significativa del Governo. Spetta al Consiglio dei ministri tradurre in concreto le decisioni generali che interessano la politica generale del Governo. Per quanto riguarda le attribuzioni, oltre ai disegni di legge predisposti dai diversi ministri, il Consiglio dei ministri approva anche, e lo vedremo in maniera più particolareggiata nel capitolo successivo, provvedimenti straordinariamente urgenti che entrano subito in vigore. Questi provvedimenti prendono il nome di decreti-legge: hanno efficacia immediata, anche se devono essere presentati al Parlamento per la conversione definitiva in legge entro sessanta giorni dalla loro approvazione da parte del Consiglio dei ministri. Il Consiglio dei ministri si occupa anche dei regolamenti, degli affari di alta amministrazione, delle relazioni dell'Italia con gli altri Paesi, dei rapporti con il Parlamento e della nomina degli alti funzionari della Pubblica amministrazione. Non occorre poi confondere il Consiglio dei ministri con i vari Comitati interministeriali: di questi ultimi organismi fanno parte solo alcuni ministri competenti direttamente o per delega in materie particolari e che hanno soprattutto il compito di approvare determinate delibere che hanno valore limitato in un particolare settore. La Costituzione indica anche alcuni organi che vengono definiti "ausiliari del Governo" perché hanno il compito di aiutare lo stesso Governo nell'efficace amministrazione della collettività sociale. I due organi ausiliari più importanti sono il Consiglio di Stato e la Corte dei conti. Il Consiglio di Stato è il massimo organo competente a dare pareri a tutte le amministrazioni pubbliche centrali e nello stesso tempo è anche il massimo organo della giustizia amministrativa. In quanto organo consultivo, il Consiglio di Stato fornisce ai diversi ministeri dei pareri - che a seconda della materia possono essere facoltativi o vincolanti - sulle proposte di legge o sui decreti ministeriali. Come organo supremo di giustizia amministrativa il Consiglio di Stato dirime invece le vertenze che possono sorgere tra cittadini e Pubblica amministrazione. A volte i dissidi possono sorgere tra diversi organismi pubblici e sempre è il Consiglio di Stato a sciogliere i nodi interpretativi. La Corte dei conti svolge, invece, funzioni di controllo e funzioni giurisdizionali. In pratica la Corte svolge un controllo preventivo e consuntivo sui conti dello Stato, mentre dal punto di vista giurisdizionale è legittimata a giudicare il comportamento dei pubblici amministratori che si ritrovano a gestire il denaro pubblico. 8. Il mercato mobiliare internazionale di Adamo Gentile e Angelo Scotti. Gli anni Ottanta sono stati dominati da alcuni temi di importanza storica; tra questi, due meritano un'attenzione particolare da parte di chi si occupa di finanza: la riscoperta del capitale di rischio e la globalizzazione dei mercati. Prima di entrare nel vivo del capitolo è necessario approfondire l'esame di questi due aspetti, dal momento che le conseguenze da loro prodotte hanno completamente modificato il modo di "fare finanza" degli ultimi anni. Il mondo aziendale, all'indomani della seconda crisi petrolifera, era riuscito a ristrutturarsi in maniera adeguata e il boom dei consumi (1982/89) ha esaltato le capacità di reddito delle aziende. Si è di conseguenza riscoperto il capitale di rischio, le azioni e le Borse, anche per via di una sempre minore reddittività degli investimenti obbligazionari. La minore inflazione, la caduta dei tassi di interesse e la crescita dei profitti hanno contribuito allo spostamento di capitali verso le azioni, con gli ovvi benefici che tutti conosciamo. Accanto a questa riscoperta, si è poi inserita anche la maggiore propensione verso il mondo della finanza pura: take-over, acquisizioni, scalate e innovazioni finanziarie sono diventati veicoli di marketing per le Borse, o meglio, per la Borsa. Il secondo grande tema è stato quello della globalizzazione, ovvero della capacità di allargare i confini del proprio mercato nazionale e di creare un mercato unico su scala mondiale. A questo processo hanno contribuito diversi fattori, tra i quali vanno ricordati il cambiamento della mentalità operativa, la caduta dei vincoli normativi e valutari (deregulation) e la tecnologia, potente veicolo in grado di consentire una diffusione globale delle informazioni e una omogeneizzazione delle tecniche di investimento. Nel giro di pochi anni il linguaggio e la cultura dei singoli operatori si è unificato e senza che ci fosse neppure bisogno di una linea politica ufficiale, i mercati si sono integrati. Oggi si possono scambiare azioni 24 ore su 24, senza limiti di spazio e di tempo. Le singole Borse si sono aperte a nuove quotazioni e a nuove regolamentazioni e la mentalità dell'investitore è cosi generalizzata da poter ipotizzare l'esistenza di una Borsa mondiale. Il risparmiatore italiano è stato coinvolto in pieno da questo processo; da un lato, infatti, la sua condizione di investitore limitato è stata rovesciata in maniera drastica. I vincoli valutari, che costringevano l'investimento in attività finanziarie estere in angusti limiti (1972) sono stati rimossi. Questa imposta è particolarmente complicata sia sul piano pratico sia su quello teorico. Basti dire per esempio che gli stessi studiosi non sono del tutto sicuri del fatto che essa vada classificata fra le imposte indirette. Ciò deriva soprattutto dalla duplice veste del tributo: i privati lo devono pagare solo nel momento in cui l'immobile viene venduto; le società, invece, devono pagarlo ogni dieci anni (e in questo caso viene chiamata "Invim decennale"). Comunque, anche in questo campo l'intera materia è sotto discussione e, proprio mentre scriviamo, si sta pensando a una "imposta comunale sugli immobili" (Ici) sostitutiva dell'Invim e gestita dai Comuni. Le tasse sulla produzione Un tipo di tributi che sono sempre esistiti e che possono anche giocare un ruolo determinante nel quadro generale della politica economica di un Paese sono le imposte di fabbricazione e i dazi doganali. Le prime, come dice chiaramente il nome, sono dei tributi che devono essere pagati da tutti coloro che fabbricano certi prodotti. Per esempio in Italia esistono imposte di fabbricazione sugli oli minerali (benzina, petrolio, nafta), sullo zucchero, sulla birra, sugli spiriti ecc. E' evidente che questi tributi oltre a produrre un gettito più o meno elevato hanno anche la caratteristica di favorire un dato settore produttivo o danneggiarne un altro. In questo senso essi sono un'ottima arma di politica economica interna. Dal punto di vista del gettito va detto che, in Italia, assume grande importanza l'imposta di fabbricazione sugli oli minerali (anzi, ad essere esatti, in molti casi certe spese dello Stato sono state pagate proprio dagli automobilisti, con l'aumento del prelievo fiscale sui carburanti). Le altre imposte di fabbricazione oggi esistenti in Italia, invece, hanno scarsissima importanza. Molte di esse erano state introdotte per motivi che, attualmente, non valgono più. Questo è uno dei tipici settori del nostro sistema tributario che andrebbe totalmente rivisto. I dazi doganali sono dei tributi che devono essere pagati per poter importare nel territorio nazionale prodotti provenienti dall'estero. Evidentemente anche questi tributi sono una potentissima arma nelle mani del Governo in quanto è proprio col gioco dei dazi doganali che si può favorire o sfavorire un certo tipo di importazioni. Va comunque precisato che, ormai, in questo campo i singoli governi hanno ben poca possibilità di manovra. Infatti i tributi in questione vengono decisi di comune accordo tra tutti i governi all'interno di unità sovranazionali. Per quanto ci riguarda, per esempio, la nostra politica doganale si decide in ambito Cee (la Comunità economica europea).